Sento che tutto mi fugge. E resterò completamente sola nell'Orto, nella più grande agonia! Fuggo verso la solitudine, per poter piangere in silenzio. Quante lacrime di sconfitta! Ad ogni passo che faccio, sono montagne che cadono su di me. Ad ogni passo sento come se mi fermassi per riposare: l'anima è affaticata. Tutto il cammino è spinoso: grossi rami di spine intrecciati mi feriscono. Ansie e sete di amore si estendevano a tutto il mondo; e la ricompensa a questo amore erano spine tanto vive e penetranti, che mi avvolgevano il cuore in un groviglio enorme. Le fiamme di amore che uscivano dal cuore, superavano le spine e si levavano in alto. Fortificata da sforzi interiori, da sforzi dell'anima, camminavo. L'anima mia avanzava verso l'Orto, trascinata dall'amore; il cuore era abbracciato strettamente a tutta la sofferenza.
Pieno di mansuetudine, Gesù con i suoi sguardi divini seguiva da lontano Giuda, là in basso, di casa in casa, mentre concludeva la vendita; al braccio portava la borsa con il denaro. Gesù tutto vedeva, ma nulla diceva ai suoi apostoli. Piangeva nascostamente. Li precedeva triste e silenzioso. Io vidi che essi non si preoccupavano né soffrivano per ciò che stava per accadere: camminavano stanchi. Oltremodo sazi, seguivano il loro Maestro con tutta tranquillità. Erano stanchi per le grandi meraviglie e per quanto avevano visto e udito da Gesù. Il viaggio si svolgeva silenzioso; ma quanto diceva Gesù con il suo silenzio! Come li amava, come parlava loro quel Cuore divino tanto oppresso dal dolore e dalla fatica! Mentre Gesù camminava ansante, per tutto il suo corpo scorrevano gocce di sudore. Di tanto in tanto, si volta va a fissare la Città che restava là in fondo. I suoi sguardi divini scrutavano tutto, nonostante l'oscurità. Gesù si inabissò nella sofferenza: raccolse nel suo Cuore tutta la ingratitudine e la malvagità che vedeva. Quell'abisso di odio e di dolore accompagnò Gesù all'Orto; ed Egli condusse me.
Il Cuore divino di Gesù si sentiva calpestato dall'umanità. Vicino al Suo, nella medesima sofferenza, vi era il Cuore della Mamma. Io sentivo come se il Cuore di Lei volasse verso Gesù e la violenza del dolore trascinasse insieme al cuore tutte le vene del corpo. Lungo il percorso mi attraversavano il cuore i sospiri e le lacrime della Mamma. Non con gli occhi del corpo, ma con quelli dell'anima, La vedevo nell'atrio della sala della Cena, con il santissimo volto tra le mani; La vedevo piangere di dolore. Sentivo come se portassi la Mamma addolorata entro il mio cuore, come un tempo Ella aveva portato Gesù nel suo grembo purissimo. Il mio cuore era il sacrario che L'accolse con tutti i suoi dolori, come Ella fu sacrario che accolse Gesù con tutta la sua vita, divina e umana. Con quale raccoglimento io La portavo! Gesù stava per giungere all'Orto e la Mamma piangeva ancora. Gesù vedeva bene e sentiva le lacrime della Madre benedetta.
Trascinata da correnti d'amore, entrai nell'Orto. Vedevo i suoi ulivi. Vedevo il chiarore della luna, impallidito, e lo scintillio delle stelle, triste, come triste era il cuore divino di Gesù. Tutto appariva attraverso il fogliame, ma con mestizia tale che invitava solo al dolore, al silenzio, al raccoglimento.
Nell'oscurità degli ulivi, Gesù affrettò il passo: andò in un luogo appartato a pregare.
Gli apostoli si addormentarono.
Vidi gli ulivi, quasi coprire Gesù con il loro fitto fogliame molto verde. Li vidi testimoni della sua sofferenza, come se di lui avessero compassione.
Nella solitudine, mi sentivo piegare le ginocchia per pregare.
Orto di tristezza, Orto di agonia! Un Orto mondiale, lastricato di dure pietre: una roccia irriducibile.
Quante sofferenze vede la mia anima per sé e per il corpo! Nulla le resta occulto. Già sento nell'anima il dolore del bacio ingrato che questo viso riceverà.e la mia anima per sé e per il corpo!
Sento lo schiaffo, il viso sputacchiato, gli occhi bendati. Sento il rinnegamento di Pietro. Vedo il braciere e alcune persone attorno. Odo il gallo cantare. Dolore indicibile, paragonabile a quello del tremendo schiaffo.
Mi vedo schernita, di tribunale in tribunale, tra lo schiamazzo del popolo.
Vedo l'anello di ferro che sta infisso nella colonna. Sento nel cuore i lacci che mi legheranno ad essa. Vedo i flagelli che mi colpiranno il corpo e che già mi colpiscono l'anima. Odo il sibilo delle corde e delle verghe. Vedo il rancore con cui sarò fustigata.
Già soffro come se fossi lacerata dai flagelli, coronata di spine e così condotta alla balconata di Pilato, con una canna in mano e una vecchia cappa sulle spalle. Io, nel massimo abbattimento, in mezzo a tanti aguzzini! Vedo la folla, odo le sue esclamazioni: devo essere condannata a morte!
In direzione dell'Orto viene il Calvario. Vedo il percorso lungo il quale dovrò cadere per il peso della croce. Mi sgomento per la visione della salita. Come dovrò affrontarla? Oppressa dai maltrattamenti. Comincio a tremare, e tutto il suolo pare tremare con me.
Sento la crudeltà con la quale verrò spogliata: si staccano, con le vesti, brandelli di pelle e di carne! Sento come se spogliassero non solo il mio corpo, ma anche l'anima. Il dolore che la penetra è mortale.
Vedo i chiodi, il martello, la croce eretta! Mi vedo crocifissa su di essa!
Tutte le sofferenze mi sono anticipate.
E non vado incontro a un Calvario di un solo giorno, ma di molti e molti secoli!
Che cosa è mai il dolore! Cosa sono le sofferenze dell'Orto! Il mondo non le conosce.
Fu il cuore a ricevere tutti i maltrattamenti. Mi pareva che, disfatto in sangue, strisciasse sul suolo dell'Orto come se fosse un serpente velenoso, su cui tutti scaricavano le più grandi atrocità per togliergli la vita.
Il cuore, però, amava più di quanto fosse ferito. Divenne come nube che, invece di assorbire acqua, assorbiva ogni dolore e martirio. Dolore e martirio che si trasformavano in sangue, sangue che avrebbe irrorato tutto il Calvario e, nel Calvario, l'umanità intera.
Ebbi la visione del sangue che stavo per versare e, allo stesso tempo, dei fiori che nascevano dal sangue. Tra questi fiori si propagavano siepi di spine acutissime, per la maggior parte bagnate di sangue. Vedevo il frutto e vedevo l'ingratitudine, vedevo la gloria e vedevo l'iniquità.
Il mio cuore era percosso dalla indifferenza generale per il mio soffrire. Non vi sono parole capaci di descriverne l'agonia.
E la mamma, dov'era in quell'ora?
La mia anima la vedeva e il cuore la sentiva tanto lontana, là nell'atrio, presso la scala. Fissava le strade che Gesù percorreva, i luoghi in cui si trovava. Il suo cuore, legato a quello di Gesù, presentiva quanto egli andava a soffrire, e con lui provava lo stesso dolore.
Con profondi sospiri mormorava:
«Figlio mio, mio caro figlio, quanto tu soffri!». Copiose lacrime scorrevano sul suo volto. Passavano attraverso il mio cuore le lacrime innumerevoli da lei versate. Quanto soffriva per la separazione e la dipartita di Gesù!
Gesù soffriva in grande agonia: soffriva per i patimenti che lo aspettavano e per le sofferenze della mamma. Egli vedeva dove ella stava, vedeva la distanza che li separava. Dolore senza l'uguale!
Il dolore mi lacerava il cuore e l'anima.
Vidi la grande sala in cui fu trattata la vendita di Gesù e dove Giuda, disperato, andò poi a scagliare la borsa con il prezzo del sangue innocente. Vidi lontano un albero al quale stava appeso Giuda. Da esso lo vidi cadere al suolo e scoppiare. Vidi spandersi sul terreno ciò che il corpo conteneva. La vendita di Gesù, la consegna, il bacio traditore lo portarono a quell'atto di disperazione.
Tutto sentii nella mia anima.
Io mi sentivo l'unico albero del mondo che si trasformava in virgulti floridi, cui dava nuova vita: la Vita del Cielo. Ma per questo dovevo affrontare tutto l'Orto, tutto il Calvario e, alla fine, morire sulla croce!
Non importava la morte. Ciò che importava era dare nuove vite.
L'amore mi obbligava al dolore. Ad occhi chiusi, labbra mute, mi consegnai a tutto. Andai verso la morte.
In me sentivo che dovevo morire. E volevo morire. Senza la morte, non avrei portato a termine la missione che dovevo compiere sulla Terra.
Si lanciò su di me, con il suo peso, tutto quanto di brutale è nell'umanità. Mi schiacciò, mi tolse la vita. Ma un'altra Vita, superiore, sublime, molto sublime, diede accesso nel cuore a tutta l'umanità e la avvolse in un incendio d'amore.
Fu tale l'irradiazione, tale la follia d'amore, che fece dimenticare la crudeltà umana. Trionfò sulla morte e abbracciò tutta l'ingratitudine. Questo abbraccio fu eterno.
Gesù, con la sua luce, mi fece vedere e comprendere che questo era il suo abbraccio eterno alle anime: era per loro la sua vita eterna d'amore.
In questo momento culminante, sentii Gesù che fissava il mondo. Con profonda tristezza nel suo cuore, diceva: «Tanta ingratitudine verso tanto amore!». Non erano bene accetti i suoi patimenti, il suo divin sangue, la sua morte!
E' nell'Orto che chiamai a me il mondo.
Sopra il suolo dell'Orto si innalzò un mare immenso, le cui onde si scagliavano contro di me. Tutto attorno a me era mare: battevano contro di me le onde furiose, come se io fossi la banchina. Travolta da queste, caddi nella terra immonda e macchiata. Tutte le macchie erano mie. Tremavo di paura e mi pareva che la terra tremasse.
Ero coperta dalle iniquità che attiravano su di me la giustizia dell'Eterno Padre. Quante lacrime di vergogna, nel vedermi rivestita di tutte le malvagità e nel trovarmi in tale stato alla presenza del Padre! La vergogna di me stessa e il peso della giustizia divina obbligarono la terra ad aprirsi ed obbligarono me a nascondermi in essa.
Mi inabissai in quel suolo duro.
Ne rimasi avvolta come in un manto.
Io, tutta mondo, tutta corruzione e peccato, divenni responsabile davanti all'Eterno Padre. Ero solo io a pagargli questo ineguagliabile debito! Per un mare di peccato e di corruzione, un mare di sangue e di purificazione.
Tutto il mio essere divenne Orto. Tutto il mio essere divenne sangue.
Fui posta su quel suolo duro per essere responsabile di tutti e scandalo per una gran parte: questi erano ribelli, martirizzatori, assassini.
mio grido al Cielo irruppe nella solitudine attraverso le tenebre della notte, tra il fogliame verdeggiante degli ulivi. Gridavo tanto, ma quel grido rimaneva come perduto in un bosco: neppure il Cielo mi dava ascolto. Tanto si era allontanato da me il Cielo, che rimasi come se dalla terra non potessi fissare il firmamento. Tutto era sparito. Soltanto l'Orto restò.
L'Eterno Padre si era occultato: pareva non esistere. Ma la sua giustizia divina scendeva come nere nubi a schiacciarmi.
Il suolo dell'Orto e la giustizia divina erano per me come pietre da mulino, che mi frantumavano in dolore e polvere.
Io ero il chicco di grano macinato, trasformato in farina. E questa continuava ad essere macinata e rimacinata, fino a scomparire.
Io ero il piccolo grappolo d'uva, premuto dal torchio. E, dopo aver dato tutto il succo, quel grappolo doveva sottostare ancora a nuovi torchi, i quali lo spremevano sempre, fino all'esaurimento.
La giustizia divina gravava su di me, ma si mitigava nei riguardi della Terra colpevole.
La notte oscura e serena, in cui non si muoveva una sola foglia, se non quando il dolore faceva tremare tutto, invitava alla solitudine e faceva sentire di più l'abbandono, persino quello dell'Eterno Padre.
Mentre gli apostoli dormivano, Gesù rimase per un po' vicino a loro. Nel momento in cui aveva più bisogno degli apostoli - amici e compagni suoi per tanto tempo - meno li aveva, minore era la loro preoccupazione: essi dormivano tranquilli, di buon sonno.
E Gesù soffriva per questa loro assenza.
Con gli occhi fissi al Cielo, parlava rivolto al suo Eterno Padre. Il dolore giungeva fino a Dio. E il Suo abbandono si univa a quello dell'umanità.
Le stelle brillanti erano come lumi che, attraverso le fronde degli ulivi, venivano ad illuminare l'Orto oscurato. Ma per Gesù non brillavano, non davano luce: a lui non rispondeva l'Eterno Padre.
Però la sua anima parlava infinitamente, e il suo cuore infinitamente amava.
Mi sentii in piedi. Tenevo nelle mani tremule il calice, che non cessava mai di traboccare: vi cadeva dentro una sofferenza senza fine. Quel calice era come una coppa che riceve acqua da una fonte che non si secca mai.
Gesù, in me, prendeva il calice dell'amarezza e più volte lo offriva all'Eterno Padre. Io ero Gesù, e Gesù era me: eravamo la medesima offerta al Cielo.
Nel mio cuore sentivo Gesù ripetere: «Padre, Padre, Padre! Allontana da me questo calice, se è possibile. Ma sia fatta la Tua volontà: voglio morire per dare la Vita».
In questo momento di accettazione, mentre chiedeva al Padre di allontanargli la sofferenza, ma allo stesso tempo voleva solo la Sua volontà, il volto di Gesù era bello, molto sereno, con gli occhi fissi al Cielo:
li sentivo nella mia anima splendere come due soli.
In quella dolorosa agonia, con il cuore dicevo:
«Gesù, se è possibile, allontana da me questa sofferenza!». Ma subito mi gettavo verso di lui a braccia aperte, come fossi bruciata dalle fiamme, per tuffarmi in un mare di frescura e di soavità: «Non sia fatta la mia, ma la tua volontà. O mio Dio e mio Signore! Voglio consolarti e darti anime».
Vidi una strada interminabile, coperta di robusti grovigli di spine: tutte quelle spine dovevano ferirmi!
Il mio buon Gesù mi fece comprendere e vedere nell'anima, con una luce molto chiara, che quelle spine avrebbero ferito attraverso i tempi - fino a quando sarebbe esistito il mondo - non il mio ma il suo divin cuore.
Vorrei saper esprimere l'immensità di quella strada spinosa e il modo in cui Gesù veniva ferito. Ma non so. Seppi appena vedere e comprendere. E rimasi in quel dolore, in quell'angoscia spaventosa.
Vidi la cara mamma preoccupata, in amarezza, in angoscia. Dove si trovava il suo Gesù? Che cosa soffriva in quelle ore?
Egli pregava con il petto appoggiato ad un duro masso ed era circondato da inestricabili grovigli di spine, che si intrecciavano gli uni negli altri. Tanto dolore causava meraviglia e ammirazione agli angeli che dal firmamento, come stelle, lo contemplavano. Soltanto il Cielo comprendeva il dolore di Gesù. Dopo il Cielo, era la mamma a comprenderlo e a viverlo.
Quanto si amavano Gesù e la mamma e come si vedevano l'uno attraverso l'altra! Tutta la Terra - persino i discepoli - ignorava il dolore di cuori tanto amanti!
Poiché l'agonia aumentava, mi buttai con il volto a terra. Sul suolo duro, in una oscurità spaventosa, forti tremori mi pervasero il corpo.
Mi prostrai a terra in più luoghi. In uno più solitario andai di nuovo a pregare da sola.
Dopo, tornai a cercare la compagnia di quelli che amavo. Che mancanza di preoccupazione, la loro! Nella notte silenziosa, il calice della mia amarezza era offerto all'Eterno Padre. E, incuranti, gli amati del mio cuore dormivano!
Su quel suolo nudo e duro tremai di spavento. Pareva che le mie sofferenze diventassero fuoco, formassero fiamme che mettevano in ebollizione il mio sangue. Il cuore dava scossoni tali da obbligare il corpo a rotolarsi al suolo e a sudare sangue. Sentii che le mie vene si accavallavano come fili di un gomitolo. Con grande dolore si aprirono e versarono sangue che inzuppò la terra. Sentii come se avessi la mia veste, bagnata di sangue, incollata al corpo. Il sangue gocciolava mentre, stritolata, stendevo le braccia in atto di offerta.
Con Gesù pregai e sudai sangue. Con lui in me, sentivo il suo cuore aperto come se fosse il mio. Aprivo il cuore a tutta l'umanità e con Gesù dicevo a tutti: «Io sono la Via, la Verità, la Vita».
Vedevo che dal suo divin cuore aperto, con sofferenza anticipata, Gesù dava da bere alle anime. Alcune si allontanavano da lui, con rifiuto e disprezzo: non volevano neppure toccare il sangue di Gesù.
Altre ne bevevano con freddezza e indifferenza, come fosse cosa da poco. Altre ancora venivano a berlo con più amore. Ne venivano certe che bevevano con un amore folle e non volevano cessare di bere.
Ne venne poi una che oltrepassò tutte e, con una sete insaziabile, bevve, bevve. Entrò in lui attraverso la piaga del cuore divino, si perdette in lui: non ricomparve più.
Il sangue irrigò la Terra... rugiada feconda, rugiada d'amore. Doveva essere, nel corso dei tempi, rugiada di vita e di salvezza per le anime.
Sentivo che il sangue versato cancellava tutte le macchie del peccato. Ma, nello stesso tempo, sentivo e intravedevo da lontano, molto lontano, nuove macchie, nuovi vizi: non si voleva approfittare di quel mare di sangue, di quel mare di purificazione.
O Passione di dolore e di amore di Gesù, che non sei conosciuta!
Mi vedevo lavare il mondo con il sangue. E l'albero della croce fioriva dalla mia parte. Ma subito una sconfitta, la sconfitta causata dal male, rovinava tutto, fino al tronco. Le mie vene erano le radici di questo tronco e, perché non morisse e continuasse a dare la vita, io dovevo seguitare a soffrire e a dare il mio sangue.
La sconfitta, la distruzione che la mia anima vide, mi portò all'agonia. Istintivamente in me ripetevo: «L'anima mia è triste fino a morirne».
Alcuni momenti dopo, mi sentii uscita dal sepolcro: la pietra che lo copriva era rimasta da un lato. Ero uscita gloriosa a trionfare su tutte le sofferenze. Questa visione di gloria, avuta anticipatamente, non mi diede alcun sollievo.
Nelle mie mani tenevo il calice, che offrivo all'Eterno Padre. E nuovi grovigli di spine vennero ad avvolgere il calice. Queste spine emettevano una luce che lo illuminava e lo rendeva splendente. Ma tutta la luce e lo splendore salivano al Cielo. All'anima restava soltanto la notte oscura, silenziosa, triste.
Prostrata a terra, in un angolo isolato... Venne un conforto dal Cielo. Non vidi nessuno, ma sentii che dal Cielo discendeva qualcuno venuto a fortificare la mia anima, a sollevarmi dalla nuda terra, a lenire la mia agonia. Ma questa doveva riprendere subito.
Sentii che a portare sollievo alla mia anima era stato un inviato dall'Eterno Padre. Ma il Suo abbandono continuò. Il Calvario con la croce non scomparve. Il mondo, con la sua malvagità, continuò ad aggravare le sofferenze. Mi sentii però più forte per affrontare ciò che mi aspettava.
Mentre la mia anima sgomenta lottava in quel martirio, sentii come se un canale discendesse dal Cielo e mi attirasse dentro di sé. Quel canale aveva la Vita divina. E tutta la mia vita terrena, tutto il mio essere di miserie fu trapassato da essa, come da raggi di sole splendenti e penetranti. Che impasto! La Terra con il Cielo!
Là nell'Orto, con Gesù agonizzante, vidi gli apostoli riuniti a dormire senza preoccupazione alcuna.
Gli apostoli dormivano. Giuda si avvicinava.
Gesù, con dolcezza e mansuetudine, chiamò gli apostoli per il grande avvenimento: la cattura.
Lo udii esclamare: «Alzatevi, venite! è giunta l'ora».
Sorpresi dalla voce di Gesù, essi trasalirono.
Era necessario che venissero a vedere tanto grande amore e tanto grande ingratitudine, l'uno di fronte all'altra.
Odo il trambusto della gente, il tintinnio delle armi. Vedo il folto gruppo dei soldati e, con loro, un maggior numero di uomini che si avvicinano a Gesù: portano bastoni nelle mani alzate, portano il furore dell'inferno.
Sfinito, con le vesti intrise di sangue, in una tristezza profonda e quasi senza vita, Gesù attende. Vede avvicinarsi la soldataglia e il traditore.
Sento che attende il bacio di Giuda con la più grande ripugnanza. Odo una voce che, con tutta dolcezza, dice a colui che si avvicina: «Amico mio, per che cosa vieni? è con un bacio che consegni il tuo Signore? Che male ti ho fatto io, se non amarti? è così che corrispondi?».
E subito Giuda si fa avanti e bacia Gesù.
Ricevo sul mio viso quel bacio. Bacio tanto crudele! Eppure ottenne ancora dalle labbra di Gesù, traboccante di bontà, la dolce parola di "amico". O dolcezza, o amore del cuore divino!
Nello stesso momento, vedo come un pugnale molto aguzzo che si configge nel cuore divino di Gesù. Con questo pugnale conficcato, Egli va verso la cattura, in mezzo ai maltrattamenti. Non gli sarà più tolto.
Da quella grande ferita escono raggi luminosi che diffondono amore.
Sentii per molto tempo che quel bacio, quella ingratitudine, quel tradimento, si sarebbero ripetuti lungo tutti i tempi.
Odo la voce di Gesù: «Chi cercate? Sono io, eccomi».
Vedo i soldati cadere a terra. Odo di nuovo la sua voce: «Vi ho già detto che sono io. Se cercate me, qui mi avete».
I soldati avanzano per catturarlo. Pietro sguaina la spada e taglia un orecchio ad uno di loro. Vedo l'incrociarsi delle spade, vedo le armi dei soldati. Che grande combattimento se Gesù, con i suoi sguardi divini e con la mano alzata, non sedasse e calmasse tutto!
Gesù riattacca l'orecchio, che ha preso nelle sue santissime mani. Al vedere questo, Pietro fugge a confondersi tra la folla. Gesù opera il miracolo e non rimane traccia di ferita! Con quale delicata bontà agisce il Signore!
Ha rimediato con tanta dolcezza al male fatto da Pietro e con la stessa dolcezza si consegna ai malfattori, si lascia legare.
Potessi mostrare la tenerezza, la mansuetudine e l'amore di Gesù verso tutti coloro che lo offendono! Non vi è nulla sulla Terra che si possa paragonare a lui.