lunedì 27 gennaio 2014

Vita interna di Gesù Cristo, manifestata a Maria Cecilia Baij

Stando in quel deserto, come ho detto, ope­rando molto con le mie suppliche ed offerte per la salute dei miei fratelli, passando molte ore in ora­zione per trattare il tutto col Padre mio, seguitai quivi il modo di lodare il Padre, come facevo, mentre stavo in casa con la mia diletta Madre ed all'ore stabilite. Sapeva la mia diletta Madre quan­do io mi ponevo a cantare le divine lodi, ed ella si univa meco. Mentre stavo lodando il Padre mio, sempre con nuovi cantici, venivano tutti gli animali e tutte le fiere selvagge che in quel deserto abitava­no, e con atto umile si ponevano ad udire le lodi del lor Creatore. Ed io allora pregavo il Padre mio a dare ai miei fratelli un simil sentimento, perchè molto più ad essi conviene di stare ad udire le lodi del loro Creatore, avendoli creati ad immagine sua, e data loro l'anima razionale, e capaci di amarlo e servirlo e di goderlo eternamente. Ed io bramavo, che tutti i miei fratelli corressero ad udi­re quelli che si impiegano in cantare e recitare le di­vine lodi, che per questo appunto il Padre mio ha fatto che siasi istiuito un sì santo esercizio, ed ha eletto alcuni perchè lo stiano lodando e gli altri l'ascoltino, ed in quel tempo ancor essi diano glo­ria e lodi al lor Creatore: Vedevo io, come quelle bestie e gli animali tutti stavano con attenzione e si­lenzio ad udirmi, e poi rivolgevo il pensiero e lo sguardo verso dei miei fratelli, e, vedendoli in ciò sì trascurati e distratti, ne sentivo gran pena. Vedevo, come molti non si sarebbero pigliato alcun pensie­ro di soddisfare all'obbligo loro, cioè, di stare ad ascoltare le divine lodi, e che piuttosto si sarebbero divertiti in passatempi mondani. E vedevo come molti vi avrebbero assistito sì male, che piuttosto avrebbero provocato a sdegno il mio divin Padre con le loro irriverenze, offendendolo gravemente nel tempo istesso che devono dargli quel culto, che per ogni giustizia gli è dovuto. E vedendo che in questo si sarebbero fatti superare dall'istesse fiere e animali irragionevoli, ne sentivo gran pena, e per­ciò pregai molto il mio divin Padre ad illuminarli, e dar loro la sua grazia in abbondanza, acciò in que­sto si portasse ognuno come deve, e riflettesse che Iddio è presente e con modo speciale assiste alle funzioni sacre, alle divine lodi, e tanto sta osser­vando chi le recita, tanto chi l'ascolta, per premia­re o punire quell'opera che, per sua gloria, ha fat­to istituir, e per salute e merito di chi le recita come di chi vi assiste. Mi promise per costoro molta gra­zia il Padre mio, come difatti ad ognuno la com­parte. Ma, oh quanti ve ne sono che se ne abusano e non ne fanno conto alcuno, e rigettano i lumi di­vini, che il Padre con tant'amore loro invia!

Terminato poi che avevo le divine lodi, or­dinavo a tutte quelle bestie ed animali che ancor es­si, al lor modo, lodassero il lor Creatore, ed ognun di loro, con somma ordinanza, alzata la lor vocé al canto, al lor modo di intendere lodavano il Padre mio. Ed io dicevo, e con ragione: - Ah, mio divin Padre! le bestie più feroci e selvagge, gli animali più foresti obbediscono alla mia voce. Ed è possi­bile, che solo i miei fratelli, da me tanto amati, da voi tanto beneficati, si rendano sordi e duri alla mia voce, e non vogliano eseguire quel tanto che da me loro sarà ordinato per la vostra gloria e per la loro salute? E pur sarà così! - E tutto afflitto, pregavo il Padre ad usar loro misericordia, a per­donarli ed a non castigarli come meritavano. E per verità il Padre, in questo, si mostrava molto adira­to, ed io lo placavo, offerendogli le mie lodi a no­me di tutti i miei fratelli. E come vedevo, che ve ne erano molti, che in ciò sarebbero stati pronti e fe­deli, gli offerivo anche le lodi di costoro unite con le mie, acciò con questa unione, avessero anche quelle il loro merito appresso il Padre mio. E di ciò restava il Padre molto soddisfatto. Per questo poi di nuovo il lodavo e ringraziavo, e magnificavo la sua bontà e misericordia.

Primi battiti del Cuor di Gesù

Unito che fui a quell'umanità, adorai in primo luogo l'eterno mio Padre, e lo ringraziai del beneficio fatto al genere umano in donargli me stes­so, suo Figlio Unigenito, per l'umana redenzione. Lo adorai e lo ringraziai a nome di tutte le creature razionali, alle quali io mi dichiarai allora loro fra­tello; mi protestai, sin da quel momento, che tutto ciò che io avessi operato e patito in ogni istante del­la mia vita, tutto intendevo di operare e patire per i miei fratelli e supplire con questo al mancamento e negligenza loro.

Dopo questo primo atto di adorazione e ringraziamento, domandai all'eterno mio Padre una grazia particolare per la mia diletta Madre, e fu, che ogni volta che io respiravo, mentre dimora­vo nelle di lei viscere, le avesse accresciuto un gra­do di grazia, e questa fosse per rimunerarle in que­sta vita il centuplo, mentre quel respiro mi veniva somministrato dall'alito del suo purissimo cuore. Si degnò il Padre in questo di compiacermi, ed in­sieme farne consapevole la mia diletta Madre, ac­ciò maggiormente si rallegrasse e si compiacesse di dare albergo a me suo Figlio diletto.

Condisceso che fu il Padre mio a compar­tire questi doni ala mia Madre, io, unito con essa lei, cioè l'anima mia con il suo spirito, gli rendem­mo le dovute grazie, ed io gli resi grazie anche da me per parte di mia Madre: perchè, come Dio, di più valore erano i miei ringraziamenti e perciò più graditi dal Padre mio.

Espiazione e lagrime in Betlemme

Ritrovandomi, sposa carissima, quivi a giacere in terra, avvilito, annichilito, da tutti ab­bandonato e privo di ogni umano soccorso, mi era di una pena molto grande. Piangevo per tenerezza in vedermi in tanta miseria e povertà, gelato dal freddo, (1)
(1) L'oriente e l'Occidente sono sempre andati d'accordo nel ri­conoscere che Gesù nacque durante una delle dodici notti sacre, che l'antichità particolarmente venerava dal 25 dicembre al 6 gennaio. Eran vi senza dubbio delle ragioni mistiche per far bril­lare al mondo la gran luce del Messia, proprio in quell'epoca in cui il sole, arrivato innanzi al segno del Capricorno, si leva al di sopra del punto solstiziale e risale di nuovo verso la primavera per comunicare alla terra una vita nuova; ma la ragione fonda­mentale fu che, per tempo, la prima generazione cristiana ap­prese che il Salvatore era nato in una stalla, durante una notte d'inverno. Le ragioni in contrario che si desumono dal gregge che passava la notte in pien'aria, come dice S. Luca, non sono troppo forti. Oggi ancora gli Arabi, dopo le piogge del dicem­bre, cioè verso la fine del mese, lasciano le loro dimore e discen­dono nelle pianure coi loro armenti. Baclay, Schwarte, Schii­beri ed altri viaggiatori celebri dichiarano che spesso le settima­ne dellarne di dicembre sono in Palestina le più belle dell'anno. La terra si riveste di verde; Tobler ci fa sapere che si approfitta di questo tempo per far uscire le pecore dalle stalle e metterle alla pastura nei campi. Sono divenute però le circostanze di po­vertà e di freddo nella tradizione un commentario naturale del vangelo nella nascità di Gesù, che la Chiesa non poteva dimenti­care. - Un'altra difficoltà la desumono dal censo di Cesare Au­gusto, che dovette essere intrapreso durante la bella stagione. Ma fu già risposto che il popolo romano non aveva l'abitudine di darsi molto pensiero delle comodità dei suoi alleati e tributari. Se l'ordine di Augusto fu promulgato in settembre, dopo la pa­ce dell'impero, il censo non potè farsi che nell'inverno per i pae­si lontani da Roma, come la Palestina. - Si trova in S. Ippolito (in Dan. IV.) la più antica testimonianza in favore del 25 dicem­bre. L'oriente celebrò dapprima la festa della Natività il 6 gen­naio, Roma preferì sostituirla alle feste pagane che si celebrava­no il 24 dicembre in onore della nascita dell'invincibile: Natales Invicti, S. Leone Magno, Serm. 21, 6, e s. Agostino, con. Faust, 20,4. Al V secolo la Chiesa graca ammise la data della Chiesa romana, e da quel tempo la Natività è stata celebrata dovunque il 25 dicembre.

che pure sentivo molto sensibile, quan­tunque in quell'età; e tutto questo offerivo al Pa­dre mio assieme con le mie lacrime, in soddisfazio­ne dei peccati di tutto il genere umano, ed in parti­colare delle molte delicatezze con cui trattano i miei fratelli il loro corpo, non potendo soffrire che questo patisca alcuna incomodità o penuria di tut­to il necessario non solo, ma anche del superfluo.

Adorato che io ebbi l'eterno mio Padre, dopo che fui uscito dall'utero verginale, gli offrii quelle adorazioni, che tanto erano a Lui grate, an­cora per parte dei miei fratelli, in particolare di quelli che, subito nati, non sono capaci di adorarlo per essere privi dell'uso di ragione. Lo ringraziai per parte di tutti, giacchè in quell'età non sono ca­paci di farlo. Il Padre mio tutto accettò e gradì, e per parte di tutti restò adorato, ringraziato ed ono­rato in modo tale, che se questi muoiono prima dell'uso di ragione, oppure in quell'istante dopo nati, oppure pervenendo all'età di potere amare, lodare, adorare, ringraziare Dio e non lo fanno per loro negligenza o malizia, nondimeno il Padre mio è restato glorificato con tutti questi atti che io ho fatto per loro, senza eccettuarne neppure un solo. E quella gloria che io gli diedi in quel primo istante della mia natività per tutti essi, benchè questi siano poi a Lui ribelli, nondimeno non gliela possono più levare.

Ritrovandomi poi così giacente in terra tra tante miserie, piangevo, sposa carissima, incon­solabile, tutti i peccati dei miei fratelli, che'già ve­devo essere di tanto disonore e dispregio del Padre mio, e vedevo che sopra di me si dovevano scarica­re tutti i flagelli per placare lo sdegno e l'ira pater­na, giustamente irritata dalla malizia degli uomini. Dicevo al Padre:

Padre mio amatissimo! ecco questo mio corpo, che già è uscito al suo mondo per dare tutte quelle soddisfazioni alla divina giustizia che vuole sopra di me! Pertanto, scaricate pure i flagelli della vostra ira e sdegno, che portate al peccatore, sopra di me! Eccomi pronto a darvi tutte quelle soddisfa­zioni che la vostra giustizia richiede da me, purchè si convertano e vivano i peccatori! Muoia io fra pa­timenti, purchè essi siano fatti degni di vivere eter­namente con Voi in quel regno, che io ora son ve­nuto ad acquistar loro! Passate, o Padre mio, que­ste mie richieste ed offerte con rescritti di grazia! Fate, che tutte le creature, che hanno buona volon­tà, si convertano a Voi, e glorifichino in eterno la Vostra misericordia!­

Si compiaceva molto il mio divin Padre di queste mie esibizioni e l'accettava con sommo gu­sto, promettendomi quanto io gli richiedevo.


Il Pater noster

Arrivata la sera, dopo di essermi tratte­nuto alquanto con i miei apostoli, a prendere qual­che ristoro per conservare l'umanità, la quale era molto abbattuta e necessitosa per le continue fati­che del viaggio e della predicazione, fatte le solite orazioni, come più volte ho detto, mi ritirai in quella notte alla campagna solo, ad orare al Padre mio.

Quella notte la spesi tutta in orare. Sup­plicai il mio divin Padre per tutti i miei fratelli ed a Lui raccomandai, come Padre di tutti, e desiderai di lasciare ad essi un modo di orare facile ed effica­ce. Perciò composi l'orazione del Pater noster, consultando il tutto col mio divin Padre. E lo pre­gai ad esaudire tutti i miei fratelli quando, con fede ed amore, avessero recitata la suddetta orazione, nella quale si contiene tutto ciò che essi possono desiderare. Piacque al divin Padre la suddetta ora­zione composta da me, suo amato e diletto Figlio, chè in me molto si compiaceva. Vidi l'efficacia che avrebbe avuto la suddetta orazione appresso del Padre, e perciò desiderai di presto insegnarla ai miei discepoli, e, per essi, a tutti i miei fratelli. Vi­di ancora in quella notte, tutti quelli che l'avrebbe­ro recitata con fede ed amore, e le molte grazie che costoro, per mezzo di essa avrebbero ottenute, ed il gusto che avrebbero dato al mio divin Padre nel re­citarla devotamente ed attentamente, e di ciò molto mi rallegrai e godei molto. Vidi ancora il gran numero di quelli che l'avrebbero strapazzata, reci­tandola senza amore, con poca fede e senza atten­zione, e che costoro non solo avrebbero fatto di­spiacere al mio divin Padre, privandolo del gusto che sente, quando è ben recitata, ma ancora pri­vando loro stessi del conseguimento delle grazie che in essa domandano; e di costoro intesi una somma amarezza. Io in quella notte, la recitai al Padre con tutto l'amore, a nome di tutti i miei fra­telli, ed il Padre ricevè di ciò un sommo gusto; e gliela offerii in supplemento di tutto il dispiacere che gli avrebbero fatto i miei fratelli, quando la re­citano malamente. Ed il Padre restò soddisfatto per la mia offerta di suo sommo compiacimento.

Terminata pertanto la notte, recitate le divine lodi, e rese le dovute grazie al Padre; tornai dai miei apostoli i quali si erano in quella notte ri­posati. Lodato che ebbi con essi il mio divin Padre, acciò si fosse degnato di illuminarli, per ben capire l'eminenza dell'orazione che io ad essi voleva inse­gnare. Ed il Padre li illuminò, e loro diede un ar­dente desiderio di udir presto e ben capire l'orazio­ne che io volevo insegnar loro.

Essendosi pertanto disposti per udire ed imparare la suddetta orazione, la dissi loro, stando io in mezzo di essi, come Maestro loro. In ogni pa­rola che io dicevo del Pater, loro facevo la spiega­zione di tutto il contenuto, ed essi mi udivano at­tentamente, ed il tutto ben capivano, ed inteneriti,

per la consolazione che sentivano in udire la sud­detta orazione, dirottamente piangevano, conside­rando quel tanto, che in detta orazione si contene­va, e si anche per vedere l'amore con cui ad essi l'insegnavo.

Terminato pertanto che io ebbi di inse­gnar loro la suddetta orazione, con tutte le sue di­chiarazioni, la feci recitare a tutti unitamente, ge­nuflessi in terra, alla presenza del Padre mio. E re­stò impressa tutta nella loro mente. Si compiacque il divin Padre della suddetta orazione, e pregato da me ad esaudirli, prómise di dare ad essi quel tanto che in detta orazione gli avevano domandato. E, nelle persone loro, lo promise anche a tutti i miei fratelli quando ancor essi in tal modo l'avessero re­citata.

Terminata l'orazione, e rese le dovute grazie al divin Padre, restarono i miei apostoli con­fortati e consolati sentendo nel loro interno un'in­solita e divina consolazione, e perciò unitamente lodavano il Padre mio e me, loro Maestro, per avergliela insegnata. Ed io di nuovo li istruii, di­cendo loro, che ogni volta che essi volevano orare il Padre, recitassero e meditassero la suddetta ora­zione, e che il Padre li avrebbe esauditi.


Esercizi e lodi divine

Devi sapere ancora, che mentre io mi trattenni in quella parte della Galilea con i miei quattro discepoli, non tralasciai giammai i miei so­liti esercizi di orazione, di recitare le lodi divine al mio divin Padre, e lo facevo fare ancora ai miei di­scepoli, in particolare l'orazione, molto necessaria per essi, nella quale loro insegnai a domandare in essa tutte le grazie ad essi necessarie. L'istruii nel modo di ben orare. Molto ci volle perché si assue­facessero a far detta orazione, non essendone essi capaci in modo alcuno. E tutti stavano attenti ad udir le mie parole. Ma io volevo che orassero anch'essi al Padre mio, e perciò pregai il Padre ad illuminare le loro menti in tempo che stavano oran­do, ed a comunicare alle anime loro il suo spirito e far loro sentire e gustare la sua soavità, perchè si affezionassero vieppiù a sì santo esercizio. Ed il Padre esaudiva le mie suppliche, mentre faceva ad essi sentire e gustare la soavità e dolcezza di quella manna che in sì santo esercizio si contiene. Perciò si affezionarono molto all'orazione, e per mezzo della medesima ricevevano grandi lumi dal Padre mio, che abbondantemente communicava loro il suo spirito, e con ciò più chiaramente conoscevano la persona mia e le virtù che io predicavo, e si ac­cendevano nel desiderio di perfettamente imitarmi, come poi fecero. Desideravo io che tutti i miei fra­telli praticassero un sì santo esercizio, perchè per mezzo di questo avrebbero ricevuto grandi lumi dal mio divin Padre, ed avrebbero conosciuto tutto ciò che devono operare per la loro eterna salute; avrebbero ancora, per mezzo di detta orazione, ot­tenuto dal Padre mio tutte le grazie che avessero domandate. Perciò io tanto l'inculcai ai miei disce­poli, e l'insegnai, per mezzo loro, anche a tutti i miei fratelli, come ti dirò a suo luogo. Perciò non mancavo di pregare anche per tutti il Padre mio, acciò dispensasse le sue grazie a tutti quelli che avessero praticato un sì santo esercizio. E vedendo che i miei fratelli sarebbero stati sì negligenti e tra­scurati in detto esercizio, ne intesi pena, ed offerii al Padre mio la mia continua orazione in supple­mento di quanto in ciò essi mancano, e per detta offerta lo pregai a dare a tutti un vero sentimento e spirito di orare. Me lo promise il Padre, e difatti vi­di, come molti si sarebbero in ciò segnalati, ed avrebbero ottenuto molte grazie, per mezzo di det­ta orazione, e sarebbero giunti a gran perfezione e santità di vita. Di ciò ne godei molto, si per il bene loro, come per il compiacimento del mio divin Pa­dre, perchè gode di comunicarsi alle anime e di in­fondere in esse il suo spirito. E questo lo fa con le anime oranti.

Nel mettere la tunica

Essendo arrivato in età competente, dissi alla Madre mia, che mi levasse dai legami delle fa­scie, essendo stato di già abbastanza quivi legato. Si compiacque la diletta Madre di eseguire quanto io le avevo richiesto, e postomi una tunicella ben povera, che aveva intessuta con le sue mani, mi ve­stì, restando io libero e sciolto da quei legami, che invero mi si rendevano molto penosi per aver tutto l'uso di ragione e cognizione perfetta, che suol ave­re un uomo avanzato nell'età. Vestito ch'io fui, giunte insieme le mani, e piegate in terra le ginoc­chia, ringraziai il padre mio, che si fosse degnato sciogliermi da quei legami, e mi avesse provvisto di vestimento. Feci in questa occasione molte suppli­che e molte offerte al Padre mio, in pro de' miei fratelli. In primo luogo lo pregai, che siccome si era degnato di sciogliere me da quei legami, così si degnasse sciogliere dai legami del peccato tutte quelle anime miserabili, che si trovano inviluppate tra le colpe, e poi rivestirle della sua grazia. Poi gli offerii quel primo atto di orare così genuflesso in terra, e lo pregai, che, in virtù di quell'atto a Lui tanto grato e di tanto suo compiacimento, si de­gnasse di dare virtù a tutti i miei fratelli, acciò pos­sano esercitare e praticare un tal atto ed un tal mo­do di orare, a Lui tanto accetto e gradito; e lo pre­gai che chi gli avesse domandata qualsivoglia gra­zia in quella forma prostrato, non gliel'avesse negata; tanto più se gliel'avesse domandata a nome mio e per i meriti miei. Dippiù lo pregai, che si fos­se degnato di farmi vedere tutte le nazioni così pro­strate alla presenza sua, ed adorare Lui come vero Dio e Signore di tutto il creato. A queste mie sup­pliche condiscese benignamente il Padre mio, ed allora disse quelle parole: - Hic est Filius meus di­lectus, in quo mihi complacui. - Fu inteso però solo dalla mia diletta Madre, essendo quivi Lei sola ad assistere la persona mia. Domandai poi licenza al Padre mio, come suo vero ed obbediente Figlio, di servirmi di tutte le mie membra e sensi, ma in tutto e per tutto in far cose di suo volere e servizio e maggior gloria. Mi concesse il tutto il Padre mio, ed io con la sua benedizione mi alzai.


I primi passi

Ed incominciai a formare i primi passi, che erano da fanciullo tenero, e quasi tremolanti. L'offerii al Padre mio, e lo pregai, che in virtù di quei miei passi, formati per sua gloria, avesse dato tanta forza e virtù a tutti i miei fratelli di incammi­narsi alla perfezione, e di reggere e regolare i loro passi in modo tale, che non li facessero mai in di­sgusto del Padre mio ed in pregiudizio delle anime loro, ma solo per sua gloria e per adempire la volontà sua, e per loro profitto spirituale.


Le prime parole

Formai poi le prime parole, che fu in pre­senza della mia diletta Madre e di Giuseppe suo sposo. Come era stato ancora del camminare, le mie prime parole furono in lode del Padre mio. E le proferii con tanta grazia ed amabilità, che la di­letta Madre con Giuseppe si disfacevano in lagrime di consolazione. Dopo poi salutai ambedue, e li ringraziai di quanto avevano operato e patito per amor mio. Mi esibii tutto ai loro comandi, sotto­mettendomi in tutto e per tutto alla loro obbedien­za, dichiarandomi di voler vivere loro soggetto tut­to il tempo che io sarei dimorato con essi loro. Dopo poi mi ritirai in disparte, di nuovo ad orare; e questo poi era il mio continuo esercizio: cioè, pie­gar le ginocchia ed orare al Padre mio. Offerii al Padre mio quelle mie prime parole e quelle lodi che io gli avevo dato, e lo pregai, che, per quel compia­cimento che Lui ne aveva avuto, si fosse degnato di perdonare a tutti i miei fratelli, che con questo sen­timento l'avessero offeso, e si degnasse di benedire e santificare le loro lingue, acciò non si sciolgano in proferir parole di offesa sua e dei loro prossimi; e che per quelle parole mie, tanto a Lui grate, si de­gnasse di restar placato con i miei fratelli, mentre era molto sdegnato con essi, per la gravezza delle offese che ricevéva, più per mezzo di questo sentimento che di tutti gli altri. Restava placato il Pa­dre mio, ma mi faceva vedere la moltitudine e gra­vezza delle offese che riceveva dai miei fratelli con questo senso. O sposa mia! che gran moltitudine di offese riceve il Padre per mezzo di questo senso! In verità, che quasi tutti se ne servono per tutt'altro, che per il fine per il quale il Padre mio gliel'ha da­to. Oh! quanto mi affliggeva questa grand'offesa che facevano e fanno tutti i miei fratelli al Padre mio! Vedere che avendo Lui dato loro l'uso della lingua perchè lo lodino, lo benedicano e lo ringra­zino, e l'insegnino a fare a tutti in simile modo, essi per contrario, con questo senso l'offendono con mormorazioni, con detrazioni, con spergiuri, con bestemmie, con ingiurie, ed altre cose simili. Oh! che cosa mostruosa si è mai questa che fanno le creature. Oh! quanto, sposa mia, mi affliggeva la gravezza di queste colpe e la moltitudine di esse! Piangevo dirottamente una tal iniquità, e mi offe­rivo ed esibivo al Padre mio di volerlo in eterno lo­dare, benedire, e ringraziare, e di soddisfare a no­me di tutti e per parte di tutti i miei fratelli, che in questo avessero errato. Accettava e gradiva molto il Padre mio queste offerte e suppliche, e si dimo­strava alquanto placato verso de' miei fratelli, e mi prometteva di sospendere il meritato castigo per siffatte colpe, e di aspettarli a penitenza. E con questo poi mi andavo alquanto consolando, e mi applicavo molto più a supplicare il Padre mio per essi, e ad offerirgli tutte le opere mie in soddisfazione delle loro colpe e in impetrazione di grazie.


La preghiera di Gesù

Lo pregavo ancora, che siccome si era de­gnato di provvedermi di quella povera veste, con cui io ero vestito, egli si degnasse di vestire le anime con la veste della sua grazia, sciogliendole prima da ogni legame di colpa. Era invero, sposa mia, co­sa di gran meraviglia il vedermi, cosi piccolo bam­binello, vestito con quella veste, con le mani giunte e con le ginocchia in terra, pregare il Padre mio! Stavano quivi ammirati gli angelici spiriti, la mia diletta Madre con Giuseppe si disfacevano in lacri­me per la compassione e per la gioia che provavano nel rimirarmi. Il Padre mio, poi mi riguardava con tanto amore, come un ricco tesoro della sua di­vinità, e come soggetto, dove aveva collocato tutti i tesori della sua ricchezza e bontà. E spesso mi dice­va per consolarmi, quando mi vedeva in quella po­situra così afflitto, mesto e così umiliato mi ripete­va sovente: - Chiedi pure, amato Figlio, ciò che brami da me, che io son pronto a darti tutto ciò che vuoi. - Postula a me, et dabo tibi gentes haereditatem team. - Queste parole mi apportavano una gran consolazione. Ed io allora, animato dalla bontà e liberalità del Padre mio, gli domandavo istantaneamente la salute del genere umano. Ed allora ìl Padre mio mi prometteva di dar tanta grazia a tutti, che volendo essi fare ciò che si spetta alla loro salute, ognuno si fosse potuto salvare; facen­domi ben conoscere che chi non si salva si è perchè, infatti, non vuol salvarsi, non che il Padre mio manchi di dare a tutti una grazia sufficiente, aven­dola a me promessa, e praticandolo, con tutta libe­ralità. Tanto più che mi affliggevo in vedere la moltitudine delle anime che abusano di detta gra­zia, la quale io loro avevo ottenuta con tante sup­pliche e sospiri, e poi esse proprio esser causa della loro perdizione. Ringraziavo il Padre mio della sua gran bontà e liberalità, e di nuovo mi offerivo a Lui, e lo pregavo che si adempisse il suo volere, che di già conoscevo: che era, che tutte le creature si fossero salvate, e che tutte fossero state perfette e sante. Ma quanto è poco adempita questa volontà del Padre mio, mentre la maggior parte procura di fare il contrario. Questo mi affliggeva molto. Mi .consolavo però, in far io perfettamente la volontà sua, e gli offerivo questa mia prontezza di volontà, in eseguire tutto ciò che voleva da me, in supple­mento di tutti quelli che non vogliono in modo al­cuno eseguire il suo santo volere, e con questo tol­gono al Padre mio la gloria e l'onore, ed a se stessi il premio. Onde restava a sufficienza onorato e glorificato il Padre mio per l'offerte che gli facevo io, e solo restavano le anime prive del merito e del bene, che ad esse ne risulterebbe quando adempis­sero la divina volontà.


Li invita a lodare e benedire il Padre

Sceso già dal Tabor e ritrovati quivi i miei apostoli, fui da essi accolto con insolita alle­grezza. E tutti mi incominciarono a narrare, come si erano sentiti riempire di una insolita alleggrezza e consolazione interna. Li stavo ad udire con molto gusto e li animai dicendo loro, che siccome godeva­no di vedersi consolati, così avessero anche godu­to, quando si sentivano afflitti, pensando che il di­vin Padre tutto dispone con altissima provvidenza, e tutto permette per loro bene e profitto spirituale, e che quando permette le afflizioni, non tarda mol­to a consolare chi a Lui ricorre con fiducia, e chi di Lui si fida. E loro andavano replicando, che quan­do si sarebbero trovati afflitti e travagliati, non avessero mancato di far ricorso al divin Padre, il quale li amava teneramente ed aveva cura partico­larmente di tutti loro.

A queste ed altre cose che io loro andavo insinuando, si disfacevano in lagrime i miei apo­stoli, parte per la consolazione interna che sentiva­no, e parte per udire le mie parole, le quali appor­tavano ad essi una sempre nuova allegrezza e con­solazione. Ed io li esortavo sempre a lodare e bene­dire il divin Padre, come autore di ogni bene e di ogni consolazione che a loro veniva data da me.

Pregai ancora il divin Padre ad ispirare a tutti i miei fratelli, quando da Lui sono consolati, a riconoscere il beneficio delle sue mani, a mostrarglisi grati, con ringraziarlo, benedirlo e lodarlo; siccome ancora quando sono afflitti e travagliati, a prendere il tutto con pazienza dalle divine sue ma­ni, e di questo ancora rendergli grazie, mentre il tutto è ordinato a lor maggior profitto spirituale. E vidi, come il Padre l'avrebbe fatto, e che molti si sarebbero approfittati della divina ispirazione, e che facendolo avrebbero dato molto gusto al divin Padre. E di ciò godei molto, benchè provai dell'amarezza, per vedere, come molti si sarebbero serviti della detta grazia in tempo delle consolazio­ni, ma non già in tempo delle afflizioni: mentre al­lora si sarebbero inquietati e non dando orecchio alla divina ispirazione, avrebbero del tutto perso la pazienza, lamentandosi dell'amorosa mano che li percuote per sanarli. Per il che disgustano il divin Padre, ed essi perdono il merito che in tal occasio­ne acquisterebbero, se ricevessero il tutto con pa­zienza, e ne rendessero grazie al Padre celeste. Orai di nuovo per tutti costoro al Padre, e lo pregai del suo aiuto, e che accrescesse in essi i suoi divini lu­mi, e vidi che per questa nuova grazia, molti se ne sarebbero approfittati. Ed io intesi consolazione e ne resi grazie al Padre, benchè non mancò a me dell'amarezza, per vedere come molti si sarebbero abusati anche di questa nuova grazia.

Già tu senti, sposa mia, come a me non mancarono mai amarezze per vedere l'abuso delle grazie, che i miei fratelli avrebbero fatto, con tutto ciò non lasciai mai di pregare continuamente il divin Padre, a compartirne loro di nuovo. Nè mai mi stancai di pregare per essi, ed offrii questa mia per­severanza nel pregare per gli ingrati, al divin Pa­dre, e lo pregai che si fosse degnato di dare un tal dono di perseveranza nel pregare per tutti i suoi prossimi, a tutti quelli che in questo particolare mi imitano. E vidi, come il Padre l'avrebbe data loro. E di ciò godei, si per il gusto che ne sente il Padre, come per l'utile che ne risulta, tanto ad essi, come a tutti quei prossimi per i quali essi pregano.

{da "Vita interna di Gesù Cristo" - Maria Cecilia Baij}