mercoledì 30 aprile 2014

Da "La S. Sindone e la scienza medica" del dott. Giuseppe Toscano

La via dolorosa

Il patibulum

Il santo Vangelo ci dice che dopo la flagellazione e l'incoronazione di spine, Gesù indossò  di nuovo le sue vesti (Mt. 27, 31). Pilato sperava ancora di sal­varlo.

Dopo la condanna, però, Gesù non fu spogliato delle sue vesti e andò al Calvario vestito. Proba­bilmente si capì che Gesù era all'estremo delle sue forze e che se, togliendogli le vesti di dosso, si fos­sero riaperte le ferite, Gesù non avrebbe potuto vivere fino al Calvario. Il fatto è che Gesù andò al Calvario vestito, e il Vangelo lo fa notare, proprio perché la cosa era contraria all'uso vigente: i condannati alla croce venivano condotti al luogo del supplizio completamente nudi e flagellati durante il percorso.

La notizia dell'Evangelista ha una conferma nella Santa Sindone. Se Gesù avesse portato la trave sulle spalle scoperte, già lese dai flagelli, essa avrebbe slabbrate ed estese le lacerazioni già esistenti (quelle della flagellazione) fino a formare un'unica grande piaga: le spalle, invece, pur mostrandosi, escoriate e contuse, lasciano anche vedere le lesioni provocate dai flagelli. Tutto ciò potè avvenire perché le spalle erano protette dalla veste.



La tavola appesa al collo

Altro motivo di grave sofferenza per il Signore dovette essere il "titolo" che portava appeso al collo. Il "titolo" era una tavoletta su cui era scritto il nome del condannato e talora anche il suo misfatto. Dal Vangelo sappiamo che nel "titolo" portato da Gesù vi era il suo nome: "Gesù di Nazareth", e il motivo per cui era stato condannato: "Re dei Giudei"; ed anche sappiamo che la scritta era ripetuta in tre lin­gue: ebraica, greca e latina.

Doveva quindi essere una tavola di almeno cm. 80x30. Ciò che dava disturbo non era soltanto il suo peso ma specialmente il fatto che, ballonzo­lando sul davanti, faceva perdere l'equilibrio già così instabile del Signore; inoltre impediva la vista per cui Gesù non vedeva ove metteva i piedi, ed anche peggiorava la situazione delle cadute, per­ché quando il Signore cadeva, il "titolo" appeso al collo poteva essere in una posizione tale da pro­vocare gravi dolori e disagio al Signore. La corda poi, cui era appesa la tavola, gli girava intorno al collo e dovette procurargli un dolore, come dire, di segamento al collo. Fu tale tavola, divenuta un terribile strumento di tortura a lasciare traccia di sé sul volto di Gesù nella Sindone? Il Prof. Marastoni, infatti, servendosi di ingrandimenti fotografici e di fotografie tridimensionali, scoprì la presenza di varie lettere sul volto del Signore, sia in alfabeto ebraico sia in caratteri dell'alfabeto latino lapidario. In modo particolare sulla guancia destra sono ben leggibili le lettere S NAZARE. La mente non può non pensare alle parole Jesus Nazarenus che sap­piamo essere state scritte in tre lingue sul titolo. È possibile quindi che Gesù, cadendo, abbia sbattuto il volto sulla tavola del titolo e che le lettere, che dovevano essere ancora fresche perché scritte da poco tempo, abbiamo lasciato sul suo volto la loro impronta. Sembra anche che il Signore abbia por­tato al collo una tavoletta molto più piccola della precedente con le sole parole IN NECE (M) e cioè (condannato) "a morte". Infatti parti di tale scritta si leggono tre volte sul volto della S. Sindone, in caratteri onciali (cioè dell'altezza di cm. 2,5), come erano in uso nel primo secolo.



Il triste corteo

Quando i condannati erano più di uno, venivano legati fra di loro. Anzitutto venivano legate fra di loro le estremità destre di tutti i patiboli. Ogni condanna­to poi oltre ad avere l'estremità sinistra del suo pati­bolo legata al proprio piede sinistro, l'aveva anche legata al piede destro del condannato che precedeva.

Avendo le fotografie rafforzate del Dott. Lynn di Pasadena (U.S.A.), mostrato che soltanto la gamba si­nistra del Signore ha le lividure della corda intorno al piede, se ne può inferire che Gesù era al terzo posto nel gruppo. Infatti se fosse stato al primo o al secon­do posto presenterebbe i segni delle lividure della corda anche nella gamba destra. Ciò, come vedremo, costituirà per Lui una nuova fonte di disagi.


Le cadute

La tradizione ci ha tramandato la notizia di tre cadute di Gesù sotto il peso del patibulum. Di fatto dovettero essere molto più numerose.

Gesù aveva il suo patibolo legato alla estremità destra con quelli dei suoi compagni e all'estremità sinistra con il suo piede sinistro ed anche con il piede destro del compagno che lo precedeva. Ad ogni colpo di flagello dato - secondo il costume - ai due ladroni, costoro, che erano in piene forze, dovevano dimenarsi, agitarsi, trascinarsi a vicenda e spingersi l'un l'altro; le funi che legava­no fra loro i tre condannati erano molto corte, quindi chi ne andava di mezzo era il Terzo Condannato, il quale, avendo già subito la flagella­zione, procedeva a fatica sotto il peso del suo patibulum e veniva costretto a terra: il piede sini­stro legato all'estremità del patibolo si piegava e andava ad urtare violentemente contro le lastre di pietra della via come fan fede le grosse contusioni del ginocchio sinistro; il pesante patibolo, prima della caduta sostenuto obliquo sulla spalla destra, colpiva con tutto il suo peso la zona sottoscapola­re sinistra, già a sua volta ripetutamente martoriata dai colpi di flagello, e Gesù, cadeva pesantemente a terra non solo a peso morto, perché non poteva difendersi mettendo avanti le mani legate al pati­bolo, ma specialmente perché schiacciato sotto il peso dei cinquanta chili del patibolo che aveva sulle spalle.

E una volta a terra, Gesù, impossibilitato ad alzarsi perché privato dell'uso delle braccia e delle mani, veniva trascinato dai due ladroni e fatto oggetto di nuovi scherni e di nuovi maltrattamenti finché non fosse aiutato a risollevarsi; poi tutto il triste corteo riprendeva la via fino a quando, incontratosi con Simone di Cirene, il pesante pati­bolo di Gesù venne a lui affidato.

La S. Sindone ci dà una documentazione im­pressionante delle cadute di Gesù, specialmente nelle lesioni del volto e delle ginocchia.
(...)

La finta compassione

Ci dice il Vangelo "Mentre lo conducevano via, presero un certo Simone di Cirene e gli misero addosso la croce da portare dietro a Gesù" (Lc 23, 26).

Bisogna dire che ad un certo momento le con­dizioni di Gesù si fecero così allarmanti che si giudicò non avrebbe più potuto continuare e giunge­re vivo al Calvario. E se Gesù fosse morto, il Sinedrio non avrebbe potuto dare il tanto bramato spettacolo di mostrarlo a tutti crocifisso. Di qui la finta compassione dei Giudei che obbligarono Simone Cireneo a portare il patibulum, per alleg­gerirne Gesù ed evitare che egli morisse.

Tutto ciò fu di enorme sollievo a Gesù non solo pel peso di cui fu liberato ma per la libertà di movimenti che acquisiva.

Fu forse la sua SS. Madre ad aiutarlo a prose­guire? L'arte ci mostra spesso Maria nell'atto di aiu­tare Gesù a salire al Calvario.

Quello che è certo è che la tradizione ci mostra Gesù talmente sfinito che continua a cadere, e questa tradizione, mentre ha fissato nella Via Crucis una sola caduta di Gesù prima che fosse alleggerito del peso del patibolo, ne commemora due dopo che ne era stato liberato, segno questo che Gesù continuò a cadere per lo sfinimento ter­ribile cui era giunto.


La crocifissione

L'antichità non ha riprodotto per tre secoli la scena della crocifissione perché, conoscendo la tragica realtà di questo atroce supplizio, che Cicerone definì "crudelissimum teterrimumque", il cuore umano rifuggiva dal rappresentarlo; quando questa pena andò in disuso la si rappresentò ma in modo ben lontano dalla realtà.

Già abbiamo accennato come avveniva. Arrivati sul luogo del supplizio, ove lo stipes o tronco ver­ticale della croce era già stato infisso al suolo, a Gesù steso a terra sul patibulum, vennero inchio­date le mani che formavano con il corpo un ango­lo di 90 gradi; indi il patibulum fu sollevato e posto sullo stipes. Ciò avveniva facilmente perché lo stipes non era alto più di due metri e la parte alta era adattata ad entrare nell'incastro già prepa­rato nel patibulum.

Innestato il patibulum sullo stipes, il corpo di Gesù pendette penzoloni, accasciatosi per il peso, mentre l'angolo del suo corpo con le braccia si portò da 90 gradi a 65 gradi. Era questo uno dei momenti più tragici, perché, portatesi le braccia verso la verticale, il crocifisso non poteva più espi­rare e provava subito un terribile senso di soffoca­mento. In tale posizione Gesù sarebbe morto in pochi minuti per asfissia se i carnefici non avesse­ro subito sollevato il suo corpo per riportare le braccia verso l'orizzontale, e non avessero flesse le sue ginocchia e inchiodati i piedi. In tal modo, Gesù puntando su di essi potè mantenersi più sol­levato ed espirare.


 I chiodi ai polsi

Secondo la S. Sindone i chiodi delle mani furo­no conficcati nei polsi: se fossero stati  conficcati nelle palme, il peso del corpo avrebbe lacerato la mano e il condannato non avrebbe potuto essere sostenuto. Nel polso, invece, che è formato da vari ossicini, il chiodo può penetrare facilmente e non v'è pericolo di laceramento. Ed infatti nella mano sinistra che è incrociata sulla destra all'altezza del polso, il segno della ferita del chiodo è a 8 cm. dalla testa del III osso metacarpico (dito medio), e cioè nel carpo, sulla linea di flessione del polso. Il carpo è formato da otto ossicini: fra quattro di questi ossicini (il capitato, l'uncinato, il piramidale e il semilunare) v'è lo spazio del Destot. In questo piccolo spazio, data la convessità di questi ossicini è facile piantare un chiodo, anche di 9 mm. di dia­metro. I carnefici conoscevano bene questo punto, che permette la sospensione di un grosso peso senza che la mano si laceri, per la presenza anche del robusto legamento trasverso del carpo.

 Inoltre in quel punto non passano né arterie né vene per cui non v'è pericolo di emorragie anche mortali, il che potrebbe accadere se si conficcasse un chiodo nel palmo della mano. Conficcando il chiodo nello spazio del Destot, però, si lede il nervo mediano. La lesione di questo nervo dà dolori atroci e caduta della pressione. Il dolore può essere così acuto da provocare shock e morte.

Sembra che la lesione di un grosso nervo, com'è il nervo mediano, sia il dolore più grande che un uomo possa sopportare. Probabilmente poi, il nervo non fu dal chiodo tagliato in due, ma solo in parte, per cui il dolore, essendo il nervo sempre a contatto con il ferro del chiodo, dovette persistere. Ogni movimento di Gesù, ogni scossa del suo corpo dovette rinnovare quel tremendo dolore veramente superiore alle forze umane.

Passando in quel punto il chiodo lede anche il nervo tenar che è sensitivo e motorio e provoca la contrazione dei muscoli tenar e la successiva opposizione intrapalmare del pollice, causando spasimo atroce. Ed infatti la S. Sindone ci presenta quattro dita delle mani, senza i pollici che sono in opposizione sotto il palmo.
(...)


La tavola del titolo

Il Vangelo ci informa che la scritta "Gesù Nazareno Re dei Giudei" fu posta al di sopra della testa (Mt. 28, 37). Anche di questo fatto, che avve­niva piuttosto raramente, troviamo conferma nella S. Sindone.

Abitualmente la tavoletta col nome del condan­nato e, più raramente, col motivo della condanna, veniva inchiodata insieme ai piedi che venivano inchiodati separatamente con due chiodi.

La S. Sindone ci rivela che i due piedi furono inchiodati sovrapposti, il sinistro sul destro ciò per­ché, come ci dice il Vangelo, la tavola del titolo fu posta al di sopra della croce. Riportando essa non solo il nome del Condannato ma anche la causa della condanna (Re dei Giudei), e in tre diverse lin­gue, ebraica greca e latina (Gv. 19, 20) le sue dimensioni (circa cm. 30x80) erano tali per cui fu necessario porla al di sopra della croce: i piedi quin­di poterono essere inchiodati con un solo chiodo, secondo l'usanza vigente, come ci rivela la S. Sindone. L'Evangelista Giovanni fa notare che "molti Giudei lessero questa scritta" (Gv. 19, 20).