Sembrerà alla signoria vostra che non ci volesse un grande sforzo per guardare mani e volto di tanta bellezza, ma i corpi glorificati sono talmente belli che la vista di una gloria di così trascendente splendore in essi rifulgente sconvolge la ragione. E io ne provavo tanto sbigottimento da restarne tutta turbata e alterata, anche se poi finivo con l’avere così chiara e sicura conoscenza e tali effetti, che presto ogni timore svaniva.
Un giorno che era la festa di san Paolo, mentre stavo a Messa, mi apparve tutta la sacratissima umanità di Cristo, in quell’aspetto sotto il quale lo si suole rappresentare risorto, con quella gran bellezza e maestà di cui ho scritto particolarmente alla signoria vostra quando me ne diede espresso ordine, e mi costò molta pena, perché non è cosa da dirsi senza sentirsi annientare; ma, l’ho detto nel miglior modo che mi fosse possibile, pertanto non c’è motivo di ripeterlo ora qui. Dirò soltanto che, quand’anche in cielo non vi fosse altra gioia per la vista, se non la grande bellezza dei corpi glorificati, se ne avrebbe già una immensa beatitudine, specialmente nel contemplare l’umanità di Gesù Cristo nostro Signore. Se infatti è così sulla terra dove Sua Maestà si mostra in conformità di quanto può sopportare la nostra miseria, che sarà dove si godrà pienamente di un tale bene?
La visione di cui parlo è immaginaria e non ho mai visto né questa né alcun’altra con gli occhi del corpo, ma con quelli dell’anima. Chi ne sa più di me dice che la visione precedente è più perfetta di questa, la quale, a sua volta, lo è molto più di quelle che si vedono con gli occhi corporali. Dicono che queste ultime sono di ordine inferiore ed è in esse dove il demonio può operare illusioni, anche se io allora, non potendo intendere ciò, desideravo, invece, giacché mi era concessa questa grazia, di poter vedere con gli occhi del corpo, affinché il confessore non mi dicesse che era un’illusione. E anche a me, passata la visione, accadeva – subito, subito dopo – di pensare d’essere vittima di un’illusione, tanto che mi affliggevo di averlo detto al confessore, temendo di averlo ingannato. E così scoppiavo in pianto e poi andavo a dirglielo. Egli mi chiedeva se mi era parso che fosse proprio così o se avessi voluto ingannarlo. Io gli rispondevo che era la verità, che a me non sembrava di mentire, né avevo avuto tale intenzione, né per nulla al mondo avrei detto una cosa per un’altra. Egli, che lo sapeva bene, faceva di tutto per calmarmi e io soffrivo tanto di andargli a dire queste cose, che non so come il demonio mi mettesse in testa che potessi fingere se non perché mi tormentassi da me stessa. Ma il Signore si diede tanta premura nel farmi questa grazia e chiarirmi questa verità, che ben presto scomparve da me il dubbio che si trattasse di un inganno. E dopo vidi ben chiaramente la mia balordaggine, perché neppure se fossi stata molti anni a sforzarmi d’immaginare uno spettacolo così bello avrei potuto né saputo figurarmelo, trattandosi di qualcosa che trascende ogni umana immaginazione, anche solo per il candore e lo splendore.
Non è uno splendore che abbaglia, ma una bianchezza soave e un infuso splendore, che dà molto godimento alla vista senza stancarla, come non la stanca la chiarezza che aiuta a vedere tale divina bellezza. È una luce così diversa dalla nostra che la luce del sole sembra offuscata, in confronto a quella chiarezza e a quello splendore che ci si presenta alla vista, tanto che dopo non si vorrebbe più aprire gli occhi. È come vedere un’acqua molto limpida scorrere sopra un cristallo che riverbera i raggi del sole, di fronte a un’acqua assai torbida che scorre alla superficie della terra sotto un cielo nuvoloso. Non già che si veda sole o luce paragonabili a quella del sole; sembra, insomma, una luce naturale, mentre la luce del sole appare una cosa artificiale. È una luce che non ha notte, ed essendo sempre luce, nulla può turbarla. Infine, è tale che, per quanto grande possa essere l’ingegno di una persona, nessuno riuscirebbe a immaginarsela, pur sforzandovisi tutta la vita. E Dio ce la mette innanzi così all’improvviso che non si avrebbe il tempo di aprire gli occhi se fosse necessario farlo, ma non importa che siano aperti o chiusi: quando il Signore vuole, si vede anche senza volerlo. Non vi è distrazione che valga, né possibilità di resistere, né diligenze né attenzioni sufficienti per opporvisi. Io l’ho ben sperimentato, come dirò. [...]
Quasi sempre il Signore mi si presentava come risorto, anche quando mi apparve nell’ostia, tranne alcune volte in cui, per incoraggiarmi, se mi trovavo in tribolazioni, mi mostrava le sue piaghe; talvolta mi appariva in croce, talvolta nell’orto, raramente con la corona di spine, e anche sotto il peso della croce, qualche volta, secondo le mie necessità – ripeto – o di altre persone, ma sempre la sua carne appariva glorificata. [...]
Una volta, mentre tenevo in mano la croce che era attaccata al rosario, me la prese con la sua mano e, quando me la restituì, era fatta di quattro grandi pietre assai più preziose dei diamanti, senza paragone, non essendovi quasi possibilità di confronto tra le cose della terra e quelle viste spiritualmente, di fronte alle quali i diamanti sembrano falsi e difettosi. Vi erano le cinque piaghe di bellissima fattura; mi disse che da allora in poi l’avrei sempre vista così; infatti non vedevo più il legno di cui era fatta, ma solo queste pietre; tuttavia non le vedeva nessuno, tranne me.
{Da "Libro della mia vita" di Santa Teresa d'Avila}