Essendo arrivati in Bethania molto stanchi, affaticati e bisognosi di qualche ristoro, ci fu subito preparato dalla sollecita carità di Marta, nostra albergatrice. Dopo essermi trattenuto alquanto con la diletta Madre e con la fervente Maddalena, dando esse qualche sfogo all’amore che mi portavano, prendemmo un po di refezione, secondo la necessità, facendo i soliti atti che altre volte ho detto. Dopo aver reso le grazie al divin Padre, feci a tutti un breve sermone, dopo il quale, ritiratisi i miei apostoli, per prendere riposo, mi ritirai anch’io con la diletta Madre, trattenendomi in sacri colloqui. E perché si avvicinava il fine della mia vita temporale, non volli lasciare di consolarla con la mia presenza, e di trattenermi a parlarle dei misteri racchiusi nella mia vita, passione e morte, dei quali era bene informata, permettendole di dare qualche sfogo all’amore ed al dolore che provava. Dopo essermi trattenuto con la diletta Madre, venne anche l’amante Maddalena, per udire le mie parole e trattenersi ai miei piedi, come era solita. Allora le manifestai, che si avvicinava il tempo della mia morte, e che gli Scribi e i Farisei avrebbero sfogato contro di me il loro insaziabile furore. Ferita nel cuore la Maddalena nel sentire le mie parole, versò copiose lacrime. Fu da me e dalla diletta Madre confortata. Sentiva gran compassione verso la medesima, tanto più che vedevo, quanta pena avrebbe sofferto nel tempo della mia acerbissima passione. E perciò pregai il divin Padre di confortarla, onde il dolore non l’avesse privata della vita, come difatti sarebbe seguito, se il divin Padre non l’avesse confortata con la sua divina grazia: mi amava molto, perciò grande fu il suo dolore per i patimenti da me sofferti.
Avvicinandosi pertanto il giorno, mi ritirai ad orare al Padre, e la mia diletta Madre restò quivi per trattenersi con i miei apostoli, i quali, già destati, bramavano di parlarle. Difatti si presentarono a lei, che li ammonì a star bene attenti a tutti gli insegnamenti che avevo dato loro, ed a riconoscere la grazia grande che aveva fatto loro il divin Padre, con lo sceglierli miei intimi familiari ed apostoli, affinché portassero la vera fede per tutto il mondo. Raccomandò loro molto la fedeltà e l’amore verso di me, loro Signore e Maestro. E dopo vari documenti, domandò di vederli ad uno ad uno, perché voleva ammonire il perfido Giuda, senza che gli altri prendessero sospetto. Parlò a tutti, e tutti ammonì a star forti nella fede e nell’amore verso di me. Disse a Pietro di essere vigilante, perché nel tempo della tribolazione mi avrebbe negato. Egli fidandosi troppo di sé, le rispose: « Non sarà mai, o Signora, che lo neghi il mio Maestro, troppo grande è il suo merito e l’amore che io gli porto! Non consentirò mai, anzi, son pronto a morire con lui! ». A questa risposta la diletta Madre lo ammonì di nuovo ad essere vigilante e bene attento, perché sarebbe caduto nell’infedeltà. Egli soggiunse: « Non sarà mai questo! », fidandosi del sentimento che allora aveva. Arrivata poi a parlare con Giuda, intese la diletta Madre passarsi il cuore dal dolore, mirandolo come figlio di perdizione. Gli parlò con molta compassione dell’anima sua, che già vedeva perduta, e l’avvertì del fallo che avrebbe commesso, dicendogli: Giuda, tu tradirai il mio unico ed amato Figlio e tuo Maestro. E come avrai cuore di tradire il tuo Signore, dal quale tante grazie hai ricevuto? Tu hai veduto l’innocenza e la santità della sua vita! Hai udito la sua divina dottrina, hai visto i miracoli, i prodigi operati! E come potrai tu, separarti dal tuo Capo, e da apostolo amato, divenir discepolo traditore? Come non avrai compassione almeno dell’anima tua?. Questo ed altro disse la diletta Madre al discepolo traditore, il quale protestò, che mai sarebbe caduto in tale eccesso, giurando fedeltà, e dicendo che non doveva dare a lui tali avvertimenti, perché lo conosceva e sapeva che non era capace di cadere in sì fatto errore. Tanto maggior dolore sentiva la diletta Madre, in quanto vedeva, che le sue varie ammonizioni non sarebbero state apprezzate: col fidarsi troppo di sé, Pietro sarebbe caduto nell’infedeltà, e Giuda nel tradimento. Allora pregò per essi il divin Padre, acciò li illuminasse. Vide che il primo sarebbe risorto dalla sua caduta, ma che Giuda sarebbe perito miseramente, onde ne intese sommo dolore, in modo che se non fosse stata confortata dal Padre, il dolore che ebbe del tradimento e della perdita di Giuda, sarebbe stato capace di darle la morte: perché capiva la gravità del male in cui sarebbe caduto l’apostolo traditore. Mentre io stavo orando al Padre, vedevo tutto ciò che passava fra la mia diletta Madre ed i miei apostoli, e non lasciai di pregarlo, affinché avesse dato conforto alla Madre, e lume agli apostoli, onde si fossero approfittati delle sue materne ammonizioni ed avvertimenti. E vidi, che il Padre mio, anche ad istanza della diletta Madre, avrebbe compartito molti lumi e grazie ai miei apostoli, quantunque essi se ne sarebbero poco approfittati. Vidi allora le molte grazie che il Padre avrebbe compartito a tutti i miei fratelli, per l’intercessione di questa gran Madre, e ne resi a Lui grazie per parte di tutti. Intesi molta consolazione per quelli che se ne sarebbero approfittati, e dell’amarezza nel vedere che molti se ne sarebbero abusati.
Terminato pertanto la diletta Madre di parlare con i miei apostoli, ed io di orare al divin Padre, nella quale orazione si era già concluso di dar l’ultima mano all’opera grande della redenzione umana, andai dalla diletta Madre; e i miei apostoli si licenziarono da Lei e mi seguirono. Partito pertanto da Bethania, ed arrivato al Tempio dove si era già adunata molta turba per udire le mie parole, ed anche infermi per esser curati delle loro infermità vi trovai alcuni Scribi e Farisei, che già stavano ad aspettarmi, per riprendermi, se avessi predicato, perché non potevano più sopportare le mie parole, essendo molto infuriati. Io, però, arrivato al Tempio ed adorato il divin Padre, lo pregai, conforme al solito, del suo aiuto, ed incominciai a predicare, dicendo alcune parabole alla turba, che con tutta l’attenzione mi stava ad udire. Sentendo gli Scribi e i Farisei, che con tanta libertà predicavo, sebbene sapessi che per me vi era l’ordine di farmi prendere e carcerare, si avanzarono arditamente a rimproverarmi chiedendo con quale autorità facessi ciò. Furono però da me confusi, come anche in alcune interrogazioni che mi fecero, per vedere se avessero potuto cogliermi in qualche errore contro la Legge, per potere con più libertà arrestarmi. Ma sempre restavano confusi, in modo che non sapevano più che dirmi. Perciò si infuriavano vieppiù contro di me. Erano anche da me ripresi, manifestando io la loro malizia, e tutta ciò che passava, tarato nel loro interno, come nei loro segreti concili. Ed allora restavano atterriti, e non sapevano che rispondere. Essendo privi della divina grazia, molto istigati dal demonio ed accecati dalla loro passione, tutto interpretavano in male. Però dicevano, che avevo il demonio addosso, che mi manifestava tutto ciò che passava fra di loro. Era ferito il mio Cuore da questa sì grave ingiuria; con tutto ciò non mancavo di pregare per essi il divin Padre, perché non li castigasse come meritavano. Seguitando pertanto a predicare con maggiore zelo della loro salute e della gloria del mio divin Padre, in quest’ultima mia predica al Tempio, tornai a ribattere tutte le cose che per l’addietro avevo insegnato, dicendo altre parabole. Stava la turba attenta alle mie parole; ma gli Scribi e i Farisei fremevano di sdegno e di odio contro di me. Narrai loro molte cose occulte, manifestai i segni che avrebbero preceduto la fine del mondo, il giudizio finale e la venuta del Giudice supremo, la sentenza definitiva da darsi ai reprobi ed agli eletti. Molto lungo fu questo mio ragionamento, e tutti stavano ad udirmi con gusto. Solo gli Scribi si rivolgevano or qua or là, per non udirmi: le mie parole penetravano le loro orecchie, ma non i loro cuori, induriti più delle pietre. Parlai anche del Sacramento che ero per istituire, col dare la mia carne ed il sangue in cibo ed in bevanda, dicendo, che la mia carne, è veramente cibo, ed il mio sangue bevanda, e che chi avesse mangiato la mia carne e bevuto il mio sangue sarebbe restato in me ed io in lui, e sarebbe vissuto in eterno.
Molto dissi di questo cibo, rivolto ai miei discepoli, che non capivano il mistero, ed i Giudei, che erano presenti, lo capivano molto meno. Quantunque fossero Scribi, e si tenessero dotti, non intendevano la mia divina sapienza. Si andavano perdendo il cervello per interpretare le mie parole, e suscitavano questioni fra di loro per escogitare come poteva essere quello che dicevo, e perché era ad essi tanto nascosto. Ed io, parlando con la mia divina sapienza, rispondevo, ma non ero da loro capito. Dicevano fra di loro: Che scienza è, che sapienza è mai questa, che noi suon possiamo arrivare a capire? E poi concludevano: E certo, che costui parla per bocca del demonio. Che ci stiamo ad inquietare? Questi ha il demonio addosso. In tutti i modi bisogna levarlo presto dal mondo, perché ingannerà e pervertirà tutto il popolo. Così, sposa mia, era dai perfidi oltraggiata la mia sapienza. Questi erano i contraccambi che ricevevo per i molti benefici che loro facevo, insegnando la mia celeste dottrina, sanando i loro infermi, e parlando ad essi con tanta carità ed amore. Mi schernivano facendosi vedere dalla turba, onde non desse credito alle mie parole. Ed io pregavo il divin Padre a dar lume al popolo che mi udiva, affinché conoscesse che gli Scribi ed i Farisei tutto facevano per malizia e per l’odio che mi portavano, perché dicevo loro la verità. Ed il Padre non mancava di dar loro lume per conoscere la verità. Perciò le turbe non davano udienza ad essi, ma, tutte attente alle mie parole, si compungevano e profittavano di quanto loro dicevo. Si trovava presente a questo mio ultimo ragionamento gran moltitudine di popolo di diverse nazioni. Erano venuti per la solennità della Pasqua, e tutti restavano ammirati della mia divina sapienza, del modo, della grazia con cui predicavo. Sentendo tutti una grande consolazione interna nell’udirmi, invidiavano la sorte degli abitanti di Gerusalemme, che mi avevano fra di loro. Io nel predicare guardavo tutti con amore, bramando la salute di tutti; ed essi restavano presi di amore verso di me, né si saziavano di udirmi parlare. Mi rimiravano attentamente e benedicevano chi mi aveva dato alla luce, dicendo fra di loro: Oh, che sorte felice quella de suoi genitori, di avere un tale figliuolo! Si ingegnavano però gli ebrei di pubblicarmi per persona vile, per superbo, per ingannatore, benché poca udienza loro dessero, conoscendo tutti come essi mi odiassero e parlassero per invidia e per passione, perché nei loro volti si faceva conoscere da tutti la loro malvagità. E mentre dicevano i Farisei fra di loro, che in tutti i modi mi si doveva dare la morte, io, perché conoscessero che sapevo tutto, dissi pubblicamente, rivolto ad essi, che disfacessero pure il Tempio della mia Umanità, di cui essi parlavano, perché dopo tre giorni io l’avrei riedificato. Di queste parole, che non capirono, si fecero beffe, affermando che dicevo degli spropositi per far conoscere alla turba la potenza che avevo. Infatti, da ogni mia parola o predica prendevano motivo per dispregiarmi e deridermi. Io soffrivo con volto sereno, non dimostrando mai sdegno, perché il mio Cuore era pieno di carità, bramando la loro conversione, e domandandola al Padre. Ma essi vi posero tutto l’impedimento con la loro durezza, facendosi accecare dalla loro malizia e dalla passione. In tutto il mio ragionamento non persi di vista i miei fratelli, che avevo sempre presenti, ed offrivo al Padre le ingiurie e gli affronti che mi venivano fatti dai miei nemici, e per le mie offerte lo pregavo di dare a tutti i suoi lumi e la sua divina grazia, onde si fossero approfittasti della mia dottrina e degli esempi che loro lasciavo. E vedevo che il Padre l’avrebbe fatto, ed io lo ringraziavo. Vedevo anche tutti coloro che avrebbero approfittato, e ne intesi consolazione, ma intesi dell’amarezza, nel vedere il gran numero di quelli che li avrebbero dispregiati. Per essi domandai al Padre misericordia, perché desse loro più lume e più stimoli al cuore, per approfittare di tante grazie. Vidi che il divin Padre l’avrebbe fatto con la sua misericordia infinita e che molti, per questa nuova grazia avrebbero approfittato; ne intesi consolazione e ne resi grazie al Padre anche per parte loro, lodando la sua infinita bontà. Intesi dell’amarezza per coloro che, anche di questo, si sarebbero abusati, volendo restare nella ostinata durezza.
Vedendo inoltre che nel mondo vi sarebbero stati degli uomini perfidi e maliziosi, che con i loro falsi dogmi avrebbero pervertita molta gente, tirandola al loro pessimo partito, ne parlai ai miei apostoli ed alle turbe che mi stavano ad udire, avvertendo anche tutti i miei fratelli e seguaci a star bene attenti, per non lasciarsi ingannare. Lasciai perciò loro tutti gli insegnamenti sul modo di comportarsi con simile gente. Rivolto al Padre lo pregai di volersi degnare di mandare in tal tempo al mondo uomini santi, affinché avessero abbattuto i falsi dogmi e le eresie. Vidi che il divin Padre l’avrebbe fatto, e vidi il bene che questi avrebbero apportato a molti con i loro aiuti, e con la santità della dottrina che avrebbero predicata. Di ciò intesi consolazione e ne resi grazie al Padre pregandolo del suo potente aiuto per questi suoi fedeli amici. Intesi però dell’amarezza, ed oh, quanto grande! nel vedere il gran numero di quelli che si sarebbero pervertiti seguendo la dottrina falsa degli scellerati. Perciò, rivolto al Padre, tutto dolente, lo pregai del suo aiuto e della potente sua grazia per quei miserabili. Vidi, che il Padre non avrebbe mancato di concedere loro quanto gli richiedevo. Che molti si sarebbero convertiti in tutti i tempi con mirabili conversioni. Di ciò godei, e resi grazie al divin Padre; ma intesi dell’amarezza, o quanta! nel vedere il gran numero di quelli che sarebbero miseramente periti, per voler restare nella loro infedeltà ed ostinazione.
Terminato il mio discorso, dissi pubblicamente, che non mi avrebbero più udito parlare, e rivolto agli ebrei, dissi loro: Io vado, voi mi cercherete e non mi troverete, e morirete nel vostro peccato, ostinati e ciechi a tanta luce, annunciando così l’ostinazione e la durezza della loro nazione.
Terminato il discorso, ed adorato di nuovo il divin Padre, diedi la salute a tutti colono che si appressarono a me per essere sanarti dalle loro infermità. Usci dal Tempio con i miei apostoli, per non più tornarvi, dicendo al Padre mio: Ecco, o mio divin Padre, che ho adempito in tutto la vostra divina volontà: ho dato tutti gl’insegnamenti, ho predicato la parola vostra, ho promosso il vostro onore e la vostra gloria tanto in questa nazione, come in tutte le altre. Ora vi prego di dare a tutti il vostro aiuto, i vostri lumi, la vostra grazia, onde chi voglia, possa approfittare di tanto beneficio. Queste grazie ve le domando in virtù di tutte le mie opere, delle fatiche che ho fatto nella mia predicazione, dei patimenti sofferti, delle ingiurie e delle persecuzioni che ho sostenuto da parte dei miei nemici, e di tutto ciò che ho operato per la vostra gloria e per la salute delle anime.
Fu gradita al Padre tale offerta e richiesta, per cui, dimostrandomi il sommo gradimento, mi promise quanto gli avevo chiesto; poi mi disse: Oh, amato Figlio, in cui mi sono sempre compiaciuto e dal quale ho sempre ricevuto sommo gusto, non vi sarà cosa che mi domandiate in cui non restiate soddisfatto. Anzitutto ripongo nelle vostre mani, facendovi assoluto padrone, tutto ciò che è mio, essendo voi a me uguale nella divinità; l’umanità vostra sarà esaltata, e le sarà data da me tutta la potestà, sì nel cielo come in terra.
Rese perciò le grazie al divin Padre e andai a Bethania con i miei apostoli. Lungo il viaggio li andavo istruendo ed esortando a star vigilanti, perché il nemico infernale li avrebbe travagliati, perciò era necessario che stessero sempre orando, e raccomandandosi al Padre, per non cadere nelle tentazioni. E di nuovo dissi loro: Figliuoli miei, poco più starò con voi, perché è arrivato il tempo in cui si deve terminare l’opera della redenzione e il Figliuolo dell’uomo sarà dato in mano dei nemici, i quali lo strazieranno, lo scherniranno, lo flagelleranno, e infine lo condanneranno a morte, come altre volte vi ho detto. Perciò state vigilanti, perché adesso si avvicina il tempo in cui dovete far mostra della vostra fedeltà e dell’amore che mi portate, mettendo in pratica ciò che tante volte vi ho insegnato, Animatevi anche voi a soffrire dei travagli, e state sicuri che il mio divin Padre vi assisterà, vi proteggerà. Non vi apporti meraviglia se il mondo vi odierà e vi perseguiterà, e se vi sarà reso male per bene, vedendo che io, vostro Capo e Maestro, sono perseguitato ed odiato, e che infine mi sarà data ignominiosa morte. Quando il mondo tratterà voi come tratta me, rallegratevi, perché allora sarete fatti, degni di essere simili al vostro Maestro: per questo la vostra mercede sarà copiosa nel Regno dei cieli.
Questo ed altro andavo dicendo ai miei apostoli, preparandoli al gran travaglio che avrebbero avuto nel tempo della mia passione. Essi afflitti e dolenti, piangevano, non potendo proferir parola. Solo Giuda, il traditore, stava forte: perché era di cuore assai duro, e non dava credito a quello che allora dicevo. Pensava fra sé, che parlassi così per affliggerli e per sentire come mi amassero, non perché dovessi veramente morire. Dispiaceva molto a me il pensiero del discepolo traditore, perché vedevo che con questi sentimenti si andava a poco a poco disponendo al tradimento. Già il nemico cominciava a tentarlo, ed a suscitargli la sua rea passione. Ogni tanto gli suggeriva come avrebbe potuto fare per avere il danaro che gli Scribi, i Farisei, i principi ed i sacerdoti avevano promesso a chi mi avesse dato nelle loro mani. Ma andava però ribattendo la sua passione col pensiero che non era a lui lecito far questo; tanto più poi si convinceva, vedendo tutti gli altri apostoli molto affezionati ed anche molto afflitti
per la perdita, che dicevo dovevano fare di me. Io non mancavo di ammonirlo internamente, ed il Padre gli dava molti lumi, perché conoscesse il suo errore, scrollasse da sé la tentazione e frenasse la rea passione. Perciò si andava rimettendo, benché non si quietasse e stesse con la mente turbata.
Quanta pena mi dava, sposa mia, questo discepolo, che incominciava a dar adito all’antico suo vizio, e che per quanto gli dicessi, e per quanti lumi ed aiuti avesse, non si voleva arrendere totalmente, ma conservava in sé l’affezione al danaro ed il desiderio di averlo. Andava, ogni tanto pensando fra sé : « Il Maestro dice che ha da morire, se sarà vero che debba morire, io almeno avrò quel denaro presso di me, e così provvederò ai miei bisogni; e se non morrà, servirà per provvedere ai bisogni, di tutti noi ». Tutto ciò gli suggeriva il nemico, perché cercava tutti i modi di farlo cadere; per di più, lo faceva andare lontano da me, in modo che non potesse udire le mie parole. Difatti ne mostrava spesso noia e tedio, perché lo colpivano nel suo vizio di interesse ed avidità di avere sempre più.
Tutto ciò non avvertivano gli altri miei apostoli, né mai pensarono che quanto dicevo, Io dicessi più per fare avvertito Giuda, che essi: se l’avessero capito, lo avrebbero lacerato. E quando lo vedevano andare lontano da me, credevano che lo facesse per stanchezza, come difatti dimostrava.
Arrivati pertanto a Bethania, dove ero aspettato dalla mia diletta Madre, e dalla gente che era con Lei, in particolare da Maddalena, che molto mi amava, e bramava di stare sempre ad udire le mie parole, fui accolto con dimostrazioni di affetto, conforme al solito, specialmente da Lazzaro risuscitato, che si dimostrava grato del beneficio ricevuto, e mi amava molto, come fedele discepolo. Solo la mia diletta Madre stava più del solito afflitta nel suo interno, perché sapeva essere arrivata l’ora del mio patire e della mia morte, e vedendo l’afflizione del mio Cuore per la perdita dell’apostolo traditore, molto mi compativa e mi accompagnava nella mia grande afflizione. Anche Maddalena era trafitta dal dolore, perché le avevo dato qualche indizio della mia vicina morte; ma, sorpresa dall’amore, nel vedere la persona mia, da lei tanto amata, dava bando al dolore, e stava godendo la mia presenza con gran giubilo del cuore.
Frattanto non lasciavo di pregare il divin Padre, acciò le avesse confortate e fortificate, perché potessero soffrire il travaglio nel tempo della mia passione. Ciò feci anche per tutti i miei fratelli e seguaci, affinché il Padre li avesse confortati nel tempo di allegrezza e di consolazione, perché poi, sopraggiungendo loro i travagli, li avessero sofferti generosamente. Vidi che il Padre l’avrebbe fatto, e tutti quelli che si sarebbero trovati afflitti in tal modo, per la grazia del divin Padre si sarebbero confortati, ed avrebbero sofferto i travagli con generosità. Di ciò resi grazie al Padre, e godei; ma intesi dell’amarezza nel vedere che molti si sarebbero abbandonati al dolore ed alla tristezza, non volendosi, in modo alcuno, accomodare a soffrire i travagli. Per questi pregai di nuovo il divin Padre ad illuminarli ed a dare loro maggior grazia. Vidi che il Padre l’avrebbe fatto, e che molti, per la detta grazia, si sarebbero rimessi alle divine disposizioni, soffrendo i travagli con più generosità. Di ciò intesi consolazione, benché non mi mancasse da soffrire per vederne molti, che si sarebbero abusati anche di quella nuova grazia.
Intanto la sollecita Marta preparò la refezione per i miei apostoli, dopo la quale feci al solito, il discorso, parlando con più amore del solito a tutti. Anche a loro dissi che fra poco li avrei lasciati, perché dovevo eseguire la volontà del Padre che mi aveva mandato; ma che non dubitassero, perché non li avrei mai abbandonati. Li assicurai della mia continua assistenza, pur non essendo fra di loro in carne mortale. Si affliggevano tutti a queste parole, mia io non mancavo di consolarli e di animarli.
Essendo già l’ora di prendere qualche riposo, si ritirarono tutti, ed io mi ritirai con la mia diletta Madre e con le due sorelle, Marta e Maddalena, le quali, poiché erano molto afflitte, non potevano privarsi della mia presenza, che apportava loro grande conforto. Ed io le consolai molto, parlando delle grandezze del mio divin Padre, e del premio che loro stava preparato nel regno dei cieli, animandole al patire, perché quanto più avrebbero sofferto in terra, tanta maggior gloria avrebbero avuto in cielo. Le assicurai del mio amore verso di loro, ed essendo passata buona parte della notte in tali discorsi, si ritirarono, ed io restai con la mia diletta Madre a trattare da sola a solo, lasciando ch ella desse qualche sfogo al suo dolore. Anche io le dicevo la pena del mio Cuore nel vedere la sua grave afflizione. E quantunque, la Madre ed io sapessimo ciò che nei nostri Cuori passava, tuttavia ne parlavamo per dare qualche effusione al nostro grande dolore. Mi diceva la diletta Madre: Figlio mio, da me unicamente amato, come Figlia e come Dio, potrà soffrire il mio cuore, che uno dei nostri più intimi familiari vi abbia a tradire e dare in mano dei vostri nemici e che poi debba perire miseramente, e la copiosa redenzione abbia da servire alla maggior condanna del vostro apostolo familiare, che vi ha seguito nella predicazione, ha veduto i vostri miracoli, i vostri esempi, ha udito continuamente la vostra celeste dottrina ed è stato da voi istruito? Che questo da una medicina sì salutare abbia da cavarne un veleno sì potente; che per lui non ci sia rimedio e voglia disperare senza far ricorso alla vostra infinita bontà e misericordia, restando ostinato nel suo peccato? Questo sì che mi trafigge l’anima: che lui stesso voglia essere l’autore della sua rovina, dandosi da se stesso la morte! A queste parole, sentendone anche io una somma afflizione, mi accordavo con la diletta Madre nel dare sfogo al mio dolore. Ed infine, per consolarla, le dicevo, che già si era fatto molto da noi con avvertirlo ed ammonirlo, e che anche molto più farei, non lasciando di ammonirlo fino all’ultima parola che gli avrei detta; ma che volendo egli il suo totale precipizio, non vi era chi lo potesse distogliere. Essendo l’uomo libero della sua volontà, bisognava che egli si fosse rimesso corrispondendo agli inviti della grazia, che tanto prodigalmente gli si offriva. Ma per consolare in qualche modo la diletta Madre, le suggerivo di rivolgere il pensiero a coloro che con tanta fedeltà ed amore, mi avrebbero con lei seguito nel tempo della Passione. E di ciò si confortava. Ma il pensiero della mia passione che le lacerava il cuore, non le permetteva che si facesse troppo sentire la consolazione. Questa visione faceva scempio di quel cuore amante.
Dopo lungo discorso, uniti insieme, facemmo un offerta totale al divin Padre, e tutti rimessi alla divina volontà, lo lodammo unitamente, adorando i suoi divini ordini.
Essendomi trattenuto per qualche tempo con la mia dilettissima Madre, mi ritirai per orare al Padre mio, e trattare con Lui, da solo a solo, l’opera della redenzione. E vidi che gli Scribi, i Farisei e i maggiori stavano tutti in agitazione, pensando di darmi la morte. Chi trovava un invenzione, e chi un altra per potermi avere nelle mani. Dovendo celebrare la Pasqua, avevano determinato di lasciar passare la solennità. Ma era tanta la passione e l’odio che avevano contro di me, da non saper che fare da loro stessi. Volevano celebrare la Pasqua e non potevano più soffrire la dilazione della mia morte. Vedendo tanta malignità, e le gravi offese del divin Padre, ne sentivo un angustia assai grave, e pregavo il Padre di perdonar loro le offese. Il Padre, adirato, li voleva fulminare, ed io, tutto attento a placare il suo sdegno, gli dicevo: Padre mio! ecco che si avvicina il tempo della mia amara passione, perciò vi prego di scaricare sopra di me il vostro giusto furore; la divina giustizia prenda sopra di me le sue soddisfazioni; eccome pronto a soffrire tutto. Perdonate, o Padre mio, ai miei nemici! A queste richieste, placato il divin Padre, si offrì pronto al perdono, Ogniqualvolta quei perfidi ostinati avessero riconosciuto il loro errore; ed io, ammirato della paterna bontà, lo lodai e lo ringraziai, sentendo un sommo dolore per la ostinazione degli ebrei.
Terminata la mia orazione, e rese le grazie al Padre, essendo ormai giorno, ed essendovi molta gente che bramava udire la mia parola, ed alcuni infermi che bramavano ottenere la sanità, diedi a tutti soddisfazione, predicando e sanando quelli di Bethania, che erano concorsi a casa di Lazzaro, per udirmi e per parlarmi. Mi trattenni un pezzo ad istruirli e consolare tutti, e diedi molti ricordi generali per la loro eterna salute. Tutto quel giorno lo passai, parte predicando, parte sanando gli infermi e consolando tutti quelli che venivano da me; lodando tutti unitamente il divin Padre, che loro mi aveva mandato. La Maddalena stava sempre ai miei piedi ad udire le mie parole.
Arrivata la sera, fui invitato a cenare da Simone, detto il Lebbroso, che avevo guarito dal detto male, e che un altra volta mi invitò in casa sua, dove vi fu la Maddalena, che si convertì e sparse l’unguento sopra i miei piedi. Simone si era ritirato in Bethania : in Gerusalemme era molto perseguitato dai Farisei, perché si era fatto curare da me, e perché mostrava buona volontà.
Mi fece il suddetto un altro convito, invitando i miei apostoli e Lazzaro risuscitato. Accettai l’invito, quantunque sapessi che l’apostolo traditore avrebbe biasimato l’azione devota, che era per fare la Maddalena, ed avrebbe preso motivo da tale buona azione, per effettuare il pensiero che lo agitava, cioè, di avere in mano il denaro, che gli Scribi avevano offerto a chi mi avesse dato nelle loro mani. Ciò nonostante andai al convito, per dimostrare a tutti che sono sempre pronto ad andare da coloro che mi invitano con buona volontà a star seco, e che gradisco gli atti devoti. L’apostolo traditore avrebbe in altro modo eseguito il suo cattivo disegno, perché si andava mano a mano arrendendo alla tentazione, e con ciò dava adito alla passione di avere il denaro.
Arrivata l’ora del convito, andai con i miei apostoli, con Lazzaro ed altri invitati. Sentì di ciò rincrescimento la Maddalena, perché doveva ritrarsi per allora dai miei piedi, dove stava sempre ad udire le mie parole e godere la mia presenza. Le dissi: Lasciate che vada, perché questa è l’ultima volta, che mangerò fra voi: è giunta l’ora in cui dovrò dar principio alla mia passione e morire per la salute del genere umano. E difatti questa fu l’ora in cui incominciai a patire gran travaglio, nel vedere la determinazione del discepolo traditore. Restò pertanto ferito il cuore di Maddalena, che si ritirò a piangere amaramente.
Io intanto andai con i miei apostoli al convito. Stando tutti a mensa, venne la Maddalena con un vaso di prezioso unguento, che teneva riposto per servirsene in mio ossequio all’occorrenza. Ella sentendo che dovevo andare in breve alla morte, risolse di venire al convito, e spargere quel prezioso liquore sopra i miei piedi e sopra del mio capo, rinnovando alla fine della mia vita l’azione che fece al principio della sua conversione, fine della sua mala vita, vissuta con scandalo di molti.
Arrivata pertanto la Maddalena, afflitta per la perdita che doveva fare di me, suo amato Maestro, corse presso di me, e, gettatasi ai miei piedi, li unse col prezioso unguento, piangendo amaramente la mia vicina morte. Non disse parola alcuna, non si rivoltò,a mirare alcuno, ma tutta attenta a fare quel devoto officio, sfogava il suo dolore in amare lacrime, ed il suo amore nel baciare i miei piedi, ai quali amorosamente parlava nel suo interno, dicendo: O piedi sacrosanti del mio caro ed amato Maestro, che tanto vi siete affaticati per cercar me, indegna peccatrice! o sacre piante, quanto siete state afflitte, e quanto avete patito per la mia salute e per la salute del genere umano! Io non sarò più fatta degna di star con voi, e di rendervi l’ossequio che devo e che Mi detta l’amore! Mio caro ed amato Maestro, mio divino Salvatore, come farò a restar priva della vostra presenza? Amabile e adorabile mio Signore, come potrò più vivere in terra, se voi mi lasciate, mentre mi dichiaro di vivere solo per amar voi? E come i miei occhi potranno vedere morir voi, vita mia? E me, afflitta e sconsolata, chi sarà sufficiente a consolare, se l’unica mia consolazione deve morire fra breve? Mio divino Maestro, non abbandonate questa vostra serva e discepola: già sapete quante fatiche faceste per ridurla nella via della verità ed alla vostra sequela. Le mie iniquità sono la causa di tutti i vostri patimenti, e saranno la causa anche della vostra morte, mio dolcissimo Maestro, unico mio conforto, mio Liberatore! Con queste espressioni di vero affetta la Maddalena stava ungendo i miei piedi, ed io le lasciavo sfogare il suo amore ed il suo dolore.
Frattanto il perfido Giuda si scandalizzò della devota azione, e si infuriò nel vedere spargere quel prezioso unguento. Fu tanta presa dulia passione dell’avarizia, che non poté dissimulare. Procurò di tirare gli altri al suo partito, passando parola, e dicendo che il prezioso unguento si sarebbe potuto vendere e darne il prezzo ai poveri, coprendo con questo pretesto di carità, la sua rea passione. Difatti anche gli altri si scandalizzavano dell’azione di Maddalena, ma non con passione, come Giuda, il traditore. Dicevano però, che veramente si poteva vendere ed aiutare i poveri, tanto più che avevo, nei miei discorsi, raccomandato tanto l’elemosina.
Vedendo i loro pensieri, e sapendo ciò che fra di loro mormoravano, difesi prima la Maddalena, badando la sua azione devota, e poi dissi loro che la lasciassero fare, perché ciò non era senza mistero; ed in quanto ad aiutare i poveri, avrebbero potuto far sempre loro delle elemosine, ma non più a me, perché io ero per lasciarli.
Tutti si rimisero alle mie parole, solo il perfido Giuda non si volle rimettere. Anzi, incalzandolo di più la tentazione, determinò di andare egli stesso dagli Scribi e Farisei, e darmi nelle loro mani, per avere il denaro dell’unguento, che stimava perduto. Non mancai di ispirare all’apostolo traditore di stare attento, di non lasciarsi vincere dalla passione e dalla tentazione, ma non volle dare udienza alle ispirazioni, e sempre più infuriato e appassionato prese la sua determinazione.
Ferito nel mio cuore dal dolore, rivolto al Padre lo pregai per l’apostolo traditore, acciò l’avesse illuminato facendogli conoscere il suo errore. Il Padre non mancò di dargli il lume, per conoscere il gran male che aveva determinato di fare. Ma l’apostolo si fece vincere dalla passione, opponendo resistenza ai lumi ed alla grazia che il Padre gli offriva. Tanto poté in lui l’avarizia, che si stabilì sempre più nella sua decisione.
Terminata intanto la funzione, Maddalena ruppe il vaso del prezioso unguento, in segno del suo dolore, e partì, avendola io internamente confortata.
Terminato il convito, non lasciai di dire varie cose per gloria del mio divin Padre e per la salute dei presenti, che tutti compunti mi stavano ad udire. Solo il discepolo traditore si trovava come su le spine, non potendo più soffrire la dilazione per andare ad effettuare il suo pessimo disegno.
Rese le grazie al divin Padre, come ero solito dopo il cibo, e compiuto il dovere di gratitudine con chi ci aveva invitati, parti con i miei apostoli. Anche il traditore mi seguì con gli altri, per non dare a vedere la sua determinazione. Tornato in casa di Maddalena e di Marta, e lasciati i miei apostoli affinché pregassero e poi prendessero qualche riposo, perché era già l’ora tarda, mi ritirai io con la mia diletta Madre e con le due sorelle, per consolarle in tanto travaglio. La Maddalena specialmente era trafitta dal dolore.
Intanto che mi trattenevo con esse, il discepolo traditore segretamente partì verso Gerusalemme. In quella notte parlò con gli Scribi e i Farisei, offrendosi lui stesso di darmi nelle loro mani, rimettendosi a loro per quanto gli avrebbero dato di denaro. Il traditore coprì anche con i Farisei la sua passione, dicendo loro, che per verità essi avevano ragione, perché io tiravo a me tutto il popolo, ed ero contrario ad essi, il che non dovevo mai fare: avendo egli conosciuta la verità e le loro ragioni, non poteva esimersi dal fare quelle parti, perché così voleva la giustizia. Molte furono le cose che il traditore disse loro. Da tutti fu acclamato, abbracciato, e chiamato uomo veramente di giudizio e di discernimento. Si stabilì il patto di dargli trenta denari, e dopo, tra i loro,applausi, partì, lasciando loro detto che sarebbe tornato a dare ad essi il modo e il segno con cui mi avrebbero potuto avere.
Stavo io, come ho detto, con la mia diletta Madre e con le due sorelle per consolarle. Quanta fosse la pena del mio Cuore nel vedere l’apostolo che già eseguiva il suo pessimo disegno, non vi è mente umana che possa comprenderlo. Sbrigatomi pertanto dalla compagnia delle due sorelle e della diletta Madre, mi ritirai solo ad orare al Padre. Allora pieno di amarezza, prostrato a terra, mi offrii di nuovo, pronto alla morte, effondendo con gemiti e sospiri, la passione del mio Cuore, per la perdita del discepolo traditore, e per tutti quelli che sarebbero stati simili a lui, che allora avevo presenti. Ed, oh! sposa mia, quanto grande era il numero di questi traditori! Cioè, quanti dei miei amici e favoriti si sarebbero poi miseramente perduti per le loro infedeltà e per seguire le loro passioni sfrenate. Ebbi di tutti un gran dolore, e questo dolore offrii al divin Padre, supplicandolo per la loro conversione. Vidi, che il Padre non avrebbe mancata di dar loro i suoi lumi e di offrire loro la sua grazia, ma che essi ostinati, sarebbero
periti miseramente. Fu tanta perciò la mia pena che da sola sarebbe stata sufficiente a darmi la morte. Il Padre non mancò di confortarmi, facendomi vedere tutte le anime che sarebbero state fedeli ed avrebbero corrisposto alla sua grazia con imitare i miei esempi. Perciò, consolato alquanto e rinvenuto dal mio grave cordoglio, esposi al Padre il mio desiderio.
Era questo un desiderio che sempre avevo avuto, di restare in terra fra gli uomini, e che sedendo alla destra del Padre, mi ritrovassi anche nel mondo. Perciò si stabilì, in quella notte, la mirabile e nuova invenzione di amore, di istituire il sacramento della Eucaristia. Rivolto al Padre lo pregai affettuosamente, per parte di tutti i miei fratelli; a volersi degnare di lasciare loro questo pegno di amore e della futura gloria. Gli dissi Padre mio amatissimo, voi vedete in quante miserie si trovano i miei fratelli! quanto potenti sono i nemici che fanno loro guerra! Che sarà del mondo se io, salendo al cielo, lo lascio, e resta privo della presenza mia? Che faranno le anime, se restano prive di questo conforto? Come potranno vincere i loro nemici? E voi, o divin Padre, se non avrete nel mondo uno, che di continuo vi porga suppliche e plachi il vostro sdegno verso i peccatori, come potrete trattenere il castigo da essi meritato? E per placarvi, soltanto io sarò sufficiente, essendo vostro Figlio diletto e Dio a voi eguale nella divinità. Come potrete essere soddisfatto dell’amore che vi devono tutte le creature, se io per esse non starò nel mondo, sempre amando ed offrendo a voi i miei meriti, in supplemento delle loro mancanze, ed in sconto dei loro errori? Così, restando io in terra, nel Sacramento dell’eucaristia, resterete voi soddisfatto, l’amore appagato, e le creature consolate. È necessario, ancora, o mio divin Padre, che io resti in terra nel Sacramento, perché gli uomini non si dimentichino di me e di quanto ho operato per essi; è necessario che per mezzo di detto Sacramento si rinnovi ogni giorno la memoria della mia
passione, ed io sia offerto di nuovo a voi per la salute delle anime, e per placare il vostro giusto sdegno verso i trasgressori della divina Legge. Udì il Padre le mie suppliche, ma facendosi avanti la sua divina giustizia, faceva conoscere che il mondo non meritava un tanto dono e che, tenuti presenti gli oltraggi che io e il divin Padre avremmo ricevuto in questo Sacramento dai cattivi e pessimi uomini, non consentiva che dovessi restare in terra, per essere tanto oltraggiato e vilipeso. Difatti, allora vidi tutte le offese, che in questo Sacramento avrei ricevuto, e nel vedere tante enormità, tanti e sì gravi strapazzi, restai ferito dal dolore. Offri quel dolore al Padre, per placare la divina giustizia. E siccome il mio dolore fu sommo, ed io di merito infinito, restò soddisfatto il Padre. Ardendo nel mio Cuore un incendio di amore infinito, non furono sufficienti le molte iniquità ad estinguere quel fuoco divino, onde si stabilì che io dovessi in tutti i modi restare in terra fra gli uomini, ed istituire questo divin Sacramento. L’amore stesso suggerì la nobile invenzione di restare coperto sotto gli accidenti del pane e del vino, affinché ricevendomi gli uomini in cibo ed in bevanda, rimanessero talmente uniti a me, da divenire una stessa cosa con me. Fu acclamata la nobile invenzione dell’amore, sempre grande e magnanimo, splendido donatore di sé e di tutto ciò che è in suo potere. Infatti, in questa occorrenza trionfò l’amore superando tutti gli ostacoli, per quanto grandi fossero; trionfò di tutto, e si stabilì il divin Sacramento, da istituirsi la notte stessa, in cui si sarebbe dagli uomini macchinata a me la morte, ed in cui sarei stato preso per essere ucciso.
Stabilito ormai di istituire il divin Sacramento, risolsi ancora di comunicare alle anime, che con la debita disposizione mi avrebbero ricevuto in detto Sacramento, tutte le grazie e di far loro gustare la dolcezza e la soavità del mio spirito. Vidi allora che molte anime si sarebbero ritirate dal male, per mezzo di detto Sacramento, e molti sarebbero arrivati a grande perfezione e ad una santità sublime. Vidi che in molti avrei trovato le mie delizie, per la corrispondenza che avrebbero avuto verso tanta bontà e tanto amore, e, come il divin fuoco, si sarebbe sempre più acceso nelle anime, che degnamente mi avrebbero ricevuto in questo Sacramento. Vidi le virtù, che per questo avrebbero esercitato, la grazia che loro avrebbe conferita, la fortezza da vincere tutti i loro nemici. Di tutto ciò mi rallegrai, ne resi grazie al divin Padre, lo lodai, e ringraziai per parte di tutti i miei fratelli, offrendogli i miei meriti, in ringraziamento di tanto dono. Allo stesso scopo di ringraziare offrii al Padre la mia continua ubbidienza ai suoi ministri, scendendo subito, quando il sacerdote pronuncia le parole della consacrazione nelle specie del pane e del vino e trasformandole nel mio corpo, sangue e divinità. Questa obbedienza, o sposa mia, è un atto di continuo abbassamento e di soggezione, che io, in tale occasione, pratico. Non riguardo se il sacerdote sia degno o indegno, sia santo o peccatore: sto sempre pronto al di lui comando. Gradì al sommo e divin Padre questa mia offerta, e si mostrò soddisfatto. Rese pertanto di nuovo le grazie al Padre, rimasi con un ardente desiderio, di istituire il detto Sacramento, bramando che arrivasse presto l’ora, tanto desiderata, in cui potessi fare un dono di tutto me stesso all’uomo. Di ciò sentivo consolazione, benché avessi anche dell’amarezza, perché vi sarebbe stato il perfido Giuda, che mi avrebbe ricevuto nell’anima sua, rea di tradimento contro di me. Vidi, che il traditore avrebbe preso in tale cibo la sua condanna, e, per sua colpa, il cibo di vita si sarebbe convertito per lui in cibo di eterna morte. Nella persona di Giuda traditore, vidi anche tutti quelli, che mi avrebbero ricevuto con l’anima macchiata di colpa grave. Nella mia afflizione,
se dovevo dare un tale cibo al traditore, risolsi di darlo, essendo il Sacramento istituito per tutti coloro che si accostano a riceverlo, cioè, per tutti i fedeli; ed essendo un dono generale, non si deve negare se non a quelli di cui è palese la colpa. Onde, chi è consapevole di delitto, non deve accostarsi a riceverlo, perché sa, che riceverebbe la morte, perché questo cibo come è vita per i buoni, così diviene causa di morte, cioè di dannazione, per i rei. E perciò, stabilito di donarmi a tutti generalmente, anche agli indegni, rimasi col mio solito desiderio, né si diminuì punto l’ardente mia carità e l’incendio di amore che avvampava nel mio Cuore.
Sento che sorge in te il dubbio, perché io ti dico che questo cibo di vita divenga per i rei cibo di morte e di loro maggiore dannazione. Ciò non ti apporti meraviglia: detto cibo, che è di vita, non può mutarsi: ma dico che diventa cibo di morte, perché chi lo riceve con l’anima rea di colpa grave, si fa reo di più grave colpa, perciò meritevole di maggiore castigo. E se la colpa grave dà morte all’anima, così l’anima, che riceve il mio corpo e sangue con rea coscienza, commette una più grave colpa, onde ne viene a ricevere la morte per la colpa che commette.
Avendo dunque stabilito tutto, terminata la mia orazione, andai a trovare la mia diletta Madre, alla quale partecipai la nobile ed amorosa invenzione di amore, di restare in terra sacramentata, e farmi cibo degli uomini. Stava la santa Madre orando, ed il suo spirito tutto aveva penetrato, avendoglielo già manifestato il divin Padre. Anche lei stava rendendo grazie al Padre per tanto beneficio; anche lei, in tale occasione, fu a parte della mia allegrezza e del mio dolore: dell’allegrezza per i buoni, vedendo i mirabili effetti che avrebbe operato questo cibo divino nelle anime, che degnamente lo ricevono; di dolore, nel vedere che tante anime indegne e macchiate di grave colpa, l’avrebbero ricevuto, riportandone grande male. Sentì anche grande amarezza per l’apostolo traditore, perché ebbe la certezza che in quella notte avrebbe messo in esecuzione la sua pessima determinazione. Perciò andai a consolarla, sfogando essa con me la sua grande pena.
Essendomi trattenuto alquanto con la diletta Madre a trattare di questo divin Sacramento, dicendole che in lei si sarebbero conservate le specie sacramentali da una comunione all’altra, e che sarebbe stata la favorita sopra tutti in quel tempo, perché mi avrebbe avuto sempre nel suo cuore, esultò il suo spirito, rimanendo confortata per un tale dono, e si preparò per riceverlo più degnamente e possederlo. Lodammo perciò unitamente il divin Padre, e gli rendemmo nuove grazie, anche per parte di tutti i fedeli.
Fattosi giorno, il discepolo traditore tornò in Bethania, fingendo e tenendo nascosto il patto fatto con gli Scribi e i Farisei, e si unì con gli altri con ardita frante, aspettando che io andassi a ritrovarli. Essendo molta gente concorsa per udire le mie parole e per essere ammaestrata circa la mia dottrina, io andai fra la turba convenuta, con la mia solita serenità, non mostrando al traditore alcun segno di sdegno; egli invece rimase risolto atterrito e confuso nel vedersi alla mia presenza, perché ciò sentivano tutti quelli che stavano in peccato.
Parlai a tutti, istruendoli e consolandoli. Esortai tutti a stare vigilanti ed e far sempre orazione: perché il nemico infernale è molto astuto ed insidia continuamente alla salute dell’uomo, cercando tutti i mezzi per fargli perdere la grazia divina. Inoltre li esortai a star vigilanti ;sopra le loro passioni, a non dar loro adito in modo alcuno, perché alla fine conducono al precipizio. Parlai dei castighi preparati ai rei, e del premio preparato ai buoni ed alle anime fedeli. Molto dissi sopra di questo, lasciando a tutti molti ammaestramenti. Tutti rimasero consolati e bene informati del modo con cui si dovevano comportare, per essere fedeli al divin Padre, che tanta grazia aveva fatto loro, nel mandare il suo unigenito Figlio per la salute del mondo. Solo l’apostolo traditore si dimenava, non potendo udir più le mie parole, perché gli andavano a ferire l’anima, sembrandogli che tutte le dicessi per lui. Ma fatto ormai più duro di una pietra, non si ammollì punto il suo cuore dominato dalla passione disordinata ed incalzato dalla tentazione. Quanta amarezza sentiva di ciò il mio Cuore!
Terminato pertanto il mio discorso, e sbrigati tutti quelli che erano venuti per udirmi, inviai due dei miei apostoli a Gerusalemme, volendo la sera celebrare la Pasqua con i discepoli ed istituire il divin Sacramento. Per questo rimandai due a preparare il luogo e tutto ciò che bisognava, per celebrare la Pasqua, dicendo loro tutto ciò che ad essi sarebbe occorso, e incaricandoli di informare il padrone della casa, che volevo ivi celebrare la Pasqua con i miei discepoli, e che il tutto sarebbe riuscito felicemente.
Si sdegnò l’apostolo traditore perché non avevo commesso a lui quell’ufficio, essendo egli il provveditore, ed arrivò a capire che avevo penetrato il suo tradimento. Le divine ispirazioni lo muovevano a rientrare in sé ed a riconoscere il suo fallo. Ma egli, indurito, fece resistenza, procurando di star lontano dalla mia presenza per non arrendersi ai divini lumi ed alle chiamate interne. E mentre i due discepoli stavano preparando il Cenacolo, io, prima di partire, volli licenziarmi dalla mia diletta Madre, dalle due sorelle e da Lazzaro loro fratello.
Ritiratomi pertanto in disparte da solo a sola con la mia diletta ed afflitta Madre, presi da lei licenza, con dirle che era giunta l’ora in cui dovevo andare alla morte ed essere immolato, come agnello innocente, sull’altare della croce. Prima pregai il divin Padre ad assisterla e confortarla con la
sua divina grazia, poiché per tale partenza doveva essere trafitta dalla spada del dolore.
Ottenuta l’assistenza particolare del Padre, cominciai a parlarle con grande tenerezza d amore, dicendole Mia dilettissima Madre! a voi è noto che io devo morire ed essere sacrificato sull’altare della croce, per compiere la redenzione umana. Tale è la volontà del Padre mio. Pertanto resta ora che voi, Madre mia, mi diate licenza di andare alla morte. Vedo che la vostra anima viene trafitta dalla spada del dolore per sì dura separazione, ma la volontà del Padre si deve adempiere prontamente. Anche il mio Cuore è trafitto dal dolore nel vedere voi, cara Madre, in tanto affanno, priva di ogni conforto: eppure devo lasciarvi in braccio al dolore. Deh, Madre amantissima, consolatevi al riflesso della vostra fedeltà ed amore verso il divin Padre, verso di me, vostro unico ed amato Figlio, e della servitù, che mi avete prestata con tanto affetto. La vostra mercede sarà incomparabile nel regno del Padre mio, dove voi risiederete come Regina. Pertanto vi rendo grazie di quanto avete patito per me e di quanto mi avete amorosamente compartito. Benedico le stille di latte che mi avete dato, le fatiche fatte nell’allevarmi e sostentarmi, i viaggi e le persecuzioni sofferte per salvarmi la vita insidiatami dall’empio Erode, il dolore sofferto per il mio smarrimento al Tempio, il cordoglio in tutto il tempo della mia predicazione. Quanto avete fatto per me, tutto benedico, e di tutto vi ringrazio. Assicuratevi, mia cara Madre, che essendo voi l’oggetto più gradito del mio amore, dopo il divin Padre, siete anche l’oggetto maggiore del mio dolore, per vedervi in tanto affanno. Voi, colomba innocente, senza macchia, voi Madre sempre cara e diletta dovete stare in sì gravi martiri, per mio amore! Ah, che il mio Cuore sente una grave angustia! Ma conviene soffrir tutto con amore, e consolarci al pensiero che adempiamo la volontà del Padre.
A tali parole, trafitta dal dolore la diletta Madre si prostrò a terra, adorò il divin Padre e tutta si uniformò
al suo volere; poi mi chiese perdono se avesse mancato nell’adempimento del suo ufficio di serva e di Madre. Mi pregò a benedirla, e mi domandò la grazia di sentire nell’anima sua e nel suo corpo tutti i dolori, che ero per soffrire nella mia passione, e di trovarsi presente alla mia agonia ed alla mia morte. Tutto le fu da me promesso. Non poteva proferire parola la diletta ed amorosa Madre, per l’acerbità del dolore. Però andava replicando: Figlio mio, in quante pene vi vedrò! In quanti strapazzi, in quanti martiri! Deh, chi mi darà, o mio Figlio Gesù, che io muoia in cambio vostro! che io sola soffra tutto il dolore e tutte le amarezze! Ah, Gesù mio, caro Figlio! Devo rimanere priva di voi che siete la mia vera vita, l’unica mia consolazione, l’unico oggetto del mio amore?
Lasciai che desse per qualche tempo sfogo al suo grave cordoglio. Avendola poi confortata il divin Padre, volle esser da me benedetta. E pregandola a dare anche
a me la materna benedizione, la lasciai in braccio al dolore, tutta uniformata alla divina volontà, restando con lei parte del mio Cuore, in cui Ella viveva.
In tale occasione, vidi tutti coloro che si sarebbero separati nel mondo per adempiere la divina volontà, e tutti quelli che avrebbe separato il duro colpo della morte. Anche di tutti questi intesi io il dolore e la compassione. Perciò rivolto al Padre, lo pregai di dare ad essi la sua grazia per soffrire una sì dura separazione, con l’uniformità al suo divin volere ed alle sue disposizioni e permissioni. Per ottenere ai miei fratelli tale grazia gli offri il mio dolore. Tutto mi promise il divin Padre, e vidi che l’avrebbe fedelmente eseguito. Vidi coloro che se ne sarebbero approfittati, uniformandosi al suo divino volere e soffrendo con pazienza la dura separazione. Di ciò mi rallegrai, e resi grazie al divin Padre, benché sentissi l’amarezza, nel vedere che molti non si sarebbero approfittati della grazia, anzi avrebbero dato in grande impazienza offendendo anche il Padre, col rivolgere lo sdegno verso di Lui, per le Sue disposizioni, senza riflettere che il Padre fa tutto per il bene delle anime, e tutto ordina con paterna provvidenza. Perciò domandai di nuovo al Padre maggior grazia per essi. Vidi che il Padre l’avrebbe data loro, per cui alcuni si sarebbero rimessi alla Sua divina volontà. Resegli, perciò, le dovute grazie, anche da parte dei miei fratelli, andai a licenziarmi da Lazzaro, Marta e Maddalena, miei amorevoli albergatori e discepoli amati.
Li ringraziai di tutta la carità, l’amore e l’ossequio usati verso di me, della mia diletta Madre e dei miei apostoli, poiché tante volte ci avevano cibati e consolati. Li assicurai della eterna ricompensa, li esortai all’amore ed alla fedeltà verso il divin Padre e verso di me, loro Maestro. Raccomandai loro la mia diletta Madre. Per questa mia partenza i loro cuori furono feriti dal dolore, e molte furono le lacrime ed i sospiri, in particolare della Maddalena, che molto mi amava, come anche delle altre devote donne, che accompagnavano la diletta Madre; le consolai tutte con la promessa della mia risurrezione, dopo il terzo giorno.
Mi pregò la Maddalena di farne grazia di trovarsi presente alla mia morte. Glielo promisi, come anche alle altre, che erano venute in compagnia della mia afflitta Madre. Stava la Maddalena ai miei piedi, sfogando il suo dolore e l’amore, che mi portava. Essendo intanto arrivata l’ora di partire, li benedissi tutti, lasciandoli afflitti e addolorati.
Mentre io mi trattenevo con questi, la mia diletta Madre parlava in disparte con i miei apostoli, esortandoli all’amore ed alla fedeltà verso di me, loro Signore
e Maestro, pregandoli di non abbandonarmi nell’ultimo momento della mia vita, e di mostrarsi veri discepoli ed amici fedeli. Tutti le fecero grandi promesse e solo il perfido Giuda stava indurito. Ed ella mi raccomandò al traditore in modo particolare, sperando di muoverlo a compassione; ma non si arrese neanche per questo l’ostinato. Del che intese grande afflizione la mia diletta Madre. Pregò poi Giovanni, da lei molto amato, di informarla su quanto sarebbe occorso circa la mia persona. Tutto le promise il discepolo amato, e tutto eseguì fedelmente.
Terminati pertanto i colloqui, parti con i miei apostoli, dando di nuovo l’ultimo addio a tutti, lasciando quella casa colma di benedizioni, e tutti gli abitanti ripieni di dolore e di amarezza. Benedissi anche tutto il paese nel partire, supplicando il divin Padre affinché qui si effondessero le sue benedizioni e le sue grazie divine, avendo io ricevuto in tal luogo tante cortesie, essendovi stato ricevuto con tanta cordialità ed amore.
Andando pertanto con i miei apostoli verso Gerusalemme per celebrare la Pasqua, il discepolo traditore andava alquanto scostato da me, mentre tutti gli altri mi stavano vicini, molto afflitti e ripieni di timore; ma si illudevano che io non fossi per morire, e che i miei nemici non avrebbero avuto ardire di pormi le mani addosso per farmi prigioniero. Stando tra il timore e la speranza, mi facevano varie domande, alle quali con il solito amore e carità rispondevo, capacitandoli. Espressi loro la brama grande che avevo di fare quella Pasqua insieme, prima della mia morte, della quale Pasqua avevo avuto sempre un vivo desiderio. Intendevo dar loro il mio Corpo in cibo, ed il mio Sangue in bevanda, il quale mistero essi ancora ignoravano. Perciò camminavo con grande ardore, mostrandomi molto desideroso di presto arrivare. Il discepolo traditore diceva dentro di sé: Se fosse consapevole di quanto gli si è preparato, certo non andrebbe in Gerusalemme con tanta allegrezza, né mostrerebbe tanto desiderio di arrivare presto. Tanto l’aveva accecato la sua rea passione, che, quantunque gli avessi fatto capire chiaramente, che già mi aveva macchinato il tradimento, si andava illudendo che io non ne fossi al corrente.
Tu hai capito, sposa mia, in questo capitolo, come in tutti gli altri, che devi stare bene attenta e vigilante sopra le tue passioni, non permettendo mai che esse dominino in te, ma devi sempre combattere per vincerle. Abbi in odio ogni acquisto temporale, perché, entrando a poco a poco nell’anima tua, l’avidità di possedere la roba, o il denaro, potrebbe tale avidità condurti al precipizio. Il nemico è sottile ed astuto, e sotto pretesti di bene, inganna molto le anime inconsiderate. Non ti fidar mai di te stessa, ma ricorri sempre al divin Padre, con le orazioni. Sta attenta ad eseguire le divine ispirazioni. Serviti dei lumi che ti dà il divin Padre, e non abusare della grazia, che io, vivendo in terra, ti meritai. Sta attenta nel respingere le tentazioni del nemico infernale, che tende molte insidie alla tua salute. Sii certa dell’aiuto particolare della divina grazia. Si fedele nelle promesse. Non ti scordar mai di me, servendomi con esattezza e con fervore. Non ti scandalizzare mai delle azioni altrui. Non giudicare. Abbi una carità ardente verso i peccatori, pregando sempre per la loro conversione. Offri spesso al divin Padre i miei meriti, per placare la sua divina giustizia, irritata dalle molte e gravi offese, che di continuo riceve. Procura di far del bene a tutti, non escludendo neppur quelli dei quali sai che ti renderanno male per bene. Fuggi i rispetti umani, e, dove si tratta della gloria del divin Padre, abbi un cuor generoso per operare, senza alcun timore. Vivi distaccata da tutte le creature per sante che siano, onde, venendo l’occasione di doverne restar priva, o per la morte o per altro accidente, tu rimanga in tutto uniformata alla volontà del divin Padre. Non fare operazione alcuna, senza che prima non l’abbia trattata col divin Padre nell’orazione. Procura di consolare il tuo prossimo affitto. Sii grata dei benefici, che ricevi tanto dal Padre mio, quanto dal tuo prossimo. Non esser facile a sdegnarti, quando sei trattata male, ma sopporta tutto con pazienza e rassegnazione. Accompagna le opere tue esterne con sante disposizioni interiori e procura di conservare la pace del cuore in tutte le contrarietà: imitami fedelmente.
{da "Vita interna di Gesù Cristo" - Maria Cecilia Baij}