mercoledì 20 maggio 2015

Il fascino di Gesù - Antonio Socci


Seguendo il percorso di Karl Adam nel volume “Gesù il Cristo” (Morcelliana), cerchiamo di “mettere bene in luce e di fissare con esattezza storica tutti i dati nettamente controllabili che riguardano la figura storica di Gesù, il suo aspetto psicologico, la sua vita e la sua struttura intima, la sua molteplice attività sulla scena della storia”.

Perfino Nietzsche – ed è tutto dire - ammirò Gesù: “Ha volato più alto di chiunque altro”. Ma chi è precisamente quest’uomo che da duemila anni affascina il cuore degli uomini. I Vangeli, quattro piccoli libri scritti con stile asciutto, sobrio, giornalistico, sono un resoconto fedele dei fatti che lo riguardano. Lì sono riportate le genuine testimonianze di chi c’era, di chi ha visto con i propri occhi, toccato con mano.

Allora, seguendo il percorso di Karl Adam nel volume “Gesù il Cristo” (Morcelliana), cerchiamo di “mettere bene in luce e di fissare con esattezza storica tutti i dati nettamente controllabili che riguardano la figura storica di Gesù, il suo aspetto psicologico, la sua vita e la sua struttura intima, la sua molteplice attività sulla scena della storia”. Facciamoci “un’idea chiara e ben definita dell’impressione lasciata da Gesù nei suoi discepoli e nei suoi contemporanei”.

Com’era Gesù?

 C’è un fatto immediato, evidente a tutti, fin dal primo impatto. “La fisionomia esteriore di Gesù doveva esercitare un fascino irresistibile. Un giorno una donna del popolo si lasciò sfuggire, incontenibile, questo grido di lode: ‘Beato il grembo che t’ha portato e il seno che ti ha nutrito’ (Lc 11,27). Gesù rispose correggendo: ‘Beati quelli che ascoltano la Parola di Dio’ (11,28). Tale risposta lascia intendere che la donna aveva di mira non solo i pregi dello spirito, ma anche quelli del corpo di Gesù”.

Scorrendo il resoconto dei Vangeli ci si accorge bene che “quell’impressione di forza che subito, al primo apparire, Gesù esercitava sul popolo, specialmente sui malati, sui peccatori, sulle peccatrici, era prodotta sì dalle sue forze spirituali, ma certamente, in parte almeno, doveva essere un effetto del suo aspetto affascinante che trascinava le folle”. Innanzitutto colpivano i suoi occhi, lo sguardo. Non a caso Marco, nel riferire ogni detto importante di Gesù, usa la formula: “Ed Egli li fissò e disse”.

Marco parla spesso degli occhi di Gesù perché riflette il racconto che aveva ascoltato da Pietro e Pietro non ha più potuto dimenticare quello sguardo. Fin dal primo incontro con quell’uomo. Doveva essere un’esperienza impressionante incrociare i suoi occhi se perfino Pilato, di fronte a questo imputato silenzioso, uomo straziato nelle carni, che è in suo potere, resta come soggiogato dal suo sguardo, dal suo fascino, dalla sua calma, dal suo mistero. E il governatore romano, che era così cinico e sprezzante, è insicuro, quasi intimidito, davanti a lui.

Oltre allo sguardo, va sottolineata, dice Adam, “l’impressione prodotta dal portamento sano, vigoroso, equilibrato di Gesù”. Stando ai fatti dei Vangeli si capisce che “doveva essere un uomo avvezzo alla fatica, resistente, sano robusto. E già per questo Egli si distingueva da altri celebri fondatori di religioni”. La sua vita pubblica è un continuo peregrinare per vallate e monti e deserti. Spesso i suoi, che lo seguono, lamentano la fame e la sete, sotto il sole del deserto. Notevole, osserva Adam, “la sua ultima salita da Gerico a Gerusalemme… sotto la sferza del sole su sentieri senza ombra, attraverso ammassi rocciosi, nel deserto, dovette compiere una marcia di sei ore in salita, superando un dislivello di oltre mille metri. Ciò che meraviglia è che Gesù non si stanca. Alla sera stessa prende parte a un convito preparatogli da Lazzaro e dalle sue sorelle (Gv 12,2)”.

Fisicamente l’uomo della Sindone corrisponde perfettamente a questo identikit: prestante, alto, sano. E’ un uomo che nei due anni e mezzo della sua missione vive perlopiù all’aperto, sotto tutte le intemperie. Per centinaia di notti “non ha dove posare il capo”, si riposa accanto ai gigli del campo e agli uccelli dell’aria che amerà portare ad esempio. Un uomo che fin dall’inizio si trova assediato da grandi folle cosicché Marco dice che spesso “non aveva neppure il tempo per mangiare”, “fino a notte fonda andavano e venivano i malati” (Mc 3,8) e lui aveva compassione di tutti. Dopo un miracolo fatto di sabato – che dunque farà molto discutere – va sull’altra riva del lago, ma in molti lo seguono pure là. Il Vangelo allora dice che Lui “guarì tutti” cioè guardò tutti, capì tutti, prese sul serio tutti. Sottoposto a questa defatigante missione a volte crolla di stanchezza.

Come quella volta, sulla barca: si addormentò mentre il legno di Simone attraversava le acque calme del lago. Poi di colpo l’arrivo di uno di quei tremendi “cicloni” improvvisi che, dalle gole orientali, si scatenano sul lago di Tiberiade, mandando a picco – ancora oggi - tante barche di pescatori. Simone e i suoi, che pure sono esperti, vengono presi dal panico, sanno che di lì a pochi minuti potrebbero essere risucchiati dai gorghi. Concitati svegliano Gesù e lui subito “si ritrova e domina la situazione. Tutto questo mostra quando fosse lungi dall’avere un temperamento eccitabile, nervoso. Invece Egli era sempre padrone dei suoi sensi, era insomma perfettamente sano”.

Ma chi è – si chiedono sgomenti i suoi – uno che può comandare perfino alla tempesta? Colpisce anche “la straordinaria chiarezza del suo pensiero”, la “virile fermezza nell’eseguire la volontà del Padre”, basti vedere la sua reazione in tre passi in cui i suoi tentano di “indurlo ad abbandonare la via della Passione che Lui aveva scelto irrevocabilmente”. “Gesù è l’uomo dalla volontà chiara, dall’azione sicura e decisa” “in tutta la sua vita non si trova un solo istante in cui si mostri indeciso e pensieroso sul da farsi”.

Adam osserva che pur essendo mite e umile “Gesù è un carattere eroico al sommo grado: è l’eroismo incarnato. Per lui l’eroismo è la regola” ed esige da chi lo segue coraggio e decisione. Parla con semplicità, con piccole storie tratte dalla vita di tutti i giorni, tutti lo comprendono, e tuttavia manifesta un’autorevolezza che nessun altro ha. Quando i suoi contestatori provano a metterlo in contraddizione, vengono sbaragliati. “Nessuno osa resistergli”, “ha un carattere regale”, gli stessi suoi amici, a cui Lui vorrà lavare i piedi come un loro servo, invitandoli a fare lo stesso, avevano un “timore reverenziale verso il Maestro”. Pur essendo sempre inerme, rifiutando ogni violenza, perfino per legittima difesa, era come temuto dai nemici. Addirittura la squadraccia armata che va ad arrestarlo di notte ha un momento di sbandamento davanti alla forza che manifestano le sue parole: “sono io, lasciate stare loro”.

“Era uno che possedeva un potere superiore”. Non era solo l’impressione di superiorità, di potenza dominatrice che traspariva dal volto di Gesù, ma il suo potere concreto su tutto. Sulla tempesta, sui demoni, sulle malattie. Un giorno un padre concitato lo supplica di andare da lui perché la sua bambina sta morendo. Quando arriva Gesù la piccola è già spirata e giace sul letto inerte. Troppo tardi. Ma Gesù si china accanto a lei, le prende una mano e le dice: “Talita Kum” (che significa: “agnellino, alzati”). E la bambina torna in vita nello sconcerto dei presenti. Non c’è solo la potenza, ma la tenereza di quell’espressione: “agnellino”. Un uomo così non si è mai visto. Così potente e così buono.

“Egli amava la solitudine”, eppure stava volentieri fra gli uomini, ha simpatia per loro (perfino per i pagani, cosa rivoluzionaria) , specialmente quando sono peccatori, prostitute, pubblicani. Lui che era così puro non li disprezza, ma ne ha profonda compassione, dà loro calore, forza, luce e così scandalizza gli osservanti. Gesù invita tutti a seguire e ad amare lui, cambiando vita. Lui rivendica il potere di perdonare (e perdona tutti, sempre). Un potere che era solo di Dio. Lui si pone addirittura al di sopra della Legge e del Sabato. Nessuno poteva farlo, se non Dio solo.
Romano Guardini, nel libro “La realtà umana del Signore” (Morcelliana), va più in profondità. Dai Vangeli, dice, emerge “una figura di sconvolgente grandezza e incomprensibilità”.

Il suo vero “segreto”

Guardini si chiede “che impressione fa in complesso la figura di Gesù se la confrontiamo con grandi figure dell’Antico Testamento come Mosè ed Elia? Innanzitutto quella di una grande calma e mitezza… L’impressione che la figura di Gesù fece ai suoi contemporanei è stata evidentemente quella di una persona che possedeva una forza misteriosa. Secondo il resoconto evangelico gli uomini che lo vedono restano colpiti, anzi profondamente scossi dalla sua presenza”.

Calma e sicurezza. “In Gesù non si trova alcun indizio di esitazione o di dubbio nel pensiero, di timidezza o di riservatezza dovuta a suscettibilità per le offese o a passività di fronte agli avvenimenti… In Gesù c’è una umanità meravigliosamente pura… Egli è capace di portare la persona alla coscienza perfetta e alla realizzazione di quello che significa essere uomo… appartiene essenzialmente alla figura di Gesù la mancanza di ogni stranezza ed anomalità”.

Le sue stesse parole appaiono molto sobrie, misurate, ma “la sua volontà è fortissima. Tuttavia è pieno di rispetto per la volontà umana. Mai Gesù le fa violenza. Egli possiede il perfetto accordo di tutta la sua persona, non ha paura ed è pronto a tutte le conseguenze. Nello stesso tempo Egli è calmo, senza fretta, senza alcuna premura, non c’è in Lui né angoscia, né inquietudine, né un affanato agitarsi… la sua serenità e pacatezza non ha nulla di simile al fatalismo”. Da cosa è determinata in lui “l’assenza di ogni paura”? Non solo dal temperamento: è una cosa sola con Colui che tutto crea e tutto domina.

“Egli va verso gli uomini con cuore aperto. Sta quasi sempre insieme con loro… è pieno di un inesauribile desiderio di aiutare…”. “Egli ha compassione per il popolo e le sue sofferenze, lo guarda con affetto”. Se malati e sofferenti si rivolgono a lui in massa, se i bambini gli vanno così incontro è perché sentono la sua “calda simpatia”, la sua accoglienza. “In tutto ciò non c’è nulla della calma atarassia di uno stoico o dell’avversione per il mondo di un Buddha. Gesù è pieno di vita e di umana sensibilità…”.

“Gesù dà sempre l’impressione di essere infinitamente di più di quello che appare, di potere di più di quello che Egli fa, di sapere di più di quello che dice”, “in Gesù non si trova affatto malinconia che è una forma diffusissima della patologia religiosa”. “Gesù non è nemmeno un visionario… Egli dà l’impressione di una perfetta e completa salute”. Anche nella tentazione di Satana è un caso unico: non deve fare nessuno sforzo per resistere, “Satana contro di lui è impotente”. Lo dice lui stesso: “il principe del mondo non può nulla contro di me” (Gv 14,30). E’ inattaccabile. Eppure questa “persona divinamente sicura è piena di vita, è in tutto umana”.

Così coloro che vivono con Lui o che lo incontrano nelle piazze, nei villaggi, nelle sinagoghe, sempre più si domandano: “ma chi è veramente quest’uomo?”.


Luigi Giussani (“All’origine della pretesa cristiana”, Rizzoli) traccia questa traiettoria. Innanzitutto c’è la scoperta di “un uomo senza paragone”. La gente starebbe delle ore a guardarlo parlare, affascinati da tutti i suoi gesti, le sue espressioni, il suo volto, il suo modo di guardare negli occhi tutti. I Vangeli fanno capire che spesso, anche dopo ore, nessuno va via, anche quando si fa tardi.

Lui sa leggere nel segreto di tutti i cuori (come scopre la samaritana al pozzo), così che tutti crollano davanti a lui. “La sua intelligenza sventa ogni tentativo di coglierlo in fallo”. Come quando gli portano la donna colta in flagrante adulterio, che per la legge doveva essere lapidata: “Chi di voi è senza peccato….”. Uno così non si era mai visto. Un giorno entrando in un villaggio s’imbatte in un corteo funebre ed è toccato dal pianto di quella madre, le si avvicina e le dice: “donna, non piangere…” E dopo questo gesto di tenerezza le restituisce il figlio vivo. “E’ difficile” commenta Giussani “che una persona potente sia veramente buona”. Ma lui è così. E’ una meraviglia mai vista sulla terra. E’ l’essere umano che ciascuno desidererebbe incontrare nella vita.

Eppure, dicono i suoi contemporanei, si sa da dove viene, si conoscono i familiari, pure i nemici si sono informati bene su di lui. Ma tale è la sua eccezionalità che ci si chiede chi sia veramente. Anche fra i suoi amici che ogni giorno gli vedono compiere quelle cose cresce sempre di più la sensazione che egli sia un mistero inafferrabile. Finché lui si rivela apertamente: “prima che Abramo fosse, Io Sono”.

Una pretesa inaudita. Una bestemmia, per i suoi nemici. E, va detto, un caso unico nella storia. Come si può davvero credere che il figlio del falegname di Nazaret sia l’Eterno, l’Onnipotente, Colui che ha disegnato il corso delle galassie e dei millenni? Si può solo accettare la sua sfida: “viene e vedi”. Andargli dietro per capire. Anche oggi è possibile. I cristiani ogni giorno – oggi – gli vedono compiere opere immense e davanti a questa evidenza carnale, di Lui vivo e operante nel 2005, il pesantissimo attacco scatenato negli ultimi due secoli contro la storicità dei resoconti evangelici appare risibile. La prova che è davvero risorto sta nel fatto che lo si può vedere oggi operante, vivo.

Le scoperte su di Lui

D’altra parte anche le più recenti scoperte archeologiche e storiche (dal 7Q5 di Josè O’Callaghan ai lavori di Jean Carmignac, dalle “ridatazioni” di Robinson e Tresmontant alle ricerche di Carsten P. Thiede, per dirne solo alcune), oggi confermano che i vangeli furono scritti da testimoni oculari, a ridosso degli eventi e circolavano pubblicamente quando ancora erano viventi gli avversari di Gesù che avrebbero potuto contestare quelle notizie (a cominciare dal ritrovamento della tomba vuota).

Lo straordinario volume di Josè Miguel Garcia La vita di Gesù nel testo aramaico dei Vangeli (Rizzoli, pp. 246, e 9.50) aggiunge oggi altre scoperte straordinarie. Per esempio ha trovato addirittura che in due passi della seconda lettera ai Corinzi, scritta prima dell’autunno del 57 d.C., san Paolo parla di un Vangelo già scritto e circolante fra le comunità e cita espressamente Luca come il suo estensore. Due secoli di farneticazioni moderniste spazzate via.

Garcia, esponente della cosiddetta “scuola di Madrid”, lavora da anni alla retroversione del testo greco dei Vangeli in aramaico, la lingua originaria e parlata da Gesù. In Spagna sono già usciti più di una decina di volumi che raccolgono i risultati di questo imponente lavoro. Il libro della Rizzoli ne propone una sintesi divulgativa. Lo scopo era il chiarimento di quei passi che nel greco dei Vangeli risultano oscuri o contraddittori e che sono stati usati polemicamente contro la Chiesa.

Questi studiosi spagnoli dimostrano che spesso ci troviamo di fronte a traduzioni inesatte. Si scopre per esempio che secoli di speculazioni sui “fratelli di Gesù”, con cui si era messa in discussione la dottrina della Chiesa, non hanno ragion d’essere: sono sempre gli apostoli e i discepoli a essere definiti “i fratelli di Gesù”. Sotto il greco si recupera anche l’esattezza dei resoconti. Per esempio sui miracoli che in certi casi – come quello dell’indemoniato di Gerasa - erano contestati a causa dell’imprecisione del testo greco. D’altronde che Gesù impressionasse tutti per i suoi straordinari miracoli è storicamente certo perché viene attestato pure dalle insospettabili fonti ebraiche (raccolte nel Talmud di Babilonia). Un’altra delle balordaggini propalate dalla “critica storica” è l’idea per cui Gesù si sarebbe aspettato una fine del mondo imminente, nella sua generazione, sbagliandosi clamorosamente. Si cita Mc 9, 1, oltretutto interpretando male l’espressione “Regno di Dio”. Josè Miguel Garcia svela l’equivoco e confuta i critici.

C’è un altro passo cruciale dei Vangeli che ha dato occasione a infinite polemiche, soprattutto dei protestanti: l’episodio di Cesarea di Filippo quando Gesù chiede: “chi dice la gente che io sia?”. Poi lo chiede ai suoi e Pietro – ispirato dallo Spirito Santo – confessa la sua convinzione: Tu sei il Figlio di Dio. E’ così che Gesù dà a Pietro l’investitura, il primato. Ma curiosamente il racconto evangelico si conclude con un versetto strano: “e impose loro severamente di non dire questo di lui a nessuno” (Mc 8, 30).
Un versetto che ha fatto strologare molti sul fantasioso “segreto messianico”, ma che – ricostruito nell’originale aramaico – dice tutt’altro: “E impose loro severamente di vedere sempre in lui (in Pietro, ndr) il Figlio dell’Uomo”.

Una sottolineatura clamorosa, come si vede, della missione di Pietro. A proposito del “segreto messianico” secondo cui “Gesù non fu mai consapevole di essere il Messia”, anche dal lavoro di Garcia si evidenzia l’inconsistenza di questa invenzione. Emerge chiaramente, infatti, che Gesù non solo sapeva di essere il Messia, il Cristo, ma fa comprendere pian piano ai suoi e a chi lo ascolta che egli è Dio stesso. Alla fine lo dice apertamente ai suoi stessi nemici. E’ questa infatti l’inaudita pretesa, la bestemmia per cui fu arrestato e processato: perché, dicevano i suoi accusatori, “tu, che sei uomo, ti fai Dio…” (Gv 10, 33). Ed era vero.
Ma le pagine più toccanti del libro di Garcia sono quelle sull’ultima cena, quando Gesù dice, nella traduzione attuale: “ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia Passione”.

Secondo Garcia l’originale aramaico è ancora più vertiginoso: “Ho desiderato ardentemente di mangiare questo agnello pasquale quando ero lontano da voi, lontano dalla mattina del mio venire incontro al patimento. Poiché vi dico: Quando io sarò mangiato come lui (= come questo agnello pasquale), il regno celeste di Dio giungerà alla sua pienezza”.

Qui “Gesù designa la sua incarnazione: la sua venuta incontro alla morte”. E nelle prime parole si coglie “il desiderio di Gesù, già nella sua esistenza celeste” di “andare incontro alla morte” per instaurare il Regno di Dio e “sconfiggere il regno di Satana”.

Una profondità simile hanno anche le parole che Gesù pronuncia dopo aver lavato i piedi ai suoi amici, investendoli del potere sacerdotale: egli manifesta loro “la sua contentezza, poiché, grazie a loro, potrà morire nuovamente, bere di nuovo il calice che bevette sul calvario” (è la santa messa dei cristiani).

Il testo aramaico dunque restituisce, con potenza ancora maggiore, il desiderio di Gesù di morire per la salvezza di tutti gli esseri umani, la sua volontà fortissima di subire su di sé tutta lo scatenarsi di Satana per liberare gli uomini. Ecco perché, nel resoconto delle torture e della passione, Gesù appare così determinato a subire ogni atrocità, ogni umiliazione, fino in fondo, e sembra voler resistere fino in fondo perché nulla gli sia risparmiato. Vuole bere fino in fondo questo straziante calice di sofferenze e crudeltà. Senza un lamento, senza un solo gesto di difesa dai colpi, dagli sputi, dai flagelli. Fino all’ultimo istante si rivela questo essere immenso, sublime, unico. Impossibile non amarlo. Per gli uomini di tutti i tempi. 

Il referto quasi fotografico di quella macellazione finale dell’agnello, dove la vittima non avrà più un centimetro di carne che non sia stata piagata, è la Sindone di Torino. E proprio dalla retroversione in aramaico di Garcia si scopre una straordinaria conferma della Sindone. Le traduzioni correnti dicono infatti che dalla croce “presero il corpo di Gesù e lo avvolsero in bende” (Gv 19,40), ma l’originale aramaico recita: “presero il corpo di Gesù e lo avvolsero in una doppia tela di lino”. E’ l’esatta descrizione della Sindone. Guardando quell’immagine tornano in mente i versi di Pedro Calderon de la Barca:

“La tua voce ha potuto intenerirmi
La tua presenza trattenermi,
E il tuo rispetto commuovermi.
Chi sei? (…)
Tu, solo tu, hai destato (…)
L’ammirazione dei miei occhi,
la meraviglia del mio udito.
Ogni volta che ti guardo
Mi provochi nuovo stupore
E quanto più ti guardo
Più desidero guardarti” .

{Fonte: http://www.internetsv.info/}