1. Difficoltà e contrarietà non sono da considerare, in assoluto, delle disgrazie, poiché hanno in sé quella capacità di richiamare la persona a se stessa e di condurla nella stanza più intima del suo cuore.
Qui le è dato di comprendere che quaggiù essa è in esilio e che il riporre la speranza nelle cose di questo mondo non vale proprio la pena. Soffrire qualche contraddizione e il giudizio negativo della gente, nonostante tutta la bontà delle nostre azioni e della nostra retta intenzione, può addirittura risultare una prova benefica.
Questa cosa infatti favorisce normalmente l'umiltà e difende dalla vanità. Anzi, l'ingiuria e lo scredito della gente fanno scattare il desiderio di levare maggiormente e con più convinzione il capo verso Dio, che è il miglior testimone della coscienza.
2. Saldamente uniti a Dio, non avremo più bisogno di rincorrere le consolazioni umane.
Una persona di buona volontà che soffre tribolazioni e tentazioni, o è assalita da cattivi pensieri, avverte maggiormente il bisogno di Dio e si persuade di essere incapace di compiere una qualsiasi buona azione senza di lui. A volte si rattrista e piange e prega per lo stato di sofferenza in cui può venire a trovarsi; può giungere persino ad annoiarsi della vita e invocare la morte, alimentando "il desiderio di lasciare questa vita per essere con Cristo" (Fil 1,23).
Allora si fa persuasa che nel mondo non è dato di avere sicurezza e pace piena.
(L'imitazione di Cristo)