Due paesi di Galilea si disputano la gloria di esser la patria di Maria: Sephoris
e Cana. È vero che Anna e Gioacchino avessero in Cana qualche piccola
proprietà, giacchè il padre e la madre della Madonna non erano assolutamente
poveri, ma ne avevano anche verso il confine della Galilea, sul monte Carmelo,
dove venivano ogni anno, con la piccola Maria: è anche vero che in Cana di
Galilea vi fossero molti parenti di Maria, ma, oltre questo, non esiste nessun’altra
prova e Cana si deve, si dovrà sempre contentare di essere il paese delle famose
nozze, il paese dove Gesù si compiacque di fare il primo miracolo. Con una quasi
certezza si può affermare che Maria Vergine è nata in Sophoris, un grosso borgo
che resta a mezza via fra Tiberiade e Nazareth, ma molto più vicino a Nazareth,
che a Tiberiade. Come quasi tutti i bei paesi di Galilea, Hephoris è collocata sovra
una collina e la umile casa di sant’Anna e di San Gioacchino è proprio in cima al
poggio e il nome di Maria, Miriam, Mariam, Mara, è molto comune in Galilea, e
ritorna stranamente nella vita del Cristo, come per un magico concentramento:
Maria, la sua dolce madre; Maria di Cleofe, la zia, cugina di sua madre, ardente e
devota: Maria di Bethania, la sorella di Lazzaro, che lo ascoltava incantata, nei
giorni in cui egli dimorava da loro; Maria di Magdala, la passionale penitente, che
purificò così nobilmente l’impuro metallo della sua anima. La tradizione parla della
infanzia della Madonna, come di un periodo soave: dice che ella era bruna e
fine, che aveva delle piccole mani gentili e dei piccoli piedi, che ella amava la
sua casa e la solitudine, che ella era una creatura laboriosa, sorridente e
taciturna. Quando i due vecchi genitori partivano per qualche pellegrinaggio, a
piedi, con quelle lunghe e lente tappe di Palestina, portavano sempre seco la
piccoletta: e ancora la tradizione dice che ella ascese varie volte sul monte che
chiude il golfo di san Giovanni di Acri, che di lassù Maria contemplò il cielo e il
mare e che il Carmelo fu così benedetto dalla sua presenza, dal suo pensiero, dal
suo sogno. Ma ella ritornava volentieri al silenzio della sua casetta di Sephoris: ella
ne uscì, a tredici anni e mezzo, quando andò sposa a Giuseppe, il falegname di
Nazareth.
Niuno che conosca l’Oriente si stupirà dell’età in cui si è sposata la
Madonna: tali nozze sono consuete, in quei caldi paesi dove la vita è precoce. Nè
è a meravigliarsi che sia stata data una giovanetta a un uomo già maturo, quasi
vecchio. La donna orientale è così abituata a un profondo rispetto per l’uomo,
che la differenza d’età non fa che raddoppiarlo: dice la tradizione che Maria
venerava Giuseppe. La loro casa, piccola, sorge proprio all’entrare di Nazareth,
avendo innanzi un lembo di quella valle beata: essa era addossata alla roccia,
come quasi tutte le case di Galilea ed era fatta di due stanze, una di fabbrica,
una di roccia e una terza piccola stanza, che chiamano la cucina della
Madonna, e che ha una porticina sul giardino: anzi, da una viottola, che si parte
da questa porticina, si raggiunge la bottega di San Giuseppe, attraversando dei
campi, senza rientrare in Nazareth.
Ella visse colà, Maria, sino al giorno in cui fu la Prescelta, senza che la sua
esistenza uscisse dal limite della sua famiglia, della casa. Come tutte le altre
donne nazzarene, ella portava una gonna di un rosso cupo, stretta da una cintura
alla persona: e un gran manto di lana azzurro cupo, anche stretto alla cinta,
ricadente sulla veste e rialzato sulla testa, sino alla fronte; ella andava scalza,
come moltissime nazzarene. La via che conduce dalla sua casa alla fontana, l’ha
vista ogni giorno passare, portando l’anfora inclinata sul capo, o poggiata sul
fianco: e la fontana vide chinarsi il bel volto fine e puro sulle sue chiare onde. La
via è pietrosa, è lunga: la fontana è quasi fuori Nazareth: ma Ella vi è venuta, ogni
dì, e vi ha compiuto l’umile ufficio di attingere l’acqua: più in là, in quella vasca,
che è sempre circondata di brune e belle donne nazzarene, ella ha lavato i panni
del bambino Gesù.
Il lavoro e la preghiera, ecco quello che fu la vita prima di Maria, la sposa di
Giuseppe. Nel beato giorno di primavera, quando Gabriele discese a salutarla
ella pregava: l’Arcangelo le apparve sulla soglia della prima stanza, mentre Ella
era nella seconda. Il cuore credente, laggiù, può evocare tutto il santo dialogo,
tutta la mistica scena, mettendosi a orare, nel posto ove Ella orava, guardando
nella penombra, se qualche cosa di luminoso non appaia!
Più tardi, Maria, stretto al petto il figliuolino, non fa che fuggire i pericoli,
onde l’amata testa è minacciata: insieme con Giuseppe, essi si esiliano in Egitto,
facendo mesi di cammino, errando di qua e di là, dormendo nei campi, nel
tronco di un grande e vecchio albero, chiedendo il cibo alle erbe ed ai frutti. Sono
anni di esilio fino a che, diradato lo sgomento della persecuzione, la Madonna
ritorna a Nazareth, ritrova la sua casetta, riprende la sua oscura vita. Adesso,
quando ella va alla fontana, mortificando i suoi piccoli piedi sui sassi della via, ella
ha per mano un bimbo; quando, alla mattina, ella esce di casa, dalla porticina sui
campi, ella porta Gesù alla bottega, perchè lavori da falegname, assieme col
padre putativo Giuseppe. La sua maternità, in questi anni, ha qualche cosa di così
profondamente tenero e di così sereno, ha un amore così pacifico e lieto, che
questi sono, veramente, i soli anni in cui la Madonna è stata felice. Ah, sì, ella avrà
avuto, ogni tanto, in questo lungo periodo di calma, la visione delle burrasche che
avrebbe dovuto attraversare il suo Grande Figlio, ella avrà sentito il fremito della
disperazione e della morte passare su lei, pensando alla divina missione, ma
accanto a lei, sorridente e pensoso, buono e laborioso, bellissimo nel volto bianco,
nei biondi capelli, nei grandi occhi azzurri, cresceva Gesù: ma ella ne vegliava la
fiorente vita: ma ella ne stringeva la piccola mano fra le sue: ma ella lo
benediceva ogni sera, prima che egli chiudesse gli occhi al sonno, ma ella
godeva l’ineffabile e imperturbata soavità di esser la madre di un fanciullo divino!
Anni placidi, di un benessere morale fatto di virtù semplici, trascorsi fra un giro di
pietosi desiderii e di pie soddisfazioni, fuggiti, ahimè, troppo presto, per il cuore
della Madonna!
Presto, l’adolescente diventa un giovane dall’occhio affascinante di
dolcezza, dalla parola eloquente, dall’anima nobilissima: già i nazzareni si
stupiscono dell’audacia di Gesù, e non lo amano, e lo tengono in conto di ribelle:
già ella comincia a tremare, per lui, per il Diletto. Carico d’anni, compiuta
santamente la sua missione, Giuseppe discende nella tomba, lasciando vedova
Maria; Gesù istesso non vuole abitare Nazareth, dove è misconosciuto: ed ella
lascia il paese della sua troppo breve felicità, ella va a Cana, dove ha dei parenti,
mentre il figliuolo si abbandona alle sue peregrinazioni di Galilea, alle sue prime
predicazioni nelle campagne, verso Tiberiade. Talvolta, ella lo segue, intimidita,
sgomenta del volo d’aquila del suo Gesù; talvolta, nel vedere l’adorazione di cui
è circondato, ella si rassicura. Ma come il Figliuol dell’Uomo si avvicina al
trentesimo anno, la vita della Madonna diventa tutta un’ansia, tutta un palpito: il
suo bel tempo è fuggito per sempre, ella entra nel martirio, ella diventa la madre
dei Dolori.
È lei che suscita il primo miracolo di Gesù. La madre e il figliuolo sono a
Cana, in un banchetto di nozze. Manca il vino: e i padroni di casa sono
imbarazzati e dolenti. Timidamente, sottovoce, Maria dice a Gesù: Vedi, Figlio mio,
non hanno vino. Egli china gli occhi; è agitato; una lotta si combatte in lui, quasi
egli si arretrasse innanzi alla manifestazione di un potere supremo: ma la dolce
madre lo guarda, con gli occhi supplichevoli ed egli, d’un tratto, si decide: le sei
conche di acqua, che erano fuori la porta, si trasmutano in vino. La sua spirituale
essenza è rivelata e la Madonna, per la prima, venera il suo Divino Figliuolo. Ma
questa rivelazione è anche il primo passo verso la Croce: e lei s’incammina con lui,
seguendolo, tremando in silenzio per lui, provando nel cuore una gioia
strabocchevole e un martirio infinito. Nel gruppo delle donne, affascinate dalla
santa parola di tenerezza del Cristo, è lei, la madre, confusa con le altre pie
donne che non possono lasciarlo, che lo servono, lo adorano. Le Marie! Resterà il
nome di queste felici donne, che potettero udire i più alti accenti di cui sieno
risuonati gli echi umani, che potettero ardere di un amore sublime dello spirito, e
vivere, e soffrire, e morire per esso. La storia ritrova la Madonna nelle peregrinazioni
di Gesù, lungo il meraviglioso lago di Tiberiade, dove egli predicava a un popolo
di pescatori e di agricoltori, di donne e di bambini: ella alloggiava a Bethsaida,
sulla sponda sinistra di quel bellissimo lago che meritò, per la sua grandezza, il
nome di mare di Genesareth: e propriamente Maria era ospitata, come Gesù,
nella casa dell’apostolo Pietro. Pietro aveva moglie, e figli, e aveva anche la
suocera, ma per aver seco Maria di Nazareth e il profeta di Galilea, la modesta
casa anche bastava. Ora, Bethsaida è un mucchio di rovine, giacché anche essa
fu maledetta per non avere avuto fede ed è caduta come Capharnahum, come
Chorazin: dei villaggi lungo il lago, non resta in piedi che Magdala, il paese
dell’altra Maria. Nei suoi viaggi a Gerusalemme, pericolosi e aridi viaggi, poichè la
feroce e ostinata città non voleva credere al profeta nazzareno, Maria sempre
seguiva Gesù, nell’ombra, temendo per il suo diletto, ma non volendo mettere
ostacolo all’espansione di quell’anima divina. Oscuro compito di madre e di
adoratrice, che nasconde le sue sofferenze, che vede la gloria e sente le spine nel
cuore, che sorride agli inni, ma che prevede la passione, l’agonia, la morte. O
lunga, ineluttabile visione di un avvenire fatale, tu sei stato l’incubo di quel
materno cuore, e Maria ha avuto la tortura della Croce, prima di suo figlio!
Nel giorno dell’ebbrezza in quella Domenica degli Ulivi in cui il Cristo provò le
estreme gioie della sua gioventù e della sua vita, quando una folla di creature
innocenti lo acclamava come il Figliuolo di Davide, come l’Eletto del Signore,
attraversando quella magnifica Porta Dorata che giammai più i gerosolimitani
hanno voluto aprire, la Madonna era nella folla. Nella notte del tradimento e
dell’arresto ella vegliava, nella casa dell’apostolo Tommaso dove si era ricoverata
e fu l’apostolo Marco, sfuggito alle persecuzioni dei soldati di Pilato, che l’avvertì
del terribile fatto. Ed ella si mette in cerca di suo figlio, con le altre pie donne: e
tutte insieme, lacrimando, senza lamenti, passano la notte dal giovedì al venerdì,
fuori la casa del pontefice Hannah, dove Gesù era carcerato. Non sanno nulla le
pie donne: salvo che il biondo e giovane profeta è preso dai suoi nemici: solo la
madre sa che egli è perduto. Lacrima e tace. E nell’ora in cui la Passione
comincia, quando egli è condannato nel pretorio di Pilato, quando egli esce con
la Croce sulle spalle e inizia il più duro cammino, Maria gli va incontro. Gesù,
vedendola, leva il capo, la saluta: salve, mater! Ed ella? Ella tace. È impietrita. Un
supremo spasimo serra il suo cuore e, appoggiata alle altre donne, scalza, coi
capelli discinti sotto l’azzurro manto, col volto straziato, ella cammina dietro il
figliuolo, così, con la fissità di un cuore che non conosco più scampo. Essa non
domanda, non si lagna, non geme: ma, in verità, non vi è nel mondo, un dolore
simile al suo dolore. Madri che adorate i vostri figliuoli, ditelo voi! Madri che avete
avuto il terrore della morte, vicino al letto di un figliuolo, parlate, parlate voi! Ella è
irrigidita, ma si avanza, ma va, legata con le viscere e col cuore a quel martire,
che si curva sotto la croce, trascinata da quell’istinto sublime, reso infinito
dall’adorazione della donna per il Signore.
Chi mai dipinse bene il volto di Maria, mentr’ella seguiva suo figlio, nella via
della croce, dal Pretorio al Golgotha? Chi mai interpretò questo dolore ineffabile e
senza confine? Nessuno. Maria è passata dalle visioni degli artisti nell’arte, in tutte
le forme della sua castità, della sua purezza, della sua tenerezza lieta, ma niuno
ha creato il viso terribile della madre fra le madri, straziato in quel momento, da
uno spasimo che non ha nome. Questa tragedia materna sgomentò la mano di
ogni artefice e solo la nostra fantasia può supporre, nei suoi sogni, questo
spettacolo di terrore e di pietà. Ella giunge al luogo della sua morte: ella è lì, a
pochi passi: non può accostarsi, non le lasciano abbracciare la croce: e allora
tutta la vita di Maria si concentra negli occhi. Ella guarda morire Gesù. Una
madre! La storia non dice dei suoi pianti, dei suoi gemiti. Nei suoi occhi le lacrime si
sono disseccate, la voce si è spenta nella gola. Nulla le potrà mai far distogliere lo
sguardo dall’agonia di suo figlio. Giammai sguardo ebbe maggiore intensità: e
giammai zolla di terra sostenne uno strazio così immenso, in così lieve persona. Qui,
in questo punto, tutti coloro che hanno sofferto, dovrebbero venire e baciare la
terra, pensando che nessuno di essi provò il dolore che Maria ha provato,
guardando morire suo figlio. Egli emette il grido supremo, il cielo si oscura, la terra
trema, il velo del tempio si fende: ella non trasalisce, guarda, aspetta quel
cadavere: e come cade la notte, il pietoso Giuseppe di Arimatea e i discepoli più
fedeli calano quel corpo. Allora soltanto le materne braccia si schiudono e
serrano quella salma e il volto della madre tocca quello del figlio, nell’ultimo
bacio.
Marta, Maria di Cleofe, Maria Maddalena, qualche discepolo di Gesù
lasciano Gerusalemme, temendo le persecuzioni: una barca peschereccia li porta
da Jaffa alle coste della Provenza. La Madonna resta a Gerusalemme: ella ha una
cara tomba da custodire, da visitare, ogni giorno. Suo figlio è salito al cielo, la
fede si comincia a propagare, ma ella non si muove dal paese, dove Gesù ha
sofferto ed morto. Addio, dunque, bel paese florido di Galilea! Non più i tuoi
sentieri saranno percorsi dal piede leggiero della Vergine: non più ella porterà la
sua anfora alla fontana: non più ella rivedrà la piccola casa di Nazareth che i
profumi degli orti carezzavano, nè Cana la gentile, nè la piccola Sephoris, ove ella
nacque: non più rivedrà i suoi amici e i suoi parenti. Ella resta dove la tragedia di
Cristo ha avuto il suo cruento scioglimento, ella non vuole dimenticare, ella vive
fra la tristezza e la preghiera. La bella fontana di Siloè, fuori di Gerusalemme, vede
questa donna, talvolta, chinarsi pensosa sulle misteriose acque, che fuggono, che
si nascondono e che riappariscono: ma è un volto consumato dagli anni e dai
dolori, la bruna giovanetta che ebbe l’annunzio di Gabriele, è una sottile matrona
su cui la vita ha impresso i suoi solchi. Ella vive sempre in casa dell’apostolo
Tommaso, che la circonda di una pietà filiale, nella memoria del Cristo. Sino a che
un giorno, salendo per il colle degli Ulivi, ancora una volta, Gabriele le appare:
egli ha una palma, nella mano: le dice che il corso della sua vita è finito, e che
Gesù si degna di richiamarla alla Sua gloria. Ella è vecchia, è stanca, ha desiderio
di morte e di cielo; la divina ambasciata la trova pronta, come allora, nella
casetta di Nazareth, adesso, a Gerusalemme. Ella sale a suo figlio; lascia cadere
la sua bianca cintura, perchè Tommaso la raccolga, in ricordo. La sua umile e
grande istoria, sulla terra, è finita.
{Nel paese di Gesù - Matilde Serao}