"Figlia mia, ascolta" - proseguì la Vergine - "fino dalla mia infanzia ebbi conoscenza delle cose divine e delle speranze riposte nella venuta del Messia. Così, quando l'Arcangelo mi annunziò il mistero dell'Incarnazione e mi vidi scelta per madre del Redentore degli uomini, il mio cuore sebbene pienamente sottomesso al volere di Dio fu sommerso in un torrente di amarezza, perché sapevo tutto quello che il tenero e divino Bambino doveva soffrire, e la profezia del vecchio Simeone non fece che confermare le mie angosce materne.
Tu puoi quindi figurarti quali dovevano essere i miei sentimenti nel contemplare le attrattive di mio figlio, il suo volto, le sue mani, i suoi piedi, tutta la sua persona, che sapevo dovevano essere un giorno così crudelmente maltrattati.
Io baciavo quelle mani e mi sembrava che le mie labbra si impregnassero già del sangue che un giorno sarebbe sgorgato dalle loro ferite.
Baciavo i suoi piedi e li contemplavo già confitti alla croce.
Ravviavo la sua meravigliosa capigliatura e la vedevo coperta di sangue, ingrovigliata nelle spine della corona.
E quando, a Nazaret, Egli fece i primi passi e mi corse incontro con le braccia aperte, non potei trattenere le lacrime al pensiero di quelle braccia stese sulla croce dove doveva morire!
Quando giunse all'adolescenza apparve in Lui un tale insieme di grazia affascinante che non lo si poteva contemplare senza restare rapiti. Ma il mio cuore di madre si stringeva al pensiero dei tormenti di cui provavo in anticipo la ripercussione...
Dopo la lontananza dei tre anni della vita apostolica, le ore della passione e della sua morte furono per me il più terribile dei martiri. «Quando il terzo giorno, Lo vidi risuscitato e glorioso, certo la prova cambiò aspetto poiché Egli non poteva più soffrire. Ma quanto dolorosa doveva essere la separazione da Lui! ConsolarLo, riparare le offese degli uomini era allora il mio solo sollievo. Ma che lungo esilio! Quali ardori di- vampavano dal mio cuore! come sospiravo l'istante dell'eterna unione! Ah, che vita senza Lui! Che luce ottenebrata! Che unione desiderata! E come tardava a venire!
Giunta al settantatreesimo anno l'anima mia passò come un lampo dalla terra al cielo. Dopo tre giorni gli angeli raccolsero la mia salma e la trasportarono in trionfo di giubilo per riunirla all'anima. Quale ammirazione, quale adorazione, quale dolcezza quando i miei occhi videro per la prima volta nella sua gloria e nella sua maestà in mezzo alle schiere angeliche il mio Figlio e il mio Dio!
Che dire poi, figlia mia, dello stupore che mi invase alla vista della mia bassezza che veniva coronata di tanti doni e circondata da tante acclamazioni? Non più tristezza ormai, non più ombra alcuna!... Tutto è dolcezza, gloria, amore!"
La Vergine Santissima, dirà poi Josefa, si è espressa con entusiasmo, e tuttavia un riflesso di umiltà avvolgeva ogni sua parola. Ella tacque un istante, immersa nel magnifico ricordo del suo ingresso nel cielo: poi, abbassando il suo profondo sguardo: "Tutto passa, figlia mia" - le disse - "e la beatitudine non ha fine. Soffri ed ama: mio Figlio tra poco coronerà i tuoi sforzi e le tue fatiche. Non temere: Egli ed Io ti amiamo".
E dopo alcune materne raccomandazioni: "Rimani fedele a Gesù e non rifiutarGli niente. PreparaGli il cammino con i tuoi piccoli atti, poiché presto verrà. Coraggio! Generosità e amore! L'inverno della vita è breve e la primavera sarà eterna".
{Colui che parla al fuoco - Josefa Menéndez}