venerdì 27 settembre 2013

Il Purgatorio spiegato da Gesù a Maria Valtorta

Isola del Liri, 1976

17 ottobre 1943

Dice Gesù:

"Ti voglio spiegare cosa è e in cosa consiste il Purgatorio. E te lo spiego Io, con forma che urterà tanti che si credono depositari della cono­scenza dell'al di là e non lo sono.

Le anime immerse in quelle fiamme non soffrono che per l'amore.

Non immeritevoli di possedere la Luce, ma neppure degne di entrarvi subito, nel Regno di Luce, esse, al loro presentarsi a Dio, vengono in­vestite dalla Luce. E' una breve, anticipata beatitudine, che le fa certe della loro salvezza e le fa cognite di cosa sarà la loro eternità ed e­sperte di ciò che commisero verso la loro anima, defraudandola di anni di beata possessione di Dio. Immerse poi nel luogo di purgazione, sono investite dalle fiamme espiatrici.

In questo, coloro che parlano del Purgato­rio dicono giusto. Ma dove non sono nel giusto è nel volere applicare nomi diversi a quelle fiam­me.

Esse sono incendio d'Amore. Esse purifica­no accendendo le anime d'amore. Esse danno l'Amore perchè, quando l'anima ha raggiunto in esse quell'amore che non raggiunse in terra, ne viene liberata e si congiunge all'Amore in Cielo. Ti pare dottrina diversa dalla cognita, vero?

Ma rifletti.

Cosa vuole il Dio Uno e Trino per le anime da Lui create? Il Bene.

Chi vuole il Bene per una creatura, che sen­timenti ha per la creatura? Sentimenti d'amore. Quale è il comandamento primo e secondo, i due più importanti, quelli che Io ho detto non esservene più grandi ed essere in quelli la chiave per raggiungere la vita eterna? E' il comanda­mento d'amore: "Ama Dio con tutte le tue for­ze, ama il prossimo come te stesso".

Per bocca mia e dei profeti e dei santi, cosa vi ho detto infinite volte? Che la Carità è la più grande delle assoluzioni. La Carità consuma le colpe e le debolezze dell'uomo, perché chi ama vive in Dio, e vivendo in Dio poco pecca, e se pecca subito si pente, e per chi si pente vi è il perdono dell'Altissimo.

A cosa mancarono le anime? All'Amore. Se avessero molto amato, avrebbero commesso po­chi e lievi peccati, connessi alla debolezza e im­perfezione vostra. Ma non avrebbero mai rag­giunto la pertinacia cosciente nella colpa anche veniale. Si sarebbero studiate di non addolorare il loro Amore, e l'Amore, vedendo la loro buona volontà, le avrebbe assolte anche delle venialità commesse.

Come si ripara, anche sulla terra, una col­pa? Espiandola e, se appena si può, attraverso il mezzo con cui si è commessa. Chi ha danneggia­to, restituendo quanto ha levato con prepoten­za. Chi ha calunniato, ritrattando la calunnia, e così via.

Ora, se questo vuole la povera giustizia u­mana, non lo vorrà la Giustizia santa di Dio? E quale mezzo userà Dio per ottenere riparazione? Se stesso, ossia l'Amore, ed esigendo amore. Questo Dio che avete offeso, e che vi ama paternamente, e che vuole congiungersi con le sue creature, vi porta ad ottenre questo congiun­gimento attraverso a Se stesso.

Tutto si impernia sull'Amore, Maria, fuor­chè per i "morti" veri: i dannati. Per essi "mor­ti" è morto anche l'Amore. Ma per i tre regni - quello più pesante: la Terra; quello in cui è abo­lito il peso della materia ma non dell'anima gra­vata dal peccato: il Purgatorio; e infine quello dove gli abitatori di esso condividono con il Pa­dre loro la natura spirituale che li affranca da o­gni gravame - il motore è l'Amore. E' amando sulla terra che lavorate per il Cielo. E' amando nel Purgatorio che conquistate il Cielo che in vi­ta non avete saputo meritare. E' andando in Pa­radiso che godete il Cielo.

Quando un'anima è nel Purgatorio non fa che amare, riflettere, pentirsi alla luce dell'A­more che per lei ha acceso quelle fiamme, che già sono Dio, ma le nascondono Dio per sua punizione.

Ecco il tormento. L'anima ricorda la visio­ne di Dio avuta nel giudizio particolare. Si porta seco quel ricordo e, poichè l'avere anche solo in­travisto Iddio è gaudio che supera ogni creata co­sa, l'anima è ansiosa di rigodere di quel gaudio.

Quel ricordo di Dio e quel raggio di luce che l'ha investita al suo comparire davanti a Dio, fanno sì che l'anima "v e d a" nella loro vera entità le mancanze commesse contro il suo Bene, e que­sto "v e d e r e" costituisce, insieme al pensiero che per quelle mancanze si è volontariamente in­terdetto il possesso del Cielo e l'unione con Dio per anni o secoli, costituisce la sua pena purga­tiva.

E' l'amore, la certezza di avere offeso l'A­more, il tormento dei purganti. Più un'anima nella vita ha mancato e più è come accecata da spirituali cataratte, che le rendono più difficile il conoscere e raggiungere quel perfetto pentimen­to d'amore che è il coefficiente primo della sua purgazione e dell'entrata nel Regno di Dio. L'a­more è appesantito nel suo vivere e reso tardo quanto più un'anima lo ha oppresso con la col­pa. Man mano che per potere dell'Amore essa si monda, si accelera la sua risurrezione all'amore e, di conseguenza, la sua conquista dell'Amore, che si completa nel momento in cui, finita l'e­spiazione e raggiunta la perfezione dell'amore, essa viene ammessa nella Città di Dio.

Bisogna molto pregare perchè queste ani­me, che soffrono per raggiungere la Gioia, siano veloci nel raggiungere l'amore perfetto che le as­solve e le unisce a Me. Le vostre preghiere, i vo­stri suffragi, sono altrettanti aumenti di fuoco di amore. Aumentano l'ardore. Ma - oh! beato tor­mento! - aumentano anche la capacità di amare. Accelerano il processo di purgazione. Innalzano a gradi sempre più alti le anime immerse in quel fuoco. Le portano alle soglie della Luce. Aprono le porte della Luce, infine, e introducono l'ani­ma in Cielo. Ad ognuna di queste operazioni, provocate dalla vostra carità per chi vi ha prece­duto nella seconda vita, corrisponde un sopras­salto di carità per voi. Carità di Dio che vi ringra­zia di provvedere ai suoi figli penanti, carità dei penanti che vi ringraziano di adoperarvi per immetterli nel gaudio di Dio. Mai come dopo la morte della terra i vostri cari vi amano, perchè il loro amore è ormai infuso della Luce di Dio e a questa Luce essi comprendono come voi li amate e come avrebbero dovuto amarvi.

Non possono più darvi parole che invocano perdono e danno amore. Ma le dicono a Me per voi, ed Io ve le porto, queste parole dei vostri Morti, che ora vi sanno vedere e amare come si deve. Ve le porto insieme alla loro richiesta di a­more e alla loro benedizione. Già valida sin dal Purgatorio, perchè già infusa dell'accesa Carità che li arde e purifica. Perfettamente valida, poi, dal momento in cui, liberati, verranno incontro a voi sulle soglie della Vita o si riuniranno a voi nella stessa, se già voi li avete preceduti nel Re­gno d'Amore.

Fida in Me, Maria, Io lavoro per te e per i tuoi più cari. Solleva il tuo spirito. Vengo per darti la gioia. Fidati di Me".



21 ottobre 1943

Dice Gesù:

"Riprendo l'argomento delle anime accolte nel Purgatorio.

Se non hai afferrato il senso completo delle mie parole, non importa. Queste sono pagine per tutti, perchè tutti hanno nel Purgatorio degli es­seri cari e quasi tutti, con la vita che conducono, sono destinati a sostare in quella dimora. Per gli uni e per gli altri continuo dunque.

Ho detto che le anime purganti non soffro­no che per l'amore ed espiano con l'amore. Ecco le ragioni di questo sistema di espiazione.

Se voi, uomini irriflessivi, considerate atten­tamente la mia Legge nei suoi consigli e nei suoi comandi, vedete che essa è tutta imperniata sul­l'amore. Amore verso Dio, amore verso il prossi­mo.

Nel primo comandamento Io, Dio, mi im­pongo al vostro amore riverenziale con tutta la solennità che è degna della mia Natura rispetto alla vostra nullità: - Io sono il Signore Iddio tuo".

Troppe volte ve ne dimenticate, o uomini che vi credete dèi e, se non avete in voi uno spi­rito vivificato dalla grazia, altro non siete che polvere e putredine, animali che all'animalità u­nite l'astuzia dell'intelligenza posseduta dalla Be­stia, che vi fa commettere opere da bestie, peg­gio che da bestie: da demoni.

Ditevelo mattina e sera, ditevelo a mezzo­giorno e a mezzanotte, ditevelo quando mangia­te, quando bevete, quando andate a dormire, quando vi svegliate, quando lavorate, quando ri­posate, ditevelo quando amate, ditevelo quando contraete amicizie, ditevelo quando comandate e quando ubbidite, ditevelo sempre: "Io non sono Dio. Il cibo, la bevanda, il sonno, non sono Dio. Il lavoro, il riposo, le occupazioni, le opere del genio, non sono Dio. La donna, o peggio: le don­ne, non sono Dio. Le amicizie non sono Dio. I superiori non sono Dio. Uno solo è Dio: è il Si­gnore mio che mi ha dato questa vita perché con essa mi meriti la Vita che non muore, che mi ha dato vesti, cibi, dimore, che mi ha dato il lavoro perché mi guadagni la vita, la genialità perché te­stimoni d'essere il re della terra, che mi ha dato capacità d'amare e creature da amare 'con santi­tà e non con libidine, che mi ha dato il potere, l'autorità perché ne faccia mezzo di santità e non di dannazione. Io posso divenire simile a Lui poiché Egli l'ha detto: 'Voi siete dèi', ma solo se vivo la sua Vita, ossia la sua Legge, ma solo se vi­vo la sua Vita, ossia il suo Amore. Uno solo è Dio: io sono il suo figlio e suddito, l'erede del suo regno. Ma se diserto e tradisco, se mi creo un regno mio in cui voglio umanamente essere re e dio, allora perdo il Regno vero e la mia sorte di figlio di Dio decade e si degrada a quella di figlio di Satana, poiché non si può contemporanea­mente servire l'egoismo e l'amore, e chi serve il primo serve il Nemico di Dio e perde l'Amore, ossia perde Dio".

Levate dalla vostra mente e dal vostro cuo­re tutti i bugiardi dei che vi avete messi, comin­ciando dal dio di fango che siete voi quando non vivete in Me. Ricordatevi cosa mi dovete per tut­to quanto vi ho dato - e più vi avrei dato se voi non aveste legato le mani al vostro Dio col vo­stro metodo di vita - cosa vi ho dato per la vita di ogni giorno e per la vita eterna. Per questa, Dio vi ha dato suo Figlio, a ciò fosse immolato come agnello senza macchie lavasse e col suo Sangue i vostri debiti e non facesse così ricadere, come nei tempi mosaici, le iniquità dei padri sui figli sino alla quarta generazione dei peccatori, che sono "coloro che mi odiano" poiché il pec­cato è offesa a Dio e chi offende odia.

Non alzate altri altari a dèi non veri. Abbia­te, e non tanto sugli altari di pietra, ma sull'alta­re vivo del vostro cuore, solo ed unico il Signore Iddio vostro. A Lui servite e porgete culto vero di amore, di amore, di amore, o figli che non sa­pete amare che dite, dite, dite parole di preghie­ra, parole soltanto, ma non fate dell'amore la vo­stra preghiera, l'unica che Dio gradisca.

Ricordate che un vero palpito d'amore, che salga come nube di incenso dalle fiamme del vo­stro cuore innamorato di Me, ha per Me un valo­re infinite volte più grande di mille e mille pre­ghiere e cerimonie fatte col cuore tiepido o fred­do. Attirate la mia Misericordia col vostro amo­re. Se sapeste come è attiva e grande la mia Mise­ricordia con chi mi ama! E' un'onda che passa e lava quanto in voi costituisce macchia. Vi dà candida stola per entrare nella Città santa del Cielo, nella quale splende come sole la Carità dell'Agnello che si è fatto immolare per voi. Non usate il Nome santo per abitudine o per dare forza alla vostra ira, per sfogare la vo­stra impazienza, per corroborare le vostre male­dizioni. E soprattutto non applicate il termine "dio" a creatura umana che amate per fame di sensi o per culto di mente. A Uno solo va detto quel Nome. A Me. E a Me deve essere detto con amore, con fede, con speranza. Allora quel No­me sarà la vostra forza e la vostra difesa, il culto di questo Nome vi giustificherà, perché chi opera mettendo a sigillo delle sue azioni il Nome mio non può commettere azioni malvagie. Parlo di chi agisce con verità, non dei mentitori che cer­cano coprire se stessi e le loro opere col fulgore del mio Nome tre volte santo. E chi cercano di ingannare? Io non sono soggetto ad inganno, e gli uomini stessi, a meno che non siano dei mala­ti di mente, dal confronto delle opere dei menti­tori col loro dire comprendono che sono dei falsi e ne provano sdegno e schifo.

Voi che non sapete amare altra che voi stes­si e il vostro denaro e vi pare perduta ogni ora che non sia dedicata ad accontentare la carne o a impinguare la borsa, sappiate, nel vostro godere o lavorare da ingordi e da bruti, mettere una so­sta che vi dia modo di pensare a Dio, alle sue bontà, alla sua pazienza, al suo amore. Dovreste, lo ripeto, avermi sempre presente qualunque co­sa facciate; ma poichè non sapete operare con­servando lo spirito fisso in Dio, cessate una volta alla settimana, di operare per pensare unicamen­te a Dio.

Questa, che vi può parere legge servile, è invece prova di come Dio vi ama. Lo sa il vostro buon Padre che siete macchine fragili che si usu­rano nell'uso continuo e ha provveduto alla vo­stra carne, anche a quella poichè è essa pure ope­ra sua, dandovi comando di farla riposare un giorno su sette per dare ad essa giusto ristoro. Dio non vuole le vostre malattie. Foste rimasti suoi figli, proprio suoi, da Adamo in poi, non a­vreste conosciuto le malattie. Sono queste frut­to delle vostre disubbidienze a Dio, insieme al dolore e alla morte; e come fungaia sono nate e nascono sulle radici della prima disubbidienza: quella d'Adamo, e rampollano le une dalle altre, tragica catena, dal germe che vi è rimasto in cuo­re, dal veleno del Serpente maledetto che vi dà febbri di lussuria, di avarizia, di gola, di accidia, di imprudenze colpevoli.

Ed è imprudenza colpevole il voler forzare il vostro essere a continuo lavoro per il guada­gno, come lo è il volere supergodere della gola o del senso col non contentarvi del cibo necessario alla vita e della compagna necessaria alla conti­nuazione della specie, ma saziandovi oltre misura come animali da pantano e spossandovi e avvi­lendovi come - anzi, non come bruti, i quali non sono simili ma superiori a voi nel connubio al quale vanno obbidendo a leggi di ordine - ma avvilendovi peggio dei bruti: come dei demoni che disubbidiscono alle leggi sante dell'istinto retto, della ragione e di Dio.

II vostro istinto voi lo avete corrotto ed es­so ormai vi conduce a preferire pasti corrotti, formati da lussurie nelle quali profanate il corpo vostro: opera mia; l'anima vostra: capolavoro mio; e uccidete embrioni di vite negandole alla vita, perché le sopprimete anzi tempo volonta­riamente o attraverso le vostre lebbre che sono veleno mortale alle vite sorgenti.

Quante sono le anime che un vostro appe­tito sensuale chiama dal Cielo e alle quali voi chiudete poi le porte della vita? Quante quelle che giungono appena al termine, e vengono alla luce morenti o già morte, e alle quali precludete il Cielo? Quante quelle alle quali voi imponete un peso di dolore, che non sempre possono por­tare con una esistenza malata, marcata da morbi dolorosi e vergognosi? Quante quelle che non possono resistere a questa sorte di martirio non voluto, ma apposto da voi come un marchio a fuoco sulla carne, che avete generato senza ri­flettere che, quando si è corrotti come sepolcri pieni di putredine, non è più lecito generare dei figli per condannarli al dolore e al ribrezzo della società? Quante quelle che, non potendo resiste­re a questa sorte, si suicidano?

Ma che credete voi? Che Io le dannerò per questo loro delitto contro Dio e se stesse? No. Prima di loro, che peccano contro due, vi siete voi che peccate contro tre: contro Dio, contro voi stessi e contro gli innocenti che generate per portarli alla disperazione. Pensatelo. Pensatelo bene. Dio è giusto, e se pesa la colpa pesa anche le cause della colpa. E in questo caso il peso del­la colpa alleggerisce la condanna del suicida, ma carica la condanna di voi, veri omicidi delle vostre creature disperate.

In quel giorno di riposo che Dio ha messo nella settimana, e vi ha dato l'esempio suo di ri­poso - pensate, Lui: l'Agente infinito, il Gene­rante che da Se stesso si genera continuamente, Lui vi ha mostrato il bisogno di riposo, per voi lo ha fatto, per esservi Maestro nella vita. E voi, tra­scurabili potenze, volete non tenerne conto qua­si foste più potenti di Dio! -. In quel giorno di riposo per la vostra carne che si spezza sotto fati­ca eccessiva, sappiate occuparvi dei diritti e dei doveri dell'anima. Diritti: alla Vita vera. L'anima muore se è tenuta separata da Dio. La domenica datela all'anima vostra - poichè non sapete farlo tutti i giorni e tutte le ore - perchè in essa do­menica essa si nutra della Parola di Dio, si saturi di Dio, per avere vitalità durante gli altri giorni di lavoro. Così dolce è il riposo nella casa del pa­dre ad un figlio che il lavoro ha tenuto lontano per tutta la settimana! E perchè voi questa dol­cezza non la date all'anima vostra? Perchè insoz­zate questo giorno con crapule e labidini, invece di farne una terza luce per beatitudine vostra di ora e di poi?

E, dopo l'amore per chi vi ha creato, l'amo­re a chi vi ha generato e a chi vi è fratello. Se Dio è Carità, come potete dire di essere in Dio se non cercate di somigliarlo nella carità? E potete dire di somigliarlo se amate Lui solo e non gli altri creati da Lui? Sì, che Dio va amato più di tutti, ma non può dire di amare Dio chi spregia di amare coloro che Dio ama.

Amate dunque per primi quelli che per a­vervi generato sono i creatori secondi del vostro essere sulla terra. Il Creatore supremo è il Signo­re Iddio, che forma le vostre anime e, padrone come è della Vita e della Morte, permette il vo­stro venire alla vita. Ma creatori secondi sono co­loro che di due carni e di due sangui fanno una nuova carne, un nuovo figlio di Dio, un nuovo futuro abitante dei Cieli. Perchè è per i Cieli che siete creati, perchè è per i Cieli che dovete vivere sulla terra.

Oh! sublime dignità del padre e della ma­dre! Episcopato santo, dico con parola ardita ma vera, che consacra un nuovo servo a Dio col cri­sma di un amore coniugale, lo lava col pianto della genitrice, lo veste col lavoro del padre, lo rende portatore della Luce infondendo la cono­scenza di Dio nelle menti pargole e l'amore di Dio nei cuori innocenti. In verità vi dico che di poco inferiori a Dio sono i genitori solo per il fatto di creare un nuovo Adamo. Ma che poi, quando i genitori sanno fare del nuovo Adamo un nuovo piccolo Cristo, allora la loro dignità è appena di un grado inferiore a quella dell'Eter­no.

Amate dunque di amore unicamente infe­riore a quello che dovete avere per il Signore Id­dio vostro, il padre e la madre vostra, questa du­plice manifestazione di Dio che l'amore coniuga­le fa divenire una "unità". Amatela perchè la sua dignità e le sue opere sono le più simili a quelle di Dio per voi: sono essi genitori i vostri terreni creatori, e tutto in voi li deve venerare per tali. E amate la vostra prole, o genitori. Ricorda­te che ad ogni dovere corrisponde un diritto e che, se i figli hanno il dovere di vedere in voi la dignità più grande dopo Dio e di darvi l'amore più grande dopo quello totale che va dato a Dio, voi avete il dovere di essere perfetti per non smi­nuire il concetto e l'amore dei figli verso di voi. Ricordatevi che generare una carne è mol­to, ma è niente nello stesso tempo. Anche gli a­nimali generano una carne e molte volte la cura­no meglio di voi. Ma voi generate un cittadino dei Cieli. Di questo vi dovete preoccupare. Non spegnete la luce delle anime dei figli, non per­mettete che la perla dell'anima dei figli vostri prenda abitudine al fango, perchè essa abitudine non la spinga a sommergersi nel fango. Date a­more, amore santo ai figli vostri, e non stolte cu­re alla bellezza fisica, alla cultura umana. No. E' la bellezza della loro anima, l'educazione del lo­ro spirito, quella che dovete curare.

La vita dei genitori è sacrificio come è quel­la dei sacerdoti e dei maestri convinti della loro missione. Tutte e tre le categorie sono di "for­matori" di ciò che non muore: lo spirito, o la psiche, se più vi piace. E dato che lo spirito sta alla carne nella proporzione di 1000 a 1, consi­derate a quale perfezione dovrebbero attingere genitori, maestri e sacerdoti, per essere veramen­te quali dovrebbero. Dico "perfezione". Non ba­sta "formazione". Devono formare gli altri, ma per formarli non deformi devono modellarli su un perfetto modello. E come possono pretender­lo se sono imperfetti essi stessi? E come possono divenire perfetti essi stessi se non si modellano sul Perfetto che è Dio? E cosa può rendere capa­ce l'uomo di modellarsi su Dio? L'amore. Sem­pre l'amore. Siete ferro grezzo e informe. L'amo­re è la fornace che vi purifica e scioglie e vi fa fluidi per colare attraverso le vene soprannaturali nella forma di Dio. Allora sarete i "formatori" altrui: quando vi sarete formati sulla perfezione di Dio.

Molte volte i figli rappresentano il fallimen­to spirituale dei genitori. Si vede attraverso ai fi­gli ciò che valevano i genitori. Chè, se è vero che talora da genitori santi nascono figli depravati, questa è l'eccezione. Generalmente uno dei geni­tori almeno non è santo e, dato che vi è più faci­le copiare il male che il bene, il figlio copia il men buono. E' anche vero che talora da genitori depravati nasce un figlio santo. Ma anche qui è difficile che ambedue i genitori siano depravati. Per legge di compenso il più buono dei due è buono per due e con preghiere, lacrime e parole, compie l'opera di tutti e due formando il figlio al Cielo.

Ad ogni modo, o figli, quali che siano i vo­stri genitori, Io vi dico: "Non giudicate, amate soltanto, perdonate soltanto, ubbidite soltanto, fuorchè in quelle cose che sono contrarie alla mia Legge. A voi il merito dell'ubbidienza, del­l'amore e del perdono, del perdono di voi figli, Maria, che accelera il perdono di Dio ai genitori, e tanto più l'accelera quanto più è perdono com­pleto; ai genitori la responsabilità e il giusto giu­dizio, sia riguardo a voi, sia per quanto spetta a Dio, di Dio unico Giudice".

Superfluo è spiegare che uccidere è manca­re all'amore. Amore verso Dio, al quale levate il diritto di vita e di morte verso una sua creatura e il diritto di Giudice. Solo Dio è Giudice e Giudice santo e, se Egli ha concesso all'uomo di crearsi dei consessi di giustizia per mettervi un freno sia nel delitto sia nella punizione, guai a voi se, come mancate alla Giustizia di Dio, man­cate alla giustizia dell'uomo erigendovi a giudici di un vostro simile, che ha mancato o credete che vi abbia mancato.

Pensate, o poveri figli, che l'offesa, il dolo­re, sconvolgono mente e cuore, e che l'ira e lo stesso dolore mettono un velo alla vostra vista intellettuale, velo che vi preclude la visione della verità vera e della carità quale Dio ve la pre­senta perchè su di essa sappiate regolare il vo­stro anche giusto sdegno e non farne, con troppa spietata condanna, una ingiustizia. Siate santi an­che mentre l'offesa vi brucia. Ricordatevi di Dio soprattutto allora.

E voi pure, giudici della terra, siate santi. A­vete per le mani gli orrori più vivi dell'umanità. Scrutateli con occhio e mente intrisi di Dio. Ve­dete il "perchè" vero di certe "miserie". Pensate che se anche sono vere "miserie" della umanità che si degrada, molte sono le cause che le producono. Nella mano che uccise cercate la forza che la mosse ad uccidere e ricordatevi che voi pure siete uomini. Interrogatevi se voi: traditi, abban­donati, stuzzicati, sareste stati migliori di colui o di colei che vi è davanti in attesa di sentenza. Facendo il severo esame di voi, pensate se nes­suna donna può accusarvi di essere i veri ucciso­ri del figlio che ella soppresse, perchè dopo l'ora gioconda voi vi siete sottratti al vostro impegno d'onore. E, se lo petete fare, siate pure severi.

Ma se, dopo aver peccato contro la creatu­ra nata da una vostra insidia e da una vostra lus­suria,volete ancora ottenere un perdono da Colui che non si inganna e non si smemora con anni e anni di vita corretta, dopo quella scorrettezza che non avete voluto riparare, o dopo quel de­litto che avete provocato, siate almeno operosi nel prevenire il male, e specie là dove leggerezza femminile e miseria d'ambiente predispongono alle cadute nel vizio e nell'infanticidio.

Ricordate, o uomini, che Io, il Puro, non ho ricusato di redimere le donne senza onore. E per l'onore che più non avevano ho fatto sorgere nel loro animo, come fiore da un suolo profana­to, il fiore vivo del pentimento che redime. Ho dato il mio pietoso amore alle povere disgrazia­te che un cosiddetto "amore" aveva prostrate nel fango. Il mio amore vero le ha salvate dalla lus­suria che il cosiddetto amore aveva inoculato in loro. Se le avessi maledette e fuggite, le avrei per­dute per sempre. Le ho amate anche per il mon­do, che dopo averle godute le ricopre di ipocrito scherno e di bugiardo sdegno. Al posto delle ca­rezze di peccato, le ho carezzate con la purezza del mio sguardo; al posto delle parole di delirio, ho avuto per loro parole d'amore; al posto della moneta, vergognoso prezzo del loro bacio, ho dato le ricchezze della mia Verità.

Così si fa, uomini, per trarre dal fango chi nel fango sprofonda, e non ci si avvinghia al col­lo per perire o non si gettano pietre per sprofon­darvele di più. E' l'amore, è sempre l'amore che salva.

Quale peccato contro l'amore sia l'adulte­rio, ne ho già parlato e non ripeto, per ora alme­no. Vi è su questo rigurgito di animalità tanto da dire - e tanto che non capireste neppure, perchè d'essere traditori del focolare ve ne vantate - che per pietà della mia piccola discepola taccio. Non voglio esaurire le forze della creatura sfini­ta e turbare il suo animo con crudezze umane poichè, prossimo alla Mèta, pensa solo al Cielo.

Colui che ruba, è ovvio che manchi all'amo­re. Se si ricordasse di non fare agli altri ciò che non vorrebbe fatto a se stesso, e amasse gli altri quanto se stesso, non leverebbe con violenza e frode ciò che è del prossimo suo. Non manche­rebbe perciò all'amore, come invece vi manca commettendo ladroneccio che può essere di mer­ce, di denaro, come di occupazione. Quanti furti commettete derubando un posto all'amico, una invenzione al compagno! Siete ladri, tre volte la­dri, facendo ciò. Lo siete più che se rubaste un portafoglio o una gemma, perchè senza questi si può ancora vivere, ma senza un posto di guada­gno si muore, e con il derubato del posto muore la sua famiglia di fame.

Vi ho dato la parola come segno di eleva­zione su tutti gli altri animali della terra. Dovre­ste dunque amarmi per la parola, dono mio. Ma posso dire che mi amate per la parola, quando di questo dono di Cielo vi fate arma per rovinare il prossimo col giuramento falso? No, non amate nè Me nè il prossimo quando asserite il falso, ma sibbene ci odiate. Non riflettete che la parola uc­cide non solo la carne, ma la reputazione di un uomo? Chi uccide odia, chi odia non ama.

L'invidia non è carità: è anticarità. Chi desi­dera smodatamente la roba altrui è invidioso e non ama. Siate contenti di ciò che avete. Pensate che sotto l'apparenza di gioia vi sono sovente dolori che Dio vede e che sono risparmiati a voi, appa­rentemente meno felici di coloro che invidiate. Chè, se poi l'oggetto desiderato è la altrui moglie o l'altrui marito, allora sappiate che al peccato di invidia unite quello di lussuria o di adulterio. Compite perciò una triplice offesa alla Carità di Dio e di prossimo.

Come vedete, se voi contravvenite al deca­logo contravvenite all'amore. E così è per i con­sigli che vi ho dato, che sono il fiore della pianta della Carità. Ora, se contravvenendo alla Legge contravvenite all'amore, è ovvio che il peccato è mancanza all'amore. E perciò deve espiarsi con l'amore.

L'amore che non avete saputo darmi in terra, me lo dovete dare nel Purgatorio. Ecco perchè dico che il Purgatorio altro non è che sof­ferenza d'amore.

Avete per tutta la vita poco amato Dio nel­la sua Legge. Vi siete buttati dietro le spalle il pensiero di Lui, avete vissuto amando tutti e po­co amando Lui. E' giusto che, non avendo meri­tato l'Inferno e non avendo meritato il Paradiso, ve lo meritiate ora accendendovi di carità, arden­do per quanto siete stati tiepidi sulla terra. E' giusto che sospiriate per mille e mille ore di e­spiazione d'amore ciò che avete mille e mille vol­te mancato di sospirare sulla terra: Dio, scopo supremo delle intelligenze create. Ad ogni volta che avete voltato le spalle all'amore corrispondo­no anni e secoli di nostalgia amorosa. Anni o se­coli a seconda della vostra gravità di colpa.

Fatti ormai sicuri di Dio, cogniti della su­perna bellezza di Dio per quel fugace incontro del primo giudizio, il cui ricordo viene seco voi per rendervi più viva l'ansia d'amore, voi sospira­te a Lui, la lontananza di Lui piangete, d'esser stati voi la causa di tale lontananza vi rammarica­te e pentite, e sempre più vi rendete penetrabili a quel fuoco acceso della Carità per vostro supre­mo bene.

Quando i meriti del Cristo vengono, dalle preghiere dei viventi che vi amano, gettati come essenze d'ardore nel fuoco santo del Purgatorio, l'incandescenza d'amore vi penetra più forte e più addentro e, fra il rutilare delle vampe, sem­pre più si fa lucido in voi il ricordo di Dio visto in quell'attimo.

Come nella vita della terra più cresce l'amo­re e più sottile si fa il velo che cela al vivente la Divinità, altrettanto nel secondo regno più cre­sce la purificazione, e perciò l'amore, e più pros­simo e visibile si fa il volto di Dio. Già traluce e sorride fra il balenare del santo fuoco. E' come un Sole che sempre più si fa presso, e la sua luce e il suo calore annullano sempre più la luce e il calore del fuoco purgativo, finchè, passando dal meritato e benedetto tormento del fuoco al con­quistato e beato refrigerio del possesso, passate da vampa a Vampa, da luce a Luce, salite ad es­ser luce e vampa in Esso, Sole eterno, come scin­tilla assorbita da un rogo e come lampada getta­ta in un incendio.

Oh! gaudio dei gaudi, quando vi troverete assurti alla mia Gloria, passati da quel regno di attesa al Regno di trionfo. Oh! conoscenza per­fetta del Perfetto Amore!

Questa conoscenza, o Maria, è mistero che la mente può conoscere per volere di Dio, ma non può descrivere con parola umana. Credi che merita soffrire tutta una vita per possederla dalla ora della morte. Credi che non vè più grande ca­rità di procurarla con le preghiere a chi amaste sulla terra e che ora iniziano la purgazione nell'a­more, al quale chiusero in vita le porte del cuore tante e tante volte.

Animo, benedetta alla quale sono svelate le verità nascoste. Procedi, opera e sali. Per te stessa e per chi ami nell'al di là.

{Dal libro: "l quaderni del 1943"- Edizioni Pisani}