Data l'imminenza del sabato, durante il quale i condannati non potevano restare sulla croce, i carnefici ne abbreviarono l'agonia inchiodando il Condannato direttamente alla croce, senza sostenerLo con funi.
Le braccia fissate in alto portavano ad una relativa immobilità del torace e quindi ad una grande fatica nella respirazione. Infatti, era facile compiere l'inspirazione per l'allargamento delle braccia, ma non si poteva compiere l'espirazione. Ciò portava ad un accumulo di acido carbonico nel sangue, e ad un aumento dell'acidità. L'acidità abbassa la soglia di eccitazione delle fibre muscolari per cui più facilmente i muscoli vanno in "fatica" e si ha la tetania e i conseguenti crampi.
L'acidità (e di conseguenza la "fatica" e la tetania) veniva aumentata anche per un altro fattore: la diminuita funzionalità respiratoria comportava un sovraccarico di lavoro al cuore; il cuore rispondeva aumentando il numero dei battiti che si affievolivano sempre più; ne seguiva un ristagno di sangue in tutto il corpo e l'acido carbonico si accumulava maggiormente. Il povero condannato non aveva che una risorsa: puntare sui piedi, sollevare alquanto il corpo afflosciato e portare le braccia, o almeno un braccio, in posizione orizzontale. Alleggerita così la trazione delle braccia, il torace riprendeva a respirare, l'asfissia diminuiva e il condannato sopravviveva.
Per permettere tale sollevamento del corpo i carnefici usavano inchiodare i piedi in modo che le gambe fossero in grande flessione: in tal modo il condannato poteva sollevarsi un po' anche se con atroci dolori e respirare. Ma a sua volta, lo sforzo di puntare sul chiodo che fissava i piedi, per sollevarsi, e il dolore atroce che ne seguiva, portava alla "fatica", e quindi alla tetania, anche gli arti inferiori e il povero condannato si afflosciava di nuovo e l'asfissia generale riprendeva.
Dalla Santa Sindone apprendiamo che anche il Signore dovette essere crocifisso con le ginocchia in flessione perché se ciò non fosse stato Egli non avrebbe potuto fare i movimenti che la S. Sindone ci ha documentato. I due rivoli di sangue che, dalla piaga del polso sinistro, subito scendono verso il margine ulnare rappresentano la posizione orizzontale iniziale. Le colate che scendono lungo gli avambracci verso i gomiti testimoniano sia i successivi accasciamenti di Gesù, sia i vari movimenti fatti per buttarsi ora tutto da una parte, ora tutto dall'altra.
I brevi rivoletti che lungo gli avambracci si distaccano dalla colata principale per andare verso i margini ulnari, rappresentano i momenti in cui il Signore, con uno sforzo supremo, si sollevava e portava le braccia verso una posizione orizzontale onde poter respirare, ed anche i movimenti fatti per portare verso l'orizzontale ora un braccio ora l'altro.
La stessa cosa si dica delle brevi colate che abbiamo trovato sulla fronte e sulla nuca. I loro vari zig-zag testimoniano i vari movimenti fatti da Gesù per buttarsi ora tutto a destra, ora tutto a sinistra.
Questa preziosa documentazione fa escludere che si sia usato un sostegno al perineo, sostegno di cui la Sindone non ci rivela l'esistenza, e che avrebbe prolungata l'agonia.
Come abbiamo accennato, il povero condannato poteva aiutarsi anche gettando il corpo ora tutto a destra ora tutto a sinistra: gettandosi a destra, il braccio destro andava più verso la verticale, però il braccio sinistro si poneva orizzontale e il condannato poteva espirare un po' con la parte sinistra del torace: viceversa, buttandosi a sinistra poteva espirare con la parte destra del torace.
È forse, perché vedevano Gesù compiere questi movimenti e questi sforzi per respirare, che i Farisei gridavano "Ha salvato gli altri, non può salvare se stesso? Scenda ora dalla croce" (Mt. 2 7, 42).
L'agonia trascorreva, così, in una alternativa di accasciamenti e di sollevamenti: di asfissia e di respirazione.
La tetania però si faceva sempre più grave i crampi dapprima si sviluppavano nei muscoli dell'avambraccio, poi a poco a poco si estendevano ai muscoli del braccio degli arti inferiori, del tronco. Il condannato diveniva sempre più cianotico, la temperatura aumentava, la sudorazione si faceva esageratamente abbondante, accompagnata da brividi e capogiri, e quando venivano colpiti dalla tetania i muscoli della respirazione sia del torace che del ventre, la morte sorprendeva il crocifisso in uno spasimo di inspirazione.
Che il Signore abbia sofferto in croce per l'asfissia e la conseguente tetania, la Sindone ce ne dà una prova incontestabile: il torace è rigonfio al massimo; i due grandi pettorali, che sono i più potenti muscoli respiratori, sono in contrazione forzata, allargati e risaliti verso le clavicole e le braccia; tutta la gabbia toracica è pure risalita e ipertesa, in massima inspirazione; l'infossamento epigastrico appare approfondito, depresso, come conseguenza di questa elevazione, distensione in avanti ed in fuori, del torace; per questa elevazione forzata delle coste, la massa addominale è spinta in basso per cui, si vede, al di sopra delle mani incrociate, far rilievo il basso ventre. Nell'impronta posteriore si vedono i quadricipiti femorali e i glutei tesi nell'ultimo sforzo fatto da Gesù per sostenersi e poter respirare e parlare. Il Signore, però, pur avendo sofferto per l'asfissia e la conseguente tetania, non morì per questa causa. Infatti egli parlò proprio nell'ultimo istante di sua vita, anzi gettò anche un grande urlo, il che l'asfittico non può fare perché non può espirare e cioè non può mandar fuori l'aria dai polmoni.
Ho sete
Si legge nel S. Vangelo: "Gesù disse: Ho sete. E i soldati, inzuppata una spugna nell'aceto, la posero in cima ad una canna di issopo e gliel'accostarono alla bocca" . (Gv. 19, 29).
Il Prof. Tamburelli, autore delle più belle fotografie tridimensionali della Sindone, ha scoperto entro un grumo di sangue posto sulla guancia sinistra a lato del naso, una incisione, da lui così descritta "Questa incisione ha una parte superiore rettilinea, che può corrispondere alla parte piana della punta del ramo di issopo, prodotta dal taglio con un falcetto, ed una parte inferiore curva, che può corrispondere alla parte cilindrica della punta stessa. Si noti inoltre la traccia che partendo dal lato destro dei capelli, prosegue leggermente sulla guancia destra e sul naso e termina su tale grumo, e che sta ad indicare come la punta del ramo di issopo sia stata inizialmente appoggiata sul lato destro dei capelli e fatta scorrere fino a portare la spugna sulla bocca dell'Uomo della Sindone e quindi a produrre la suddetta incisione nel grumo di sangue". (Da IlTempo, 18 Marzo 1985).
Tutto ciò potè accadere o per un movimento repentino del volto di Gesù, o per una errata mira del soldato.
La morte di Gesù in croce
Quando Giuseppe d'Arimatea si presentò a Pilato per chiedergli il corpo di Gesù, Pilato si meravigliò che Gesù fosse già morto (Mc. 15, 44). Molte dovettero essere le cause della precocità della morte del Signore: la perdita di sangue verificatasi durante l'agonia nell'orto e la flagellazione; il dolore delle ferite dei chiodi; l'ispissatio sanguinis per l'imponente sudorazione, la spossatezza fisica di una intera giornata di terribili sofferenze; l'abbattimento morale causatogli dalla presenza della Madre desolata, dall'abbandono degli amici e dalle pene interiori.
Da quando, all'inizio di questo secolo, fiorirono gli studi sulla S. Sindone, si fecero varie ipotesi sulla causa vera della morte di Gesù. Molta fortuna fece l'ipotesi della morte per asfissia in seguito a tetania (crampi) instauratasi dapprima alle braccia, poi alle gambe, ai muscoli del ventre e da ultimo ai muscoli del torace: anche la morte per idropericardio traumatico fu invocata, come pure la morte per collasso ortostatico da insufficiente pressione arteriosa.
La rottura del cuore
Oggi gli Studiosi propendono per la tesi che Gesù sia morto per rottura del cuore. Solo così si spiega l'uscita di sangue e acqua dal costato di Cristo. Infatti il liquido sieroso esistente nel pericardio è di scarsa entità ed affondando un coltello nel lato destro di un cadavere e raggiungendo il pericardio e il cuore, non esce mai sangue ed acqua ma soltanto sangue e in quantità esigua.
Coloro che muoiono per rottura del cuore quasi sempre emettono un alto grido subito prima di morire: il loro pericardio è sempre molto teso e gonfio tanto che comprime in alto i polmoni; il sangue nella quantità di più di un litro, vi si trova sedimentato ma non coagulato: in basso v'è la parte corpuscolare, cioè i globuli rossi e bianchi, in alto galleggia il plasma o siero.
Ora, osservando la ferita del costato di Cristo, si ha netta l'impressione di una fuoriuscita violenta di liquido: questo infatti non è sceso secondo le linee della gravità ma violentemente, tumultuosamente, come spinto da una grande pressione. Forando il pericardio all'altezza dataci dalla Sindone e cioè fra la sesta e la settima costa, prima dovette uscire il sangue sedimentato al fondo del pericardio e poi il plasma.
Si tratta ora di spiegare la rottura del cuore.
In seguito ad un infarto, nelle condizioni di riposo, la zona infartuata va verso l'organizzazione e la cicatrizzazione; ma in condizioni sfavorevoli, i tessuti della zona di infarto vanno verso una mortificazione sempre maggiore (miomalacia) per cui sotto la pressione endocardica il miocardio può fissurarsi con conseguente emopericardio acuto e morte immediata del soggetto per tamponamento del cuore.
Ora, dalla descrizione evangelica dell'amarissima agonia di Gesù nell'orto, si può pensare che Gesù vi abbia subìto un infarto per spasmi delle coronarie. Marco (14, 33) ci dice che Gesù cominciò ad atterrirsi e ad angosciarsi. Colui che è colto da infarto prova un violento dolore anginoide e angoscia, diviene pallido, va in preda a profusa sudorazione ed ha la sensazione di una morte immediata per la caduta della pressione.
Luca ci avverte che anche Gesù ebbe profuso sudore: "In preda all'angoscia... il suo sudore divenne come goccie di sangue che cadevano a terra" (Lc. 22, 44). Marco ci riporta le parole di Gesù "L'anima mia è tristissima fino alla morte" (Mc. 14, 34). "Gesù poi si prostrò a terra e pregava" (Mc. 14, 35).
Il riposo che l'infartuato automaticamente si prende subito dopo l'infarto, specialmente se si sdraia e permette la ripresa della circolazione cerebrale, gli dà la sensazione di aver superato la crisi. È quanto probabilmente accadde a Gesù quando si prostrò a terra e forse vi restò per quattro, cinque ore in intensa preghiera. Superata la crisi, alzatosi calmo e pienamente cosciente, disse: "Basta, è giunta l'ora. Il Figlio dell'Uomo sta per essere consegnato nelle mani dei peccatori. Alzatevi, andiamo; ecco, il traditore è vicino" (Mc. 14,41-42).
Gesù non ebbe più tregua, finché sulla croce, dopo tante resistenze, in seguito ad un ennesimo sforzo di sollevamento per poter respirare, il suo miocardio si ruppe ed Egli "lanciato un grande grido, chinato il capo, rese lo spirito" (Le, 23, 46; Gv. 19, 30).
Se Gesù fosse morto per asfissia sarebbe svenuto e morto senza riprendere coscienza. Invece la posizione alquanto elevata delle braccia e la flessione delle ginocchia, gli permisero di combattere l'asfissia e, nei periodi di sollevamento, anche di parlare. Subito prima di morire, parlò (non avrebbe potuto parlare nei periodi di accasciamento per la forzata inspirazione e tanto meno gridare) e alla rottura del cuore gettò il grande grido e spirò.
Morì quindi cosciente e certamente in quell'istante - il più prezioso della sua vita - si offri al Padre, gridò la sua offerta al Padre. Noi non avremmo mai saputo ciò se la lancia del soldato romano non ce l'avesse rivelato.
Il profeta Davide, nel salmo 108, che è il salmo dell'innocenza di Gesù e della perfidia dei suoi persecutori, mette in bocca al Giusto, al Santo, alla Vittima innocente, queste misteriose parole: 'Dentro di me, il mio cuore è ferito"(vers. 22).
Nel Salmo 69 poi, che nella sua seconda parte è il grido di angoscia del Fedele vittima del suo zelo, lo stesso Davide dice: "Salvami dai miei nemici... L'insulto ha spezzato il mio cuore e vengo meno. Ho atteso compassione ma invano... Hanno messo nel mio cibo veleno e quando avevo sete mi hanno dato aceto". Questo salmo è messianico e viene citato più volte nei libri del Nuovo Testamento; per esempio da S. Matteo 27, 34 e 48; da S. Giovanni 2, 17; 15, 25; dagli Atti degli Apostoli 1, 20; dalla Lettera ai Romani 11, 9 e 10; 15, 3; dall'Apocalisse 3,15.
Non meno misteriose sono le parole scritte da santa Brigida nella sua seconda Orazione: "I dolori acutissimi delle tue ferite penetravano orribilmente nella tua anima beata e infierivano crudelmente sul tuo Cuore sacratissimo, finché, rottosi il cuore, esalasti felicemente lo spirito ". "donec, crepante corde, spiritum feliciter emisisti".
Il capo inclinato
Giovanni ci dice che Gesù "chinato il capo, spirò" (Gv 19, 30). Nella S. Sindone, posteriormente, il collo è ben visibile mentre anteriormente non lo è. La distanza lineare fra la bocca e le articolazioni sterno-clavicolari è diminuita rispetto alla norma: è infatti cm. 8 invece di cm. 18 il che dimostra che il Signore ha il capo notevolmente flesso.
La rigidità cadaverica intervenuta subito dopo la morte (come avviene quando la morte è stata preceduta da grandi sforzi) ha fissato quella posizione, rivelata ora dal lenzuolo funebre. Probabilmente, per rispetto, la testa non fu forzata a riassumere la sua posizione naturale quando Gesù fu posto nel sepolcro. Ciò fu provvidenziale perché ci dà modo di sapere che Gesù morì dopo aver piegato la testa e quindi morì cosciente.
Se nell'istante della morte Gesù fosse stato accasciato, il capo non avrebbe potuto piegarsi in avanti perché infossato tra le braccia tendenti alla verticale e bloccato dai muscoli sternocleidomastoidei in tetania e cioè spasmodicamente contratti. Gesù era, dunque, in un momento di sollevamento, e quindi era cosciente, morì cosciente. Le fotografie tridimensionali ci documentano il reclinamento del capo in avanti. In tali fotografie sono ben evidenziate due grosse gocce molto appuntite e che dovettero formarsi dopo che Gesù, morto, reclinò il capo: una si trova sulla parte destra dei baffi, l'altra si è formata con il sangue colato dalla narice destra. Il fatto che esse sono rimaste appuntite ed esili, prova che non vennero più alimentate da nuovo sangue e il loro peso non fu sufficiente per farle cadere, e ciò è prova che la morte di Gesù avvenne sulla croce.
La morte sulla croce è anche confermata dal fatto che tutti i rivoli di sangue del volto, colano all'in giù, diretti verso terra; nessuno di essi è diretto verso la parte posteriore, come sarebbe avvenuto se il Signore avesse perduto sangue dopo la deposizione; come invece avvenne per il sangue uscito dalla ferita del costato, dopo che Gesù fu deposto dalla croce.
La rigidità cadaverica
È stato osservato che uomini colpiti dalla morte durante o subito dopo sforzi molto penosi, presentano, quasi subito dopo la morte, rigidità cadaverica.
Questo fenomeno è conosciuto dai cacciatori che quando raccolgono una lepre che è stata a lungo rincorsa dai cani, la trovano rigida, stecchita.
Anche al Signore dové succedere questo fenomeno perché la Sindone ce lo rivela con una accentuata rigidità cadaverica: le braccia tese, i muscoli pettorali tesi, i glutei tondeggianti, cioè rigidi e non afflosciati, il ventre rientrante nella parte alta, i quadricipiti femorali tesi.
È anche possibile che la rigidità mostrataci dalla S. Sindone sia dovuta al dolore acuto provato dal Signore nel momento della rottura del cuore: il Signore ebbe allora una contrazione spasmodica fissata subito dopo dalla morte.
La ferita del costato
Il colpo di lancia
Quando si voleva por fine alle sofferenze del crocifisso, oppure si voleva per qualche motivo farlo morire subito, gli Ebrei usavano spezzargli le gambe. Spezzate le gambe, veniva meno il punto di appoggio dei piedi, quindi il corpo restava penzoloni, le braccia andavano verso la verticale, l'asfissia diveniva completa, il crocifisso perdeva subito la conoscenza e nel giro di pochi minuti spirava.
Sappiamo dal Vangelo che questa fu la fine dei due ladroni crocifissi ai lati di Gesù e il motivo di questo atto fu l'imminenza del sabato (cioè dei primi vespri del sabato) nel qual tempo un condannato non poteva restare sul patibolo. "Furono i Giudei stessi - dice il Vangelo - affinché i corpi non rimanessero in croce durante il sabato,... a chiedere a Pilato che fossero loro spezzate le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono loro le gambe... A Gesù, però, vedendo che era già morto, non spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia, e subito uscì sangue ed acqua (Gv. 19, 31-34).
Sembrerebbe che fosse stato inutile trafiggere il fianco di Gesù, dacché egli era già morto, ma v'era un'altra legge che bisognava rispettare. La legislazione ebraica proibiva la consegna del corpo di un giustiziato ai familiari, ma i Romani l'avevano abrogata ed avevano imposto la legislazione romana per cui il corpo di un giustiziato poteva essere legalmente restituito al familiari purché muniti di autorizzazione del giudice o del tribunale che aveva emesso la condanna a morte; il carnefice però non poteva consegnarlo se non dopo essersi assicurato della morte avvenuta, con un colpo che gli aprisse il cuore.
Fu solo così che il carnefice poté consegnare il corpo di Gesù a Giuseppe d'Arimatea (Mt. 27, 58; Mc. 15, 45; Lc. 23, 52).
Il colpo di lancia inferto sul petto di Gesù ebbe un effetto strano: dalla ferita uscì sangue ed acqua e probabilmente con tanta forza da non colare lungo il corpo del Signore, ma da formare addirittura un getto che andò a cadere discosto dal piede della croce. Bisogna dire che ciò non fosse mai stato visto e che tutti se ne meravigliassero altamente, se san Giovanni nel raccontarcelo sente il bisogno di chiamare come testimone Dio stesso. Dice infatti nel suo Vangelo che "lui che ha visto, ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; ed Egli (Dio) sa che lui dice il vero perché anche voi crediate". Fu dunque un fatto mai visto questa fuoriuscita di sangue ed acqua, un fatto fuori dall'ordinario, grazie a Dio documentato dalla S. Sindone e che ci ha dato modo di sapere esattamente di che cosa è morto il Signore in croce: in seguito alla rottura del muscolo cardiaco il sangue era passato nel pericardio, provocando la morte per tamponamento del cuore. Il pericardio dilatato enormemente per la presenza di più di un litro di sangue quando, circa due ore o più dopo, fu trafitto dalla lancia di Longino, spinse fuori violentemente il sangue che già si era depositato e il siero che l'Evangelista Giovanni chiama "acqua".
Il cuore occupa una posizione mediana e anteriore, dietro il piastrone sternale; mentre la sua
punta è nettamente a sinistra, la sua base supera a destra lo sterno. I carnefici, pratici del mestiere, dovevano sapere molto bene che il punto migliore per raggiungere il cuore era il quinto o il sesto spazio e cioè lo spazio fra la quinta e la sesta costa o fra la sesta e la settima costa. In quel punto la lancia penetrando quasi orizzontalmente, perfora facilmente la pleura e un lembo di polmone per raggiungere il pericardio e il cuore.
L'abbondanza del sangue e specialmente la violenza con la quale esso uscì dalla ferita furono dovute al fatto che dopo la rottura di cuore, tutta la colonna di sangue della vena cava superiore premette, per il principio di Pascal, sul sangue che si era riversato nel pericardio.
Invece, dopo che il Signore fu deposto dalla croce, la ferita prodotta dalla lancia continuò a sanguinare, senza violenza, per l'afflusso di sangue dalla vena cava inferiore.
L'impronta del colpo di lancia
Nella S. Sindone, all'altezza del quinto o del sesto spazio intercostale, a dodici centimetri dallo sterno si vede una ferita di arma da taglio, ovale, lunga centimetri 4,4 e larga cm. 1,5. (In recenti scavi furono rinvenute a Gerusalemme molte lance romane di cm. 4 di larghezza).
Questa lesione è importante perché permette di affermare in modo scientificamente categorico che il Signore era realmente morto, come fa osservare anche il Vangelo: "I soldati vedendo che Gesù era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito uscì sangue e acqua" (Gv. 19, 33-34).
La ferita è nitida come sono le ferite fatte post mortem che non mostrano turgore ai margini, non collabiscono, anzi tendono a retrarsi; ed infatti la ferita ha la forma ellittica propria delle ferite che vengono fatte dopo la morte. Dalla ferita si dipartono verso il basso, e cioè fin sotto l'arcata del torace, sulla parete addominale, colature di sangue, per una lunghezza di almeno 15 cm. e la larghezza di 6 cm. Questo sangue mostra le caratteristiche del sangue post-mortale: grumi aureolati di siero. Non è quindi omogeneo e sinuoso come i rivoletti delle braccia e della nuca: segno che il cuore non pulsava più e non alimentava più il progressivo formarsi dei rivoletti.
Il margine interno di questa colatura è dentellato, con frastagliature arrotondate che a primavista sembrano strane in una colata di sangue avvenuta in un cadavere immobile e verticale quelle ondulazioni corrispondono al rilevarsi delle coste e su ciascuna di esse alle digitazioni del muscolo grande dentato.
La S. Sindone permette di constatare che molto "sangue e acqua" uscì con violenza dalla ferita del costato. Questo fatto non ha avuto finora spiegazione se non ammettendo che Gesù sia morto per rottura del cuore, lesionatosi in una zona infartuatasi durante l'agonia nell'orto.
In tale circostanza, infatti, il soggetto muore nel giro di pochi secondi, dopo aver lanciato un grande grido.
Se Gesù fosse morto per asfissia si sarebbe trovato in uno stato di accasciamento e non avrebbe potuto né gridare né piegare il capo, già infossato fra le braccia; poi sarebbe stato incosciente per lo svenimento che sempre si accompagna all'asfissia.
Gesù invece gridò e piegò il capo: quindi era in uno stato di sollevamento: e fu forse questo suo ultimo sforzo di sollevarsi per respirare che gli procurò la rottura del cuore. Dal cuore il sangue passò nel pericardio che si dilatò enormemente e quando, circa due ore o più dopo, fu trafitto dalla lancia di Longino, spinse fuori violentemente il sangue già depositato e il siero (l'acqua).
{Fonte: http://www.preghiereagesuemaria.it/}