Introduzione
Il solo esempio di Gesu-Cristo, che in questa terra volle così onorare e soggettarsi a S. Giuseppe, dovrebbe infiammar tutti ad essere molto divoti di questo gran santo. Gesù, dacché l'Eterno suo Padre gli assegnò in terra Giuseppe in suo luogo, egli sempre lo riguardò come padre, e come padre lo rispettò ed ubbidì per lo spazio di trent'anni: «Et erat subditus illis» (E stava lor sottomesso, Luc. 2) . Il che significa che in tutti quegli anni l'unica occupazione del Redentore fu di ubbidire a Maria ed a Giuseppe. A Giuseppe in tutto quel tempo toccò l'officio di comandare, come capo costituito di quella picciola famiglia, ed a Gesù come suddito l'officio di ubbidire; talmente che Gesù non moveva passo, non faceva azione, non gustava cibo, non prendea riposo che secondo gli ordini di S. Giuseppe.
Rivelò il Signore a S. Brigida: «Sic Filius meus obediens erat, ut Ioseph diceret, fac hoc, vel illud, statim ipse faciebat» (Mio figlio era così obbediente che, appena Giuseppe gli diceva di fare qualcosa, lui subito la faceva, Lib. 6. Revel. Cap. 58). E Giovan Gersone: «Saepe potum, et cibum parat, vasa lavat, baiulat undam de fonte, nuncque domum scopit» (Spesso prepara il cibo e le bevande, lava le stoviglie, va ad attingere l'acqua alla fontana, pulisce la casa, In Ioseph. Dist. 3). L'umiltà di Gesù in ubbidire fa conoscere che la dignità di S. Giuseppe è superiore a quella di tutti i santi, eccetto che della divina Madre. Onde con ragione scrisse un dotto autore: «Ab hominibus valde honorandus, quem Rex regum sic voluit extollere» (Va onorato molto colui che il Re dei re ha voluto esaltare, Card. Camer. Tract. de S. Ios.). Gesù stesso perciò raccomandò a S. Margherita da Cortona che fosse particolarmente divota di S. Giuseppe, per essere stato quello che l'avea nutrito in sua vita: «Volo ut omni die specialem facias reverentiam S. Iosepho devotissimo nutritio meo» (Voglio che ogni giorno tu faccia uno speciale ossequio a San Giuseppe, mio devotissimo nutritore).
Per intendere poi le grazie grandi che fa S. Giuseppe a' suoi divoti, lascio di qui riferire gl'innumerabili esempii che ve ne sono; chi volesse saperli, legga specialmente il p. Patrignani nel suo libro: Il divoto di S. Giuseppe. A me basta qui di riferire ciò che ne dice S. Teresa al capo 6 della sua Vita: «Io non mi ricordo (dice la santa) d'averlo sinora pregato di cosa, ch'egli abbia lasciato di farla. E cosa maravigliosa il dire le molte grazie che m'ha fatte Dio per mezzo di questo santo, ed i pericoli onde m'ha liberata, così nel corpo, come nell'anima. È cosa maravigliosa di dire le molte grazie che m'ha fatte Dio per mezzo di questo santo, ed i pericoli onde m'ha liberata, così nel corpo, come nell'anima. Agli altri santi par che abbia concesso il Signore di soccorrere in una sola necessità; questo santo si prova per esperienza che soccorre in tutte; e che vuole il Signore darci ad intendere che sì come in terra gli volle star soggetto, così fa in cielo in quanto il santo gli dimanda. Ciò han veduto per esperienza altre persone, a cui diceva io che si raccomandassero a lui. Vorrei persuadere a tutti che fossero divoti di questo santo, per la grande esperienza che ho de' gran favori ch'egli ottiene da Dio. Non ho conosciuta persona che gli faccia particolar servitù, che non la veda sempre più nelle virtù avanzarsi. Da molti anni nel giorno della sua festa io gli chieggo una grazia, e sempre la veggo adempita. Chieggo per amor di Dio, che chi non lo crede, voglia provarlo. Ed io non so come possa pensarsi alla Reina degli Angeli, nel tempo che tanto s'affaticò nella fanciullezza di Gesù, che non si rendano grazie a S. Giuseppe, per gli aiuti ch'egli diede in quel tempo alla Madre ed al Figliuolo».
In somma ben dice S. Bernardino da Siena non doversi dubitare che quel Signore il quale vivendo ha riverito S. Giuseppe in terra come suo padre, in cielo niente gli negherà, anzi più abbondantemente esaudirà le sue dimande: «Dubitandum non est, quod Christus familiaritatem, et reverentiam quam exhibuit illi cum viveret, tamquam filius patri suo in caelis utique non negavit, sed potius complevit» (Ser. de S. Ioseph).
Specialmente ogni fedele (avendo ognuno da morire) dee esser divoto di S. Giuseppe, affin di ottenere una buona morte. Tutto il mondo cristiano riconosce S. Giuseppe per avvocato de' moribondi e protettore della buona morte; e ciò per tre ragioni. Per prima, perché egli è amato da Gesu-Cristo, non solo come amico, ma come padre; onde la sua intercessione è assai più potente di quella degli altri santi. Dice Giovan Gersone che le preghiere di S. Giuseppe in certo modo con Gesù han forza di comando: «Dum pater orat Natum, velut imperium reputatur» (Ciò che un padre chiede a un figlio ha valore di comando, In Ioseph. n. 2). Per secondo, perché S. Giuseppe ha maggior potenza contro i demonii, che ci combattono in fine della vita; Gesu-Cristo ha dato a S. Giuseppe il privilegio particolare di proteggere i moribondi dall'insidie di Lucifero, in ricompensa, d'averlo il santo salvato un tempo dall'insidie di Erode. Per terzo perché S. Giuseppe anche in riguardo dell'assistenza fattagli da Gesù e da Maria nella sua morte, ha il privilegio d'impetrare una santa e dolce morte a' suoi servi. Ond'egli invocato da loro in morte verrà a confortarli, apportando loro con sé anche l'assistenza di Gesù e di Maria.
Di ciò ve ne sono molti esempi, ma noi ci contenteremo dei pochi seguenti. Narra il Boverio come nell'anno 1581 Fra Alessio da Vigevano laico cappuccino, stando in morte, pregò i Frati ad accendere alcune candele. Gli dimandarono quelli, perché? Rispose, perché doveano tra poco venire a visitarlo Giuseppe e Maria santissima. Ed appena ciò detto disse: Ecco S. Giuseppe e la Regina del cielo: inginocchiatevi, Padri miei, ed accoglieteli. E così dicendo placidamente spirò nel dì 19 di Marzo, giorno appunto consegrato ad onor di S. Giuseppe.
Narra il P. Patrignani 19 nel citato libro (capo 7, parag. 3) da san Vincenzo Ferreri e da altri scrittori che un certo mercante della città di Valenza soleva ogni anno nel giorno di Natale invitare a mensa un vecchio ed una donna che allattasse un bambino in onore di Gesù, Maria e Giuseppe. Questo divoto apparve dopo sua morte a chi pregava per lui, e gli disse che nell'ora del suo passaggio furono a visitarlo Gesù, Maria e Giuseppe, con dirgli: «Tu in vita ci riceveresti in persona di quei tre poveri in casa tua, ora siam venuti per riceverti in casa nostra». E che ciò detto, l'aveano condotto in paradiso.
Di più si narra nel Leggendario Francescano a' 14 di febbraio che la Ven. Suor Pudenziana Zagnoni, che fu molto divota di S. Giuseppe, in morte ebbe la sorte di vedere il santo, che se le appressò al letto con Gesù in braccio; ed ella si pose a ragionare ora con S. Giuseppe ed ora con Gesù, ringraziandoli di tanto favore, e con tale dolcissima compagnia spirò felicemente l'anima.
Si narra ancora nell'Istoria de' Carmelitani Scalzi della ven. suor Anna di S. Agostino teresiana, che mentre stava in morte, alcune religiose la videro assistita da S. Giuseppe e S. Teresa, e che la serva di Dio giubilava d'allegrezza. Ed un'altra religiosa poi in un altro monastero la vide salire al cielo in mezzo a S. Giuseppe e S. Teresa.
Un altro religioso di S. Agostino, come narra il p. Giovanni de Allosa nel suo libro di S. Giuseppe, comparve ad un suo compagno e disse che Dio l'avea liberato dall'inferno per la sua divozione particolare avuta a S. Giuseppe; e poi pubblicò che il santo, come padre putativo di Gesù Cristo, può molto appresso di lui.
1° giorno
Viaggio e nascita di Gesù a Betlemme
«Ascendit autem et Ioseph a Galilaea de civitate Nazareth in Iudaeam in civitatem David, quae vocatur Bethlehem» (Giuseppe dalla casa di Nazaret, salì in Giudea, alla città di Davide chiamata Betlemme, Luc. 2. 4).
Considera i dolci colloquii che in questo viaggio dovette fare Maria con Giuseppe della misericordia di Dio in mandare il suo Figlio al mondo per redimere il genere umano, e dell'amore di questo Figlio in venire a questa valle di lagrime a soddisfare colle sue pene e morte i peccati degli uomini.
Considera poi la pena di Giuseppe in vedersi in quella notte, in cui nacque il Verbo divino, discacciato con Maria da Betlemme, sì che furono costretti a stare in una stalla. Qual fu la pena di Giuseppe in vedere la sua santa sposa, giovinetta di quindici anni, gravida vicino al parto tremar di freddo in quella grotta, umida ed aperta da più parti! Ma quanta poi dovette essere la sua consolazione, quando intese da Maria chiamarsi e dire: Vieni Giuseppe, vieni ad adorare il nostro Dio bambino, ch'è già nato in questa spelonca. Miralo quanto è bello: mira in questa mangiatoia su di questo poco fieno il Re del mondo. Vedi come trema di freddo, chi fa ardere d'amore i Serafini! Ecco come piange quegli ch'è l'allegrezza del paradiso!
Or qui considera qual fu l'amore e la tenerezza di Giuseppe, allorché mirò co' propri occhi il Figlio di Dio fatto bambino; e nello stesso tempo udì gli Angeli che cantavano intorno al loro nato Signore, e vide quella grotta ripiena di luce! Allora genuflesso Giuseppe piangendo per tenerezza: Vi adoro, disse, vi adoro sì mio Signore e Dio; e qual sorte è la mia di essere il primo dopo Maria a vedervi nato! e di sapere che nel mondo voi volete esser chiamato e stimato figlio mio! Dunque lasciate che anch'io vi chiami e da ora vi dica: Dio mio e figlio mio, a voi tutto mi consagro. La mia vita non sarà più mia, sarà tutta vostra; ad altro ella non servirà che a servire voi, mio Signore.
Quanto più poi si accrebbe l'allegrezza di Giuseppe in veder venire in quella notte i pastori, chiamati dall'Angelo a vedere il lor nato Salvatore; ed indi i santi Magi, che vennero dall'oriente a riverire il Re del cielo venuto in terra a salvare le sue creature.
2° giorno
Viaggio in Egitto
«Angelus Domini apparuit in somnis Ioseph dicens: Surge, et accipe Puerum et Matrem eius, et fuge in Aegyptum» (Un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: "Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, Matt. 2. 13.)
Avendo i santi Magi informato Erode che già era nato il Re de' giudei, il barbaro principe ordinò che fossero uccisi tutti i bambini che allora si ritrovavano d'intorno a Bettelemme. Onde volendo Dio liberare il suo Figlio per allora dalla morte, mandò per un Angelo ad avvisare Giuseppe che avesse preso il fanciullo e la madre, e fossero fuggiti in Egitto.
Considera qui la pronta ubbidienza di Giuseppe, il quale, ancorché l'Angelo non gli avesse prescritto il tempo della partenza, egli senza far dubbi, né in quanto al tempo né in quanto al modo d'un tal viaggio, né in quanto al luogo da fermarsi in Egitto, subito si accinge a partire. Onde subito ne avvisa Maria, e nella stessa notte, come giustamente vuole il Gersone, raccogliendo quei poveri strumenti del suo mestiere che potea portare, e che doveano poi servirgli in Egitto per alimentare la sua povera famiglia, s'avvia insieme colla sua sposa Maria, soli senza guida all'Egitto per un viaggio così lungo di quattro cento miglia (come portano) per monti, per vie aspre, e deserti. Or qual dovette esser la pena di S. Giuseppe in questo viaggio in vedere così patire la sua cara sposa, non avvezza a camminare, con quel caro bambino in braccio, che fuggendo lo portavano a vicenda or Maria, or Giuseppe, col timore d'incontrare ad ogni passo i soldati di Erode, nel tempo più rigido del verno, con pioggie, con venti e con nevi. Di che dovean cibarsi in questo viaggio, se non di un tozzo di pane portato dalla casa, o accattato per limosina! Dove la notte dovean dormire, se non in qualche tugurio vile, o alla campagna a cielo aperto, di sotto a qualche albero?
Stava sì bene Giuseppe tutto uniformato alla volontà dell'Eterno Padre, il quale volea che sin da bambino il suo Figlio cominciasse a patire, per soddisfare i peccati degli uomini; ma non potea il tenero ed amante cuore di Giuseppe non sentir la pena in vederlo tremare e in udirlo piangere per lo freddo e per gli altri incomodi che provava.
Considera finalmente quanto dovette soffrire Giuseppe nella dimora per sette anni in Egitto, in mezzo a gente idolatra, barbara e sconosciuta; poiché ivi non avea né parenti, né amici che potessero sovvenirlo; onde dicea San Bernardo che 'l santo patriarca per poter alimentar la povera sua sposa e quel divino fanciullo (che provvede di cibo tutti gli uomini e le bestie della terra) era costretto a faticare di notte e di giorno.
3° giorno
Smarrimento di Gesù nel tempio
«Remansit puer Iesus in Ierusalem, et non cognoverunt parentes eius» (Il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme senza che i genitori se ne accorgessero, Luc. 2. 43.)
Venuto il tempo del ritorno dall'Egitto, ecco di nuovo l'Angelo avvisò Giuseppe che ritornasse col fanciullo e la madre nella Giudea. Considera San Bonaventura che in questo ritorno la pena di Giuseppe e di Maria fu maggiore che nell'andare: poich'essendo allora Gesù in età di sette anni in circa, egli era già così grande che non potea portarsi in braccio, ed era all'incontro così piccolo che non potea da sé far lungo viaggio; onde spesso quell'amabile fanciullo era costretto a fermarsi e buttarsi sulla terra per la stanchezza.
In oltre consideriamo la pena che intesero Giuseppe e Maria, ritornati che furono, quando dispersero Gesù nella visita fatta al tempio. Era Giuseppe avvezzo a godere la dolce vista e compagnia del suo amato Salvatore; or quale fu poi il dolore, quando se ne vide privo per tre giorni, senza sapere se più l'avesse a ritrovare? e senza saperne la cagione, che fu la sua pena maggiore, poiché temeva il santo patriarca per la sua grande umiltà, che forse a cagion di qualche suo difetto Gesù avesse determinato di non vivere più in sua casa, stimandolo non più degno della sua compagnia e dell'onore di assistergli, con aver cura d'un tanto tesoro.
4° giorno
Della continua compagnia che ebbe San Giuseppe con Gesù
«Et descendit cum eis, et venit Nazareth, et erat subditus illis» (Scese con loro a Nazaret e stava loro sottomesso, Luc. 2. 51.)
Gesù dopo essere stato ritrovato nel tempio da Maria e da Giuseppe, ritornò con essi alla loro casa di Nazaret, e visse con Giuseppe sino alla di lui morte, ubbidendogli come a suo padre.
Consideriamo qui la santa vita ch'indi menò Giuseppe colla compagnia di Gesù e di Maria. In quella famiglia non v'era altro affare, se non della maggior gloria di Dio; non v'erano altri pensieri e desiderii che di piacere a Dio: non v'erano altri discorsi che dell'amore che gli uomini debbono a Dio, e che Dio porta agli uomini, specialmente in aver mandato al mondo il suo Unigenito a patire ed a finire la vita sua in un mare di dolori e di disprezzi per la salute dell'uman genere.
Ah con quante lagrime doveano Maria e Giuseppe, già bene intesi delle divine Scritture, parlare alla presenza di Gesù della di lui penosa passione e morte! Con quanta tenerezza doveano andare discorrendo, secondo dice Isaia, che il loro diletto dovea esser l'uomo de' dolori e de' disprezzi; che doveano i nemici talmente difformarlo che più non fosse conosciuto bello qual'era; che talmente doveano co' flagelli lacerargli e pestargli le carni, che dovea comparire come un lebbroso, tutto pieno di piaghe e di ferite; che il loro amato pegno dovea tutto soffrire con pazienza, senza neppur aprir la bocca e lamentarsi di tanti strazii, e come un agnello farsi condurre alla morte, e finalmente appeso ad un legno infame in mezzo a due ladri dovea a forza di tormenti finir la vita. Or considerate gli affetti di dolore e di amore, che in tali colloquii doveano destarsi nel cuore di Giuseppe.
5° giorno
Dell'amore di Giuseppe che portò a Maria e Gesù
Et descendit cum eis (Iesus), et venit Nazareth; et erat subditus illis «Et descendit cum eis (Iesus), et venit Nazaret; et erat subditus illis» (Luc. 2)
Considerate per prima l'amore che portò Giuseppe alla sua santa sposa. Ella era già la più bella, che mai fosse stata fra le donne: ella era la più umile, la più mansueta, la più pura, la più ubbidiente e la più amante di Dio, che non v'è stata, né vi sarà fra tutti gli uomini e fra tutti gli Angeli; onde meritava tutto l'amore di Giuseppe, ch'era così amante della virtù. Aggiungete l'amore col quale egli si vedeva amato da Maria, che certamente nell'amore preferì il suo sposo a tutte le creature. Egli poi la considerava come la diletta di Dio, scelta ad esser la Madre del di lui Unigenito. Or da tutti questi riguardi considerate qual doveva esser l'affetto che 'l giusto e grato cuore di Giuseppe conservava verso questa sua amabile sposa.
Considerate per secondo l'amore, che Giuseppe portò a Gesù. Avendo Dio assegnato il nostro santo in luogo di padre a Gesù, certamente gli dovette infondere nel cuore un amore di padre, e padre di tal figlio sì amabile, ch'era insieme Dio; onde l'amor di Giuseppe non fu puramente umano, com'è l'amore degli altri padri, ma un amore soprumano, ritrovando nella stessa persona il suo figliuolo e 'l suo Dio. Ben sapea Giuseppe per certa e divina rivelazione avuta dall'Angelo che quel fanciullo, da cui si vedea sempre accompagnato, era il Verbo divino che per amore degli uomini, ma specialmente di lui s'era fatt'uomo. Sapea ch'egli stesso l'avea fra tutti eletto per custode della sua vita, e volea esser chiamato suo figlio.
Or considerate che incendio di santo amore si dovea accendere nel cuore di Giuseppe in considerare tutto ciò, ed in vedere il suo Signore, che da garzone lo serviva ora in aprire e serrar la bottega, ora in aiutarlo a segare i legnami, in maneggiar la pialla e l'ascia, ora in raccogliere i frammenti e scopar la casa; in somma che l'ubbidiva in tutto quello che gli ordinava, anzi che non facea cosa alcuna senza la di lui ubbidienza, che gli osservava come padre. Quali affetti doveano destarsi nel suo cuore in portarlo in braccio, in accarezzarlo e ricevere le carezze che gli rendea quel dolce fanciullo! in ascoltare le di lui parole di vita eterna, che divenivano tutte saette amorose a ferire il suo cuore, e specialmente poi in osservare i santi esempii che gli dava quel divin garzoncello di tutte le virtù!
La lunga familiarità delle persone che s'amano, alle volte raffredda l'amore, perché gli uomini quanto più lungamente fra di loro conversano, più l'uno conosce i difetti dell'altro. Non così avveniva a Giuseppe; quanto di più egli conversava con Gesù, più conosceva la di lui santità. Da ciò pensate, quanto egli amò Gesù, avendo (come portano gli autori) goduta la sua compagnia per lo spazio di venticinque anni.
6° giorno
Della morte di San Giuseppe
«Pretiosa in conspectu Domini mors sanctorum eius» (Agli occhi del Signore è preziosa la morte dei suoi fedeli, Psalm. 115. 15)
Considera come S. Giuseppe, dopo aver egli usata una fedel servitù a Gesù e a Maria, giunse alla fine di sua vita nella casa di Nazzaret. Ivi circondato dagli Angioli ed assistito dal Re degli Angioli Gesu-Cristo e da Maria sua sposa, che gli si posero a canto dall'uno e dall'altro lato del suo povero letto, con questa dolce e nobile compagnia con pace di paradiso uscì da questa misera vita. Dalla presenza di tale sposa e di tal figlio, quale degnavasi di chiamarsi il Redentore, fu renduta troppo dolce e preziosa la morte di Giuseppe.
E come mai poteva a lui riuscire amara la morte, mentre moriva in braccio alla vita? Chi mai potrà spiegare o intendere le pure dolcezze, le consolazioni, le speranze beate, gli atti di rassegnazione, le fiamme di carità, che spiravano al cuore di Giuseppe le parole di vita eterna, che a vicenda or Gesù, or Maria gli diceano in quell'estremo del suo vivere? Molto ragionevole perciò è l'opinione che riferisce S. Francesco di Sales che S. Giuseppe morisse di puro amore verso Dio.
Tale fu la morte del nostro santo, tutta placida e soave, senza angustie e senza timori, perché la sua vita fu sempre santa. Ma non può esser tale la morte di coloro, che un tempo hanno offeso Dio e s'han meritato l'inferno. Sì, ma certamente grande sarà il conforto che riceverà allora chi si vedrà protetto da S. Giuseppe, al quale avendo già un tempo ubbidito un Dio, certamente ubbidiranno i demonii, che dal santo saranno discacciati ed impediti a tentare in morte i suoi divoti. Beata quell'anima che in tal punto è assistita da questo grande avvocato, al quale, per essere egli morto coll'assistenza di Gesù e di Maria, e per aver liberato Gesù bambino da' pericoli della morte
7° giorno
Della gloria di San Giuseppe
«Euge serve bone et fidelis, quia in pauca fuisti fidelis, intra in gaudium Domini tui» (Bene, servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco..., prendi parte alla gioia del tuo Signore, Matth. 25. 21)
La gloria che Dio dona a' suoi santi in cielo corrisponde alla santità della vita ch'essi han menata in terra. Per comprendere la santità di S. Giuseppe, basta intendere solamente quel che ne dice l'Evangelio: «Ioseph autem vir eius, cum esset iustus» (Matt. I. 19). Uomo giusto viene a dire uno che possiede tutte le virtù; mentre chi manca in una sola virtù, non può dirsi più giusto. Or se lo Spirito Santo chiamò giusto Giuseppe, allorché fu eletto sposo di Maria, considerate quale abbondanza di amor divino e di tutte le virtù trasse poi il nostro Santo da' colloquii e dalla continua conversazione della santa sua sposa, che gli dava un perfetto esempio in tutte le virtù. Se una sola voce di Maria bastò a santificare il Battista ed a riempire di Spirito Santo Elisabetta, or a quale altezza di santità dobbiam pensare che fosse giunta la bell'anima di Giuseppe colla compagnia e familiarità, che per lo spazio di 25 anni (secondo si porta) ebbe egli con Maria?
In oltre, quale altro accrescimento di virtù e di meriti dobbiam supponere che acquistasse Giuseppe, col praticare per lo spazio di trenta e più anni continuamente colla santità medesima, ch'era Gesù Cristo, in servirlo, alimentarlo ed assistergli in questa terra? Se Dio promette premio a chi dona un semplice bicchier d'acqua ad un povero per di lui amore, pensate qual gloria in cielo avrà data a Giuseppe, che lo salvò dalle mani di Erode, lo provvide di vesti e di cibo, lo portò tante volte in braccio, e l'allevò con tanto affetto. Certamente dobbiam credere che la vita di Giuseppe alla vista ed alla presenza di Gesù e di Maria era una continua orazione ricca d'atti di fede, di confidenza, d'amore, di rassegnazione e d'offerte.