“Dito della destra di Dio”. Così chiama la Chiesa lo Spirito Santo.[2] Opera di questo dito divino, di delicatezza e potere incomparabili, è l’imprimere e perfezionare l’immagine di Dio nell’anima nostra.
A Lui, solo a Lui appartiene completare il processo della perfezione dell’anima fino a farla degna di Dio, quando l’anima ha sofferto e lavorato per acquistare le virtù ed è disposta a sopportare il tocco della sua mano.
La mano del Dio terribile. Dio, il suo nome, dice la Sacra Scrittura, è “santo e terribile” (cf. Sal 110, 9). Tocca con la sua mano le anime e le santifica. E le fa godere del suo ineffabile amore. Ma quella stessa mano santa è terribile. A volte le fa soffrire indicibilmente. Preziose sofferenze, preziosi godimenti quelli che provengono dal contatto della mano di Dio!
Pietosi i lamenti che il santo Giobbe faceva sentire ai suoi parenti e amici: “Pietà, pietà di me, almeno voi, amici miei, perché la mano di Dio mi ha percosso!” (cf. Gb 19, 21). Era la mano del Dio terribile.
La stessa mano che strappò i pietosi lamenti dalla bocca di Giobbe, fece fremere di gioia la sposa dei Cantici, col farle solo sentire il leggero rumore della mano messa nello spiraglio della porta: “Le mie viscere si agitarono, l’anima mia venne meno all’udirlo” (cf. Ct vulgata 5, 4).
E' sempre la mano di Dio. Cambia forse la mano di Dio? Non è sempre la stessa, sia quando fa soffrire che quando fa godere? Sì, senza dubbio. In Dio non c’è cambiamento. In Lui nulla cambia, tutte le cose sono sempre le stesse. La sua mano per noi è sempre la stessa; piena di giustizia, perché è la mano del Dio tre volte santo. Ma molto più piena di misericordia e di amore perché mano di padre, del Padre più amoroso che ci possa essere. Mano creatrice e conservatrice di tutto quanto esiste. Mano divina che fa inebriare del più intimo godimento i suoi amanti fedeli. Mano che rialza i caduti, che sostiene i vacillanti, che sana gli infermi nell’anima e nel corpo.
Felicità indicibile. Se col solo mettere la mano nella fessura della porta del cuore, se col solo muovere la volontà di quelli che la amano per aprirla ed entrare inebria di felicità, quali effetti produrrà quando quella mano divina arriverà a toccare direttamente le anime? Nessuno può saperlo se non chi lo ha sperimentato. Queste cose sono così profondamente spirituali che non si possono esprimere con parole umane. Più che dirle, possono capirne qualcosa le anime che amano Dio, raccogliendosi nel silenzio interiore. “Quanto è grande la tua bontà, Signore! La riservi per coloro che ti temono, ne ricolmi chi in te si rifugia”, diceva il Profeta (cf. Sal 30, 20).
La tieni riservata! Nessuno può conoscerla e intenderla più di chi l’ha gustata e la conosce per esperienza. E’ la dolcezza della Sapienza immortale, quella che – dice S. Agostino – nessun’altra sapienza può superare.
E’ una felicità tanto nascosta e delicata quella che è custodita dalla divina Sapienza fin da quando l’anima comincia a possederla con il timore, poiché il principio della sapienza è il timore. Che sarà poi nei suoi progressi e nella sua perfezione, quando sparirà il timore e nell’anima resterà solo l’amore? Perché l’amore – come dice S. Giovanni – quando è perfetto, esclude ogni timore (cf. 1 Gv 4, 18). Quale sarà la felicità di quelle anime che gustano Dio e la cui vita è un incessante cantico all’amore increato?
Se il profeta Davide, illuminato dallo Spirito Santo, afferma che questa felicità è a tutti nascosta ed è conosciuta solo da chi la sperimenta, che possiamo dire noi? Non sarà forse temerarietà voler parlare di simili misteri?
Signore, che vedi la nostra intenzione, perdonaci! Tu sai bene che se vogliamo parlare di questi misteri del tuo amore, non è per dire né spiegare come sono, né l’ineffabile felicità che danno. No. Non pretendiamo fare questo, poiché sappiamo bene che non è possibile. Potremo immaginarci le impressioni più gradite e deliziose, ma dovremo sempre concludere che il contatto con Dio è infinitamente superiore. Superiore non solo a tutte quelle cose, ma a qualunque altra cosa che creatura umana possa pensare. Non è paragonabile a nessun’altra cosa creata. E’ la “unzione divina”, che l’apostolo S. Giovanni esortava a custodire in sé come un dono preziosissimo. Con quella “unzione”, le anime non avevano bisogno che altri le istruissero, poiché essa stessa avrebbe loro insegnato ogni cosa. “Quanto a voi, l’unzione che avete ricevuto da lui rimane in voi e non avete bisogno che alcuno vi ammaestri; ma come la sua unzione vi insegna ogni cosa, è veritiera e non mentisce, così state saldi in lui, come essa vi insegna” (cf. 1 Gv 2, 27).
Cristo chiama lo Spirito Santo, da Lui inviato alle anime, “Consolatore” e “Spirito di verità”. Perché in realtà, ricrea, diletta e consola, non in apparenza come le cose create.
“Quando verrà il Consolatore, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre…” (cf. Gv 15, 26).
Queste parole di S. Giovanni e del Signore ci possono dare un’idea, ma molto vaga e lontana della grandezza e sublimità di questi favori di Dio.
E' la stessa mano. Ciò che ora vogliamo fare è incoraggiare le anime al conseguimento di così grandi beni, e eccitare in esse la fame e la speranza di conquistarli. Che sappiano che quando Dio le colpisce, come colpì Giobbe, con la sua mano terribile, è per purificarle e renderle degne poi del contatto con l’Amore. Che pensino e riconoscano allora che quella mano è la stessa che deve produrre anche altri contatti delicati e divini. Se per esse questi contatti non sono ancora gioiosi, ma dolorosi, è a causa della loro impurità, per cui non sono ancora disposte a ricevere il delicato contatto dell’amore.
Dio non cambia. La sua mano è sempre la stessa. Mano blanda e divina. Chi deve cambiare, per sentirla così, è l’anima. Quando avrà cacciato fuori tutto ciò che si oppone alla santità e purezza infinita di Dio, allora al suo contatto l’anima godrà le dolcezze infinite del suo amore. Che si ricordi allora l’anima del fine a cui sono avviati i tocchi dolorosi del Signore, e li riceva con generosità e gratitudine. Entrambe le disposizioni sono necessarie affinché più presto ed efficacemente si compia il lavoro di purificazione. Che pensino allora a quanto soffrono le anime del Purgatorio per poter salire al cielo, e che anche in questa terra c’è un cielo per le anime che amano Dio: unirsi a Lui e gustare di Lui mediante questi contatti che non possono aver luogo se non nelle anime purificate.
L’unione dell’amore. E’ proprio dell’amore aspirare all’unione. Se l’amore è infinito, come quello di Dio, vuole una unione infinitamente perfetta. E per questo è necessario, in chi deve aderire a Lui, una grandissima perfezione.
La santità è la separazione dal male e l’unione con il bene. Il primo, la separazione dal male, si deve fare con la purificazione o con la sofferenza. Il secondo, l’unione con il bene, si fa con l’amore, quando Dio si dà in questo modo all’anima.
Il contatto con Dio produce, come abbiamo visto, diversi effetti, secondo la disposizione dell’anima. Ma, oltre a questo, non è sempre uguale.
Finora ci siamo riferiti solo al contatto per esperienza intima; ed è quello che più ci interessa, perché vogliamo parlare della felicità dell’amore. Ma, per evitare confusioni, conviene dire alcune parole anche su un altro modo attraverso il quale il Signore entra in contatto con l’anima: i tocchi della sua grazia. Sono degni di ogni considerazione perché dispongono l’anima a quegli altri contatti divini, più gustosi. Anche in questi si gode a volte, ma non sempre e non tanto, perché il fine principale a cui sono diretti è dare luce, forza e coraggio nelle fatiche e nelle sofferenze per le quali l’anima deve passare. Pur non avendo il valore degli altri modi, debbono essere molto apprezzati, perché dilatano il cuore e fanno correre nel cammino del Signore e nell’adempimento della sua volontà.
Quasi tutte le anime pie hanno ricevuto, più o meno, questi tocchi della grazia; o quando si convertirono al Signore, o in qualche circostanza che le ha spinte a darsi ad una vita più perfetta, o quando vinsero qualche difficoltà o tentazione.
Producono una santa impressione, che muove la volontà della persona a compiere qualche opera virtuosa, soprannaturale e meritoria, pur costandole fatica o gravi difficoltà.
E’ il Signore, il suo Santo Spirito, che col dono della fortezza dispone l’anima a fare qualcosa per la sua gloria.
Il dono della Sapienza. Molto diversi sono, e più profondi, gli effetti che producono gli altri tocchi intimi che l’anima riceve dal dono della Sapienza. Solo chi lo riceve può riconoscerli dal bene che fanno, pur non sapendo spiegarlo. I direttori spirituali stessi, se non sono molto pii, umili e dotti, facilmente si sbaglieranno e non li riconosceranno.
Quando li ricevono, d’ordinario la persona perde i sensi, del tutto o in parte, perché al sentirsi elevato così in alto com’è il contatto con Dio, il corpo non può resistere e viene meno. Per questo, sono sempre molto rapidi e rari; altrimenti farebbero morire. Ma non si pensi che per questo l’anima non li voglia o li tema; essa sa bene apprezzare il loro immenso valore. Poco si cura o le interessa ciò che possa succedere al corpo: se soffre, soffre; se muore, muore. Sia quel che sia, non gliene importa. Sente i grandissimi beni che le provengono da tali contatti e come la trasformano, la rinnovano, la divinizzano. E’ talmente immenso e indicibile il godimento che prova, che gli fa perdere il gusto e il senso di qualsiasi altra cosa, anche per le cose buone e spirituali che prima teneva in gran conto.
Dio è tutto. Il suo pensiero, il suo cuore, tutto il suo essere intimo resta come sradicato da dove stava prima e fissato in un punto ad un’altezza infinita. In Dio. In Lui riconcentra tutte le sue aspirazioni, i suoi affetti e il suo essere. Lui è l’unica causa della sua vita, la sua unica necessità ed l’oggetto di tutte le sue attività. Non può pensare né desiderare altro. Dio è il suo tutto; il resto è nulla per lei. Vive su questa terra come straniera. Tutto ciò che è di quaggiù le dà fastidio, la stanca, l’affatica. La sua mente, dovunque si trovi o qualunque cosa faccia, sta sempre fissa in quel Bene che ha gustato. E aspira a che le si dia tutto, a che le si mostri apertamente quella bellezza che così la rapisce. Vive così, soffrendo e morendo, ma il suo soffrire è godere e il suo morire è avere una vita sempre più abbondante. Spesso resta come meravigliata e sorpresa da ciò che sente e vede intorno a sé e da come ci possano essere persone che amano cose così vili, basse e transitorie, mentre sono state create per godere cose ineffabili, divine ed eterne.
Contatto con Dio. Contatto con Dio! Bene immenso, incomprensibile, infinito, che Dio concede a chi lo ama… Se tutti desiderassero con tutta l’anima un dono così inestimabile e procurassero di rendersi degni di riceverlo! L’Apostolo esorta tutti: “Aspirate ai carismi più grandi!” (cf. 1 Cor 12, 31).
Il carisma, il dono per cui si compie qui in terra, nell’anima nostra, l’opera santificatrice della grazia. Dono che perfeziona la carità, mentre solo al contatto soave ed efficace di Dio, fuoco consumatore, l’amore può prendere in un’anima proporzioni quasi infinite e una forza alla quale niente può resistere.
Allora l’anima può dire, con tutta verità, che il suo amore resiste a tutte le tribolazioni e contrarietà e che “forte come la morte è l’amore” (cf. Ct 8, 6).
Non c’è, per la creatura, onore più grande che essere elevata alla partecipazione e comunicazione soprannaturale del suo Dio. Nulla esiste che in un istante possa colmarla di tutte le ricchezze e tesori immaginabili, come questi favori del Signore. Non c’è piacere né godimento più puro, più completo e più perfetto che assaporare e gustare l’essenza divina, pur tra veli e ombre, o bere di Dio alla sua stessa sorgente come qui beve l’anima.
Certo, chi ha ricevuto questi doni, non ama più, né apprezza né desidera altro su questa terra. Ma nemmeno resta sazio di ciò che ha gustato, come se pensasse di aver ricevuto tutto ciò che c’è in Dio e non ci restasse altro da ricevere. No. Al contrario, sente che ciò che ha ricevuto è solo una goccia di quel mare infinito. E poiché ha in sé la capacità di ricevere tutto, aumentano la fame e la sete del bene gustato, e anche il suo godimento, poiché capisce che per quanto crescano la sua fame e la sua sete, avrà sempre da ricevere, e che infine, un giorno non lontano, sarà completamente soddisfatto.
“Mi seguirai più tardi”. Quando un’anima riceve da Dio queste grazie specialissime, vorrebbe allora separarsi dal corpo per seguirlo e immergersi in Lui. Ma non è ancora giunta la sua ora e il Signore, ritirando la sua adorabile mano, le dice: “Tu resta, io vado…”. “Signore, dove vai?”, domanda l’anima. E Gesù risponde come rispose a Pietro: “Dove io vado per ora tu non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi” (cf. Gv 13, 36). Il senso di queste parole lo capisce l’anima quando Dio la visita e la favorisce con questi doni, pegno della immancabile realizzazione della sua promessa.
L’anima allora resta ferita di amore, con una piaga incurabile in mezzo al cuore, piaga che S. Giovanni della Croce chiama “deliziosa”. Ma al tempo stesso resta inondata da un immenso gaudio, perché sa che Dio è di una fedeltà e delicatezza indefettibili e che la sua promessa che presto si riunirà con Lui non può fallire. Sì, presto giungerà la sua ora, si realizzerà quella promessa e Dio sarà suo. Le sue ricchezze, i suoi beni, ciò che di Lui ha inteso e gustato, sarà suo per sempre.
La parola divina e ciò che Dio già le ha dato è il più sicuro pegno di ciò che spera di godere eternamente nel suo amore.
Maria, madre nostra, stendi a noi la tua mano misericordiosa e guidaci.Che la tua mano materna ci disponga a ricevere il contatto della mano di Dio. Prendici per mano e aiutaci a salire sulle alture del divino amore, inaccessibili senza la tua potentissima intercessione, affinché possiamo cantare eternamente le infinite misericordie del Signore, frutto del suo amore e della sua Passione e morte.
{Fonte: http://madremaddalena.wordpress.com/}