mercoledì 14 settembre 2011

Nel paese di Gesù - Matilde Serao

"Eppure, questo nome di Ghetsemane si unisce al dolore più alto che abbia trafitto il cuore del Martire: e la fatale notte di spasimo, di accasciamento, passata, solitariamente, in quest’orto, è molto più dura e più tragica di tutta l’agonia sulla croce. Qui egli venne, nella sera terribile.
Il suo animo era commosso e agitato: ma i suoi discepoli nulla intendevano e non sapevano consolarlo....Raccomandò loro di non dormire e confessò ad essi la sua infinita debolezza: lo spirito era pronto, ma la carne soffriva. Essi non compresero: si addormentarono ed egli restò solo, nella notte tenebrosa, solo in quell’orto, così ameno, dove aveva passato delle ore così belle, e che adesso si ammantava di lutto, solo, innanzi al cielo, solo innanzi al tremendo problema che si agitava nel suo spirito. Tentò di pregare, tentò di unirsi con l’orazione a suo Padre: non potette. Una tristezza mortale lo invase e un mortale sgomento. Andò a chiamare i suoi discepoli: essi dormivano. Amaramente rimproverò loro di non poter vegliare neppure un’ora, ma essi si riaddormentarono. Solo, di nuovo solo, senza difesa contro l’orribile sfiducia delle cose, degli uomini, dei tempi che lo aveva vinto!
Ah,  è in questa notte di lugubri paure, di solitudine sconsolata, di incertezza immensa, che Gesù vide, come in riassunto universale, tutta la infinita miseria dell’essere umano, tutte le radici degli inevitabili peccati che nessuna religione e nessuna morale arriveranno mai a distruggere, tutte le inveterate tentazioni della consuetudine ereditaria, contro cui non vi sono forze per combattere, tutte le decadenze del sangue e dello spirito, tutte le debolezze della fibra e del cuore, tutto il male nascosto nelle vene e nelle anime; pronto a combattere, sempre, e combattente con ogni arme, egli misurò l’uomo, Gesù, in questa notte tremenda, e gli apparve così irrimediabilmente povero di coraggio, indifeso contro tutte le offese del mondo e della carne, così cieco, così sordo, così vagante alla ventura fra mille pericoli, che gli parve impossibile di salvarlo, mai! Solo, perduto nelle ombre, col supplizio, con l’onta, con la morte imminente che lo aspettavano Gesù, come uomo, dubitò della sua opera, per la prima volta ne dubitò, e così crudelmente, che tutta la sua fibra umana si sconvolse, ed egli grondò sangue da tutti i pori. È in questo obliato orto di Ghetsemane, che egli chiese a sè stesso, nel dubbio più lacerante che abbia mai fatto spasimare un gran cuore, se tutta la sua predicazione non fosse stata un vano rumore portato via dal vento, se la semente della sua parola come nella parabola non fosse caduta sulla roccia dell’egoismo, o non fosse stata divorata dalla cupidigia degli uccelli di rapina: egli chiese a sè stesso, se tutta la sua vita terrena, dedicata a questa luminosa idea, di rifare lo spirito del mondo, non fosse stata consumata inutilmente: egli si chiese, se non era inutile, oramai, morire sulla croce!
Angosciosa domanda, fatta da una natura vergine e ardente, sorpresa, a un tratto, nella medesima anima divina, dal gelo del dubbio; sconfitta a un tratto, dalla sfiducia più triste; avvilita dal pensiero di aver invano sofferto, di dover morire invano! E caduto nella umiliazione più profonda, le mani di Gesù si sono congiunte, ed egli ha pregato il suo Signore, perchè questo calice gli fosse risparmiato: e questo giardino ha udito, ha udito la parola più disperata che sia mai uscita da una bocca umana. Quante ore durò, dunque, questa notte di Ghetsemane? Ah, chiediamolo a tutti coloro che conobbero, nella vita, come il loro Dio, di queste notti indescrivibili, immersi in una desolazione sconfinata, vedendo intorno a sè crollato tutto; chiediamo a tutti coloro che spasimarono, in una di queste notti senza luce senza soccorso, finite la loro gloria e la loro fortuna; chiediamola a tutte le anime grandi che ebbero la loro notte di Ghetsemane, in cui sentirono l’inanità dei loro sforzi, la meschinità di tutti i loro tentativi, la caducità di ogni loro opera. Chi ha misurato quelle ore, mai? Le poche, nitide parole dell’Evangelio vi imprimono un sacro spavento, giacchè tutta la lunghezza dei tormenti morali di Gesù, tutto il traboccante dolore del suo spirito, in quelle ore solinghe, risulta con una semplicità terribile. La tragedia fu avvolta dalle tenebre, fu senza spettatori, fu alta, fu incommensurabile; e quando il Figliuolo dell’Uomo uscì e porse la guancia a Giuda, in verità, egli aveva vinto, ma era già morto."