mercoledì 26 febbraio 2014

Santo Rosario meditato con Papa Giovanni XXIII

MISTERI GAUDIOSI

Annunciazione dell'Angelo a Maria

Primo punto luminoso, questo, a congiungere cielo e ter­ra: primo di quelli che sono i più grandi avvenimenti, nei secoli. Il Figlio di Dio, Verbo del Padre, «per cui tutto fu fatto quanto fu fatto» (Gv 1,3) nell'ordine della creazione, assume in questo mistero l'umana natura, egli stesso diventa uomo, pur di potere, dell'uomo e dell'umanità intera, essere il redentore, il salvatore. Maria Immacolata, fiore della creazione, il più bello, il più fra­grante, col suo «Ecco l'ancella del Signore» (Lc 1,38) dato in ri­sposta alla voce dell'Angelo, accetta l'onore della divina maternità, la quale nell'istante stesso si compie in lei. E noi, nati un giorno col nostro padre Adamo, già figli adottivi di Dio, quindi decaduti, torniamo oggi altrettanti fratelli, figli adottivi del Padre, restituiti all'adozione con la redenzione che s'inizia. Noi saremo, ai piedi della croce, figli di Maria con quel Gesù che oggi da lei vien conce­pito. Sarà, da oggi, «mater Dei», e poi «mater nostra». Oh sublimità, oh tenerezza del primo mistero! 1006. A rifletterci, il nostro dovere principale, continuo, sta nel ringraziare il Signore, che si è degnato di venire a salvarci, perciò si è fatto uomo, uomo nostro fratello: con noi si è associato alla condizione di figlio di donna, di questa donna facendoci, ai piedi della croce, figli di adozione. Figli adottivi del Padre Celeste, ci ha voluti figli della stessa madre sua. Intenzione di preghiera, nella contemplazione di questo che è il primo quadro offerto alla nostra contemplazione, oltre la peren­nità abituale del ringraziamento, sia uno sforzo, ma sincero, ma reale, di umiltà, di purezza, di carità viva, altrettante virtù delle quali la Vergine benedetta porge a noi così prezioso esempio.

Visita di Maria alla cugina Elisabetta

Che soavità, che grazia, in codesta visita di tre mesi, fatta da Maria alla diletta cugina! L'una e l'altra, depositarie di una ma­ternità imminente: per la Vergine madre, la maternità più sacra che sia possibile anche soltanto immaginare sulla terra. Una dolcezza d'armonia si alterna nei due canti che si intrecciano: «Tu sei bene­detta fra le donne» (Lc 1,42), da una parte; dall'altra: «Il Signore ha guardato alla umiltà della sua ancella: tutte le generazioni mi chameranno beata» (Lc 1,48). Quanto qui accade, ad Ain-Karim, sul colle di Ebron, illumina di una luce, umanissima e celeste insieme, quali sono i rapporti che legano le buone famiglie cristiane, educate alla scuola antica del santo rosario: rosario recitato ogni sera in casa, nel cerchio degli intimi; rosario recitato, non in una o cento o mille famiglie ma da tutte, da tutti, in tutti i luoghi della terra, ovunque «soffre, com­batte e prega » 2 qualcuno di noi, chiamato da un'alta ispirazio­ne, o il sacerdozio, o la carità missionaria, o un sogno che avve­riamo di apostolato; oppure chiamati da uno di quei tanti motivi, tanto legittimi che sono persin doverosi, del lavoro, del commer­cio, del servizio militare, dello studio, dell'insegnamento, di altra qualsiasi occupazione. 1008. Bel ricongiungerci, durante le dieci avemarie del mistero, tra tante e tante anime, unite per ragione di sangue, per vincolo domestico, per un rapporto che santifica, e perciò rinsalda, il sen­timento d'amore che stringe le persone più care: tra genitori e fi­gli, tra fratelli e congiunti, tra conterranei, tra appartenenti a uno stesso popolo. Tutto ciò, allo scopo e in atto di sorreggere, accre­scere, illuminare la presenza di quella universale carità, l'esercizio della quale è la gioia più profonda e il più alto onore nella vita.

Nascita di Gesù nella capanna di Betlemme

Nell'ora che le leggi dell'assunta natura umana segnava-no, il Verbo di Dio, fattosi uomo, esce dal tabernacolo santo che è il seno immacolato di Maria. Prima sua apparizione nel mondo, in una mangiatoia: ivi le bestie digrumano il fieno e tutto intorno è silenzio, povertà, semplicità, innocenza. Voci di angeli trascor­rono per il cielo, ad annunziare la pace: quella pace, della quale è apportatore all'universo il bambino nato allora allora. Primi ado­ratori, Maria, la madre, e Giuseppe, il padre putativo; dopo di lo­ro, umili pastori che, invitati da voci angeliche, son discesi dalla collina. Giungerà più tardi una carovana di gente illustre, prece­4uta lontano lontano da una stella, e offrirà doni preziosi, pieni di reconditi significati. Tutto, nella notte di Betlemme, parla un linguaggio di universalità. 1010. Nel mistero, non un ginocchio che non si pieghi adorando innanzi alla cuna. Non uno che non vegga gli occhi del divino in­fante, che guardano lontano, quasi in atto di scorgere a uno a uno i popoli tutti della terra, i quali passano tutti, uno dopo l'altro, come in una rivista, alla sua presenza, ed egli tutti li riconosce, tutti li identifica, li saluta sorridendo tutti: ebrei, romani, greci, cinesi, indiani, popoli dell'Africa, popoli di qualsivoglia regione dell'uni­verso, di qualsivoglia epoca della storia, regioni le più dissite e de­serte, le più remote, segrete, inesplorate: epoche passate, presenti, future. Al Santo Padre, nel defluire delle dieci avemarie, piace racco­mandare, a Gesù che nasce, il numero senza numero di tutti i bam­bini - quanti sono! una moltitudine sterminata - di tutte le stirpi, umane, che nelle ultime ventiquattro ore, di notte, di giorno, ven­gono alla luce un po' dappertutto sulla faccia della terra. Quanti sono! e tutti, battezzati che saranno o no, appartengono tutti, di diritto, a Gesù, a questo bambino che nasce in Betlemme; son suoi fratelli, chiamati al proseguimento di quella dominazione di lui che è la più alta e la più dolce che sia nel cuore dell'uomo e nella storia del mondo, la sola degna di Dio e degli uomini: una dominazione di luce, una dominazione di pace: il «regno» che chiediamo nel Pater noster.

Presentazione di Gesù al tempio

Gesù, sorretto dalle braccia materne è proteso al sacerdo­te, e insieme protende innanzi le braccia sue: è l'incontro, è il con­tatto dei due Testamenti. Si avvia verso «la luce a rivelazione delle genti » (Lc 2,32), egli, splendore del popolo eletto, figlio di Maria. Presente e presentatore anche lui, san Giuseppe, che partecipa del pari ai riti delle offerte legali che sono di prescrizione. 1012. L'episodio, in altra maniera ma analogo nella sostanza del­l'offerta, torna di continuo nella Chiesa, anzi vi si è perpetuato: nell'atto che ripetiamo le avemarie, quanto è bello contemplare il campo che germina, la messe che s'innalza: «Sollevate gli occhi verso il campo, che già tutto albeggia di messi» (Gv 4,35). Sono le speranze sorgenti, lietissime, del sacerdozio, dei cooperatori e delle cooperatrici del sacerdozio, così in gran numero nel regno di Dio e tuttavia non bastanti mai! giovani nei seminari, nelle case religiose, negli studentati missionari, persino - e perché no? non sono cristiani anche loro, chiamati anche loro ad essere apostoli? - nelle università cattoliche; e le speranze di tutti gli altri virgulti dell'apostolato futuro e imprescindibile dei laici: apostolato, che nel suo espandersi, nonostante difficoltà e contrasti, persino entro le nazioni tribolate dalla persecuzione, offre e non cesserà mai di offrire uno spettacolo così consolante, da strappare parole d'am­mirazione e di letizia. «Luce a rivelazione delle genti» (Lc 2,32), gloria del popolo eletto.

Gesù ritrovato fra i dottori nel tempio

Gesù conta ormai dodici anni. Maria e Giuseppe l’accompagnano a Gerusalemme, per la preghiera rituale. D’improvviso, scomparisce dai loro occhi, pur cos’ vigilanti, così amorosi. Affanno grande, e una ricerca che si protrae vana per tre giorni. Alla pena succede la gioia d'averlo trovato, lì, sotto gli atrii circostanti del tempio. Egli ragionava coi dottori della legge; e con quali pa­role significative ce lo rappresenta san Luca, nella più meticolosa precisione! Lo trovano, dunque, seduto fra mezzo ai dottori « au­dientem illos et interrogantem eos » (Lc 2,46), in atto di ascoltarli, di interrogarli. Un incontro coi dottori, allora, importava molto, significava tutto: conoscenza, sapienza, indirizzo di vita pratica nel­la luce del Testamento antico.Tale, in ogni tempo, il compito della intelligenza umana: racco­gliere le voci dei secoli, trasmettere la dottrina buona, spingere con fermezza e con umiltà più innanzi lo sguardo della investigazione scientifica; noi moriamo uno dopo l'altro, andiamo a Dio; l'uma­nità va verso l'avvenire. Il Cristo, come nella luce d'oltre natura così nelle luci naturali, non è mai assente: vi si trova sempre nel mezzo, al suo posto: «Ma­gister vester unus est, Christus » (Mt 23,10). 1014. Questa che è la quinta serie di dieci avemarie, ultima dei misteri gaudiosi, riserviamola come una invocazione del tutto spe­ciale a tutto beneficio di quanti vennero chiamati da Dio, per doni di natura, per circostanze di vita, per desiderio di superiori, al ser­vizio della verità, nella ricerca o nell'insegnamento, nella diffusio­ne della scienza antica o delle tecniche nuove, per il tramite dei libri o degli spettacoli audiovisivi, invitati tutti a imitare Gesù anch'es­si. Sono gli intellettuali, i professionisti, i giornalisti; costoro, i gior­nalisti specialmente, ai quali spetta quotidianamente il compito caratteristico di far onore alla verità, debbono trasmetterla con re­ligiosa fedeltà, con estrema saggezza, senza fantastiche distorsioni e contraffazioni. Sì, sì, per tutti costoro preghiamo, siano sacerdoti, siano laici: preghiamo che la verità sappiano ascoltarla, e ci vuol tanta purez­za del cuore; sappiano intenderla, e ci vuol tutta l'umiltà intima della mente; sappiano difenderla, e occorre quella che fu la forza di Gesù ed è la forza dei santi, l'obbedienza. Soltanto l'obbedien­za ottiene la pace, ossia la vittoria.



MISTERI DOLOROSI

Gesù nel Getsemani

La mente commossa torna di continuo sulla immagine del Salvatore, fl, nel luogo e nell'ora del supremo abbandono: «...E diede in un sudore, come di gocce di sangue che scorreva a terra » (Lc 22,44). Pena intima dell'animo, amarezza estrema della soli­tudine, venir meno del corpo affranto. Non può essere determina­ta l'agonia che dalla imminenza di quella passione che Gesù ormai vede non più lontana, non più vicina, ma presente ormai. La scena del Getsemani ci conforta e incoraggia a tendere tutta la volontà nell'accettazione, un'accettazione piena della sofferen­za, quando chi quella nostra sofferenza vuole o permette è Iddio: «Non mea voluntas sed tua fiat » (Lc 22,42). Parole che straziano e che risanano, perché insegnano a quale incandescenza di fuoco può e deve giungere il cristiano che soffre insieme con Gesù che soffre, e dànno, come in un ultimo tocco, la certezza, per noi, dei meriti più inenarrabili, i meriti della vita divina in noi, vita viva in noi oggi nella grazia, domani nella gloria. 1016. Una intenzione particolare va tenuta innanzi agli occhi qui, nel presente mistero: la «sollicitudo omnium ecclesiarum » (2Cor 11,28), l'ansia che scuote, come il vento che scoteva il lago di Ge­nezaret: «il vento infatti era contrario » (Mt 14,24), la preghiera quotidiana del Santo Padre, l'ansia delle ore più trepide dell'altis­simo ministero pastorale; l'ansia della Chiesa che sparsa per tutta la terra soffre con lui, e, insieme, egli soffre con la Chiesa, presen­te in lui e sofferente in lui; l'ansia di anime e anime, porzioni inte­re del gregge di Gesù, soggette alle persecuzioni contro la libertà di credere, di pensare, di vivere. «Chi sta male e non sto male an­ch'io?» (2Cor 11,29). Partecipare ai dolori dei fratelli, patire con chi patisce, «fiere cum flentibus » (Rm 12,15), costituisce un beneficio, un merito per tutta la Chiesa. La « comunione dei santi » non è questo avere tut­ti e ciascuno in comune il sangue di Gesù, l'amore dei santi e dei buoni, e, anche, ahimè, il nostro peccato, le nostre infermità? Ci si pensa mai a questa « comunione », che è unione e quasi, come Gesù diceva, unità: «che siano uno » (Gv 17,22)? La croce del Signore non soltanto innalza noi ma attrae le anime, sempre: «e io, se sarò sollevato da terra, tutto attrarrò a me» (Gv 12,32). Tutto, tutti.

Flagellazione

Il mistero ci propone al ricordo il supplizio, così spietato, delle tante battiture sulle membra immacolate e sante di Gesù. Il composto umano risulta d'anima e corpo. Il corpo subisce le tentazioni più umilianti; la volontà, anche più debole, può venire di leggieri trascinata. Si troverà dunque nel mistero un richiamo a quella penitenza, salutare penitenza, perché implica e importa la salute vera dell'uomo, che è salute nella sua validità corporale ed è insieme salute nel senso di salvezza spirituale. Grande è l'insegnamento che ne discende, per tutti. Non saremo chiamati al martirio cruento, ma alla disciplina costante, alla mor­tificazione quotidiana delle passioni sì. Orbene, per cotesta stra­da, vera «via della croce », strada quotidiana, inevitabile, indi­spensabile, che può anche a volte diventare eroica nelle sue esigen­ze, noi si arriva un passo dopo l'altro alla rassomiglianza sempre più perfetta con Gesù Cristo, alla partecipazione dei suoi meriti, all'abluzione nel suo sangue immacolato, di ogni colpa in noi e in tutti. Non vi si giunge per via di facili esaltazioni, di fanatismi ma­gari innocenti, mai innocui. 1018. La Madre, addolorata, lo vide flagellato così: pensiamo con che afflizione! quante mamme vorrebbero poter gioire del per­fezionamento dei loro figlioli, avviati e iniziati da loro alla disci­plina di una buona educazione, di una vita sana, e debbono, invece, piangere allo svanire di tante speranze, nel pianto che tante ansie non sono approdate a nulla. Le avemarie del mistero chiederanno dunque al Signore in dono la purezza del costume nelle famiglie, nella società, specialmente nelle anime giovanili, le più esposte alla seduzione dei sensi; chie­deranno insieme il dono i una robustezza di carattere, d'una fe­deltà a tutta prova agli insegnamenti ricevuti, ai propositi fatti.

Coronazione di spine

La contemplazione del mistero in singolar modo si addice a coloro che portano il peso di responsabilità gravi, nella direzione del corpo sociale: è dunque il mistero dei governanti, dei legislato­ri, dei magistrati. Sul capo di questo Re, ecco la corona di spine. Anche sul loro capo viene imposta una corona, corona innegabil­mente fulgente d'una aureola di dignità e distinzione, corona di una autorità che vien da Dio ed è divina; tuttavia è talmente intes­suta d'elementi che pesano, che pungono, che rendono perplessi e vorrebbero persino amareggiarci, da spine insomma e da fastidi; senza parlare del dolore che ci recano i malanni e le colpe degli uomini, quanto più li si ama, e si ha il dovere d'essere per loro co­lui che rappresenta il Padre che è nei cieli. L'amore stesso diviene allora, come per Gesù, una corona di spine che gli uomini crudeli intessono sul capo a chi li ama. Altra applicazione utilè del mistero potrebbe essere, pensare a quelle che sono le gravi responsabilità di chi avesse ricevuto maggiori talenti, ed è pertanto tenuto a farli fruttificare in egual misura, attraverso un esercizio continuato delle sue facoltà, del­la sua intelligenza. Il servizio del pensiero, vale a dire l'impegno che si richiede a chi più ne fosse dotato, in luce e a guida di tutti gli altri, deve essere compiuto con tutta pazienza, respingendo le tentazioni dell'orgoglio, dell'egoismo, della disgregazione che de­molisce.

Via della croce

La vita umana è un pellegrinare continuo, lungo e pesan­te. Su su, per l'erta sassosa, per la strada segnata a tutti su quel colle. Nel mistero attuale, Gesù rappresenta il genere umano. Guai se per ciascuno di noi non ci fosse la sua croce: l'uomo, tentato di egoismo, d'insensibilità, o prima o poi soccomberebbe per via. Dalla contemplazione di Gesù che ascende al Calvario, noi ap­prendiamo, col cuore prima che con la mente, ad abbracciare e ba­ciare la croce, a portarla con generosità, con trasporto, secondo le parole dell'Imitazione di Cristo: «Nella croce sta la salvezza, nella croce sta la vita, nella croce sta la protezione dai nemici, l'ef­fusione di una celeste soavità» (IC 2.12). E come non estendere la preghiera a Maria che seguì, addolora­ta, Gesù con uno spirito ditale e tanta partecipazione ai suoi meri­ti, ai suoi dolori? Il mistero ci ponga davanti agli occhi la visione immensa di tanti poveri tribolati: orfani, vecchi, malati, prigionieri, deboli, esiliati. Per tutti, chiediamo la forza, chiediamo la consolazione che sola dà speranza. Ripetiamo con tenerezza, e perché no? con qualche lagrima nascosta: «O crux, ave, spes unica »

La morte di Gesù

«Vita et mors duello conflixere mirando »: vita e mor­te presentano i due punti significativi e risolutivi del sacrificio di Cristo. Dal sorriso di Betlemme, che si accende in tutti i figli degli uomini al loro primo apparire sulla terra, l'anelito e singulto ulti­mo sulla croce, che accolse in uno tutti i dolori nostri per santifi­carli, che espiò tutti i peccati nostri per cancellarli, ecco la vita di Gesù nella nostra vita. E Maria sta lì, accanto alla croce, come stava accanto al Bimbo in Betlemme. Preghiamola, questa madre, pre­ghiamola che preghi anch'essa per noi, «nunc et in hora mortis nostrae ». Nel mistero potrebbe vedersi adombrato il mistero di coloro che mai nulla sapranno - quale tristezza immensa - del sangue che è stato versato anche per loro dal Figlio di Dio; il mistero soprat­tutto dei peccatori ostinati, degli increduli, di quelli che ricevette­ro, e ricevono e poi la rifiutano, la luce del Vangelo! Così pensando, la preghiera si dilata in un respiro vastissimo, in un singhiozzo di accorata riparazione verso orizzonti mondiali di apostolato; e si domanda, di gran cuore, che il sangue preziosissimo versato per tutti gli uomini, doni alla fine, doni a tutti gli uomini la salvezza e la conversione: e il sangue di Gesù dia a tutti l'arra, il pegno di una vita eterna.




MISTERI GLORIOSI

Risurrezione di Nostro Signore

E’ questo il mistero della morte affrontata e vinta. La ri­surrezione segna il trionfo maggiore di Cristo, e insieme l'assicu­razione del trionfo per la santa Chiesa cattolica, di là dalle avversità, di là dalle persecuzioni, ieri nel passato, domani nell'avvenire. «Christus vincit, regnat, imperat ». Fa bene ricordarlo, la prima delle apparizioni del Cristo risorto, fu per le pie donne, familiari alla sua umile vita, rimastegli vicine nelle sofferenze di lui sino al Calvario, sino al Calvario compreso. Tra i fulgori del mistero, lo sguardo della nostra fede contempla viventi, unite ormai con Gesù risorto, le anime a noi più care, le anime di coloro dei quali godemmo la familiarità, condividemmo le pene. Come ci si ravviva nel cuore, alla luce della risurrezione di Gesù, il ricordo dei nostri morti! Ricordàti da noi e suffragati nel sacrificio stesso del Signore crocifisso e risorto, partecipano an­cora della nostra vita migliore, che è la preghiera ed è Gesù. Non per nulla la liturgia orientale conclude il rito funebre con l'alleluja per tutti i morti. Invochiamo ai morti la luce dei taberna­coli eterni, mentre il pensiero si dirige nello stesso tempo alla ri­surrezione che attende le nostre stesse spoglie mortali: «et exspecto resurrectionem mortuorum ». Saper aspettare, confidar sempre nel­la promessa soavissima di cui la risurrezione di Gesù ci dà il pegno sicuro, ecco, questo è un pregustare il cielo.

Ascensione di Gesù al cielo

In questo quadro, contempliamo la «consummatio », quanto dire il compimento ultimo delle promesse di Gesù. E la ri­sposta che dà lui al nostro anelito verso il paradiso. Il definitivo ritorno suo al Padre, dal quale egli un giorno discese tra noi nel mondo, è sicurezza per tutti noi, ai quali egli ha promesso e prepa­rato un posto lassù: «vado parare vobis locum » (Gv 14,2). Il mistero, innanzi tutto, ci si presenta come luce e indirizzo di quelle anime che siano studiose ciascuna della propria vocazione. Vi si legge dentro quel movimento spirituale, quell'ardore di con­tinua ascensione che brucia nel cuore ai sacerdoti, non trattenuti e non distratti da beni della terra, intesi unicamente ad aprirsi le vie, e aprirle agli altri, che portano alla santità e alla perfezione; a quel grado, cioè, di grazia al quale debbono, in privato o in co­mune, giungere sacerdoti, religiosi, religiose, missionari, missio­nane, laici innamorati di Dio e della Chiesa, molte anime, quelle anime almeno che sono come il buon profumo di Cristo (2Cor 2,15); e dove son loro si sente Gesù vicino: vivono infatti di già in una comunicazione continuata di vita celeste. Questa posta di rosario ci insegna ed esorta a non lasciarci trat­tenere da ciò che aggrava, appesantisce; ad abbandonarci, invece, alla volontà del Signore che ci spinge in alto. Le braccia di Gesù, nell'ora del suo ritorno al Padre ascendendo al cielo, si allargano in atto di benedizione sopra i primi apostoli, sopra tutti coloro che, nella loro traccia, continuano a credere in lui, ed è nel loro cuore una placida e serena sicurezza dell'incontro ultimo con lui e con tutti i salvati, nella felicità eterna.

Discesa dello Spirito Santo

Gli apostoli nell'ultima cena ricevettero la promessa dello Spirito; nel Cenacolo poi, scomparso Gesù ma presente Maria, lo ricevono come dono supremo di Cristo; che altro è infatti il suo Spirito? ed è il consolatore, è il vivificatore delle anime. Lo Spirito Santo continua le sue effusioni sulla Chiesa e nella Chiesa ogni gior­no: secoli e popoli appartengono allo Spirito, appartengono alla Chiesa. I trionfi della Chiesa non sono sempre palesi, esteriormente; di fatto, ci son sempre e sempre son ricchi di sorprese, spesso di meraviglie. Le avemarie del mistero che meditiamo mirano verso una spe­ciale intenzione, in questo anno di fervore in cui tutta la Chiesa santa che è pellegrina nel mondo, la vediamo avviarsi e prepararsi al Concilio Ecumenico. Il Concilio ha da riuscire una Pentecoste novella di fede, di apostolato, di grazie straordinarie, per la pro­sperità degli uomini, per la pace del mondo intero. Maria, la ma­dre di Gesù, sempre dolcissima madre nostra, si trovava insieme con gli apostoli, nel Cenacolo della Pentecoste. Restiamo sempre più vicini a lei, nel rosario, in questo anno. Le nostre preghiere unite con la sua rinnoveranno l'antico prodigio; e sarà come il sor­gere d'un nuovo giorno, un'alba vivissima della Chiesa cattolica, santa e sempre più santa, cattolica e sempre più cattolica, nei tem­pi moderni.

Maria assunta in cielo

L'immagine sovrana di Maria si accende e si irraggia, nel­la esaltazione suprema a cui può giungere una creatura. Che scena di grazia, di dolcezza, di solennità, la dormizione di Maria, così come i cristiani di Oriente la contemplano! Distesa essa nel sonno placido della morte, Gesù le sta accanto, la trattiene presso il cuor suo, come se l'anima di Maria fosse un bambino, a indicare il pro­digio della immediata risurrezione e glorificazione. I cristiani di Occidente preferiscono seguire, levando gli occhi e il cuore, Maria che è assunta, in anima e corpo verso i Fegni eter­ni. Così l'han vista e rappresentata gli artisti piu insigni, incompa­rabile di divina bellezza. Oh, seguiamola pure così, lasciamoci rapire anche noi fra l'angelico corteo. Motivo di consolazione e di fiducia, in giorni di dolore, a quelle anime privilegiate - come tutti noi possiamo essere, soltanto se rispondiamo alla grazia, - che Iddio prepara nel silenzio al trion­fo più bello, il trionfo dell'altare. Il mistero dell'Assunta ci rende familiare il pensiero della mor­te, della nostra morte, e diffonde in noi una luce di placido abban­dono; ci familiarizza e riconcilia con l'idea che il Signore sarà, come vorremmo che fosse, vicino alla nostra agonia, a raccogliere lui fra le mani sue l'anima nostra immortale. «Gratia tua nobis tecum, Virgo Immaculata».

Coronazione di Maria sopra tutti i cori degli Angeli e dei Santi

E’ la sintesi di tutto il rosario, che si chiude così nella leti­zia e nella gloria. Quella grande missione, che aprì col suo annunzio l'Angelo a Maria, a modo di una corrente di fuoco e di luce, è passata via via attraverso i singoli misteri: il disegno eterno di Dio per la no­stra salvezza, che vi è rappresentato in tanti quadri, ci ha sin qui accompagnato e ci ricongiunge ora a Dio nello splendore dei cieli. La gloria di Maria, madre di Gesù e madre nostra, si accende nella luce inaccessibile della Trinità augusta, e si riflette come un riverbero bagliante, nella santa Chiesa: trionfante nei cieli, pa­ziente nella sicura attesa del purgatorio, litante sulla terra. 1027. O Maria, tu preghi con noi, tu preghi per noi. Noi lo sap­piamo, noi lo sentiamo. Oh, quale delizia di realtà, altezza di glo­ria, in questa celeste e umana corrispondenza di affetti, di voci, di vita, che il rosario ci ha apprestato e appresta: temperamento della umana afflizione, pregusto di oltremondana pace, speranza di vita eterna!

{da "Il giornale dell'anima"}