mercoledì 19 marzo 2014

Ritratto di Gesù - da "Croce e Grazia" di Luisa Piccarreta


Una mattina, non ricordo tanto bene, credo che erano passati circa tre mesi che continuavo e stare sempre nel letto, mentre stavo nel mio solito stato, viene il mio dolce Gesù con un aspetto tanto amabile, da giovine, circa l'età di diciotto anni. Oh, quanto era bello!
Con la sua chioma dorata e tutta inanellata, pareva che incatenava i pensieri, gli affetti, il cuore!
La sua fronte serena e spaziosa, cui si rimirava, come da dentro a un cristallo, l'interno della sua mente e si scopriva la sua infinita sapienza, la sua pace imperturbabile! Oh, come mi sentivo rasserenare la mente, il mio cuore! Anzi, le stesse mie passioni innanzi a Gesù si atterrano e non ardiscono darmi la minima molestia. Io credo - non so se sbaglio - che non si può vedere questo Gesù sì bello se non si sta nella calma più profonda, tanto che il minimo alito di sturbo impedisce di ricevere una sì bella vista. Ah, sì, al solo vedere la serenità della sua fronte adorabile è tanta l'infusione della pace che si riceve nell'interno, che credo che non ci sia disastro, guerra più fiera che innanzi a Gesù non s'acquieta! O mio Tutto e bello Gesù, se per pochi momenti che Vi manifestavate in questa vita, comunicate tanta pace, in modo che si possono soffrire i più dolorosi martiri, le pene più umilianti con la più perfetta tranquillità - mi sembra un misto di pace e di dolore - che sarà in Paradiso? Oh, come sono belli i suoi occhi purissimi, scintillanti di luce! Non è come la luce del sole che, volendo guardarla, offende la nostra vista; no. In Gesù, mentre è luce, si può fissare benissimo lo sguardo; e solo guardare l'interno della sua pupilla, d'un colore celeste scuro, o quante cose mi dicevano! E' tanta la bellezza dei suoi occhi, che un sol suo sguardo basta (per) farmi uscire fuori di me stessa e farmi correre dietro di Lui, per vie e per monti, per la terra e per il cielo; basta una sola (sua) occhiata per trasformarmi in Lui e sentirmi scendere in me un resto che di divino.
Chi può dire poi la bellezza del suo volto adorabile? La sua bianca carnagione pare a la neve tinta di un colore di rose, le più belle; nelle sue guance purpuree si scovre la grandezza della sua persona, con un aspetto maestosissimo all'in tutto divino, che incute timore e riverenza, ed insieme vi dà tanta confidenza che, in quanto a me non ho trovato mai persona alcuna che mi desse almeno un'ombra di confidenza che dà il mio caro Gesù: né nei genitori né nei confessori né le sorelle. Ah, sì! Quel Volto Santo, mentre è così maestoso, poi è così amabile; e quella amabilità vi attira tanto, in modo che l'anima non ha minimo dubbio d'essere accolta da Gesù, per quanto brutta e peccatrice si vedesse. Bello pure è il suo naso che scende in punta finissima, proporzionato al suo Sacratissimo Volto. Graziosa è la sua bocca: piccola, ma estremamente bella; le sue labbra: finissime d'un colore di scarlatto; mentre parla contiene tanta graziosità che è impossibile poterlo dire.
E' dolce la voce del mio Gesù, è soave, è armoniosa; mentre parla esce tale un profumo dalla sua bocca, che pare non se ne trova sulla terra; è penetrante in modo (che) vi penetra tutto, si sente scendere dall'udito al cuore, ed oh, quanti effetti produce! Ma chi può dire tutto? Poi è tanto piacevole che credo che non si possono trovare altri piaceri, quanto se ne possono trovare in una sola parola di Gesù. La voce del mio Gesù è potentissima, è operante, e, già nello stesso atto che parla, opera ciò che dice. Ah, sì, è bella la sua bocca!, ma dimostra più la sua bella grazia nell'atto del suo parlare, mentre si vedono quei denti così nitidi e così ben aggiustati, ed esce il suo alito d'amore che incendia, saetta, consuma il cuore. Belle sono le sue mani, soffici, bianche, delicatissime, con quei diti così artificiosamente fatti, e li muove con una maestria tale, che è un incanto.
Oh, quanto sei bello, tutto bello, mio dolce Gesù! Ciò che ho detto è niente della vostra bellezza, anzi mi pare che ho detto tanti spropositi ma, che vuoi da me? Perdonami, è l'ubbidienza che così vuole; da me non avrei ardito di farne parola, conoscendo la mia insufficienza.