giovedì 17 luglio 2014

Le locuzioni

Mi sembra opportuno spiegare che cosa sia questo parlare di Dio all’anima, e ciò che questa sente, affinché la signoria vostra se ne renda conto, accadendomi molto frequentemente dal giorno in cui ho detto che il Signore mi fece tale grazia come si vedrà da quanto sto per dire. Sono parole ben distinte, che non si odono con il senso dell’udito, ma si intendono ben più chiaramente che se si udissero, e fare a meno di sentirle, per molto che si resista, è inutile. Se tra noi, infatti, quando non vogliamo udire una cosa, possiamo tapparci le orecchie o attendere ad altro in modo che, pur udendo, non s’intende ciò che si ode, qui è impossibile. Bisogna ascoltarlo anche se non si vuole e l’intelletto è obbligato a essere ben desto, per intendere ciò che Dio gli vuol far capire. Non c’è volere o non volere che tenga, perché colui che può tutto, vuole che ci rendiamo conto di dover fare la sua volontà, mostrandosi così veramente padrone di noi. Ho fatto di questo lunga esperienza, perché la mia resistenza durò quasi due anni, a causa del gran timore che avevo, e anche ora qualche volta ci provo, ma poco mi giova.

Vorrei spiegare gli inganni che qui possono esserci, anche se mi sembra che, per chi ha molta esperienza, si tratterà di poco o niente (ma dev’essere grande l’esperienza), e la differenza che c’è quando parla lo spirito buono e quando invece lo spirito cattivo, e avvertire che può anche trattarsi di parole prodotte dallo stesso intelletto – cosa assai probabile – o di frasi che il nostro spirito rivolge a se stesso. Non so se questo sia possibile, ma fino ad oggi mi è sembrato di sì. Quando è spirito di Dio, sono parole veritiere, come ho visto e comprovato in molte cose che mi furono dette due o tre anni fa, e che si sono tutte avverate in pieno, né alcuna, finora, è risultata falsa; ma c’è altro da cui si vede chiaramente che opera lo spirito di Dio, come poi si dirà.

A me sembra che, quando una persona sta raccomandando una cosa a Dio vivamente, potrebbe credere molto facilmente di sentire una qualche risposta circa l’esaudimento o no della sua richiesta, ma chi ha sentito le parole di Dio nel modo anzidetto, vedrà chiaramente di che cosa si tratta, perché la differenza è grande. Se, poi, è un discorso fabbricato dall’intelletto, per quanto ingegnoso sia il suo intervento, si capisce che è lui a comporlo e a parlare, non diversamente da quando si va svolgendo un discorso per altri o si ascolta ciò che altri dice. L’intelletto vedrà subito che in quel momento non ascolta, poiché opera, e le parole che egli fabbrica sono come cosa sorda, frutto della fantasia, prive della chiarezza che hanno le altre; qui, inoltre, è in nostro potere distrarci come tacere, se parliamo; là, invece, è impossibile farlo. Altro segno, poi, ancor più caratteristico, è che le parole dell’intelletto non operano, mentre quelle del Signore sono parole ed opere, e anche se non sono parole di devozione, ma di rimprovero, subito dispongono l’anima come conviene; le infondono capacità, tenerezza; le danno luce, gioia e quiete, e se era in uno stato di aridità, d’inquietudine o di turbamento, ciò le viene portato via come può farlo materialmente una mano, e anche meglio, poiché sembra che il Signore voglia far capire ch’egli è potente e che le sue parole sono opere.

Mi sembra che ci sia la stessa differenza che c’è tra parlare e ascoltare, né più né meno. Quando parlo, come ho detto, vado indirizzando il mio discorso con l’intelletto, ma se mi parlano, non faccio altro che ascoltare, senza alcuna fatica. Nel primo caso, è un qualcosa che non sappiamo ben precisare, essendo come mezzo addormentati; nell’altro, invece, è una voce così chiara che non si perde una sillaba di ciò che dice. E ciò accade, talvolta, quando l’intelletto e l’anima sono così sconvolti e distratti, che non riuscirebbero a mettere insieme un discorso sensato. Ecco, invece, che trovano bell’e pronte e ascoltano così sublimi sentenze quali, pur stando in gran raccoglimento, non riuscirebbero mai a concepire, e fin dalla prima parola – come ho detto – l’anima è tutta trasformata. Specialmente durante il rapimento, in cui le potenze sono sospese, come si potrebbero intendere cose che prima non erano mai venute in mente? In che modo verranno in mente allora, mentre l’intelletto è quasi inattivo e l’immaginazione è come trasognata?

Si tenga presente che, quando si hanno visioni o si sentono queste parole, ciò non è mai, a mio parere, nel momento in cui l’anima è proprio unita a Dio nel rapimento, perché allora – come ho già spiegato, credo parlando della seconda acqua – si perdono completamente tutte le potenze e, a mio parere, in tale stato non si può né vedere, né intendere, né udire. L’anima è tutta in potere altrui e, in questo tempo che è assai breve, non mi pare che il Signore le lasci alcuna libertà. Passato questo breve tempo, quando l’anima si trova ancora nel rapimento, avviene ciò che dico, perché le potenze sono ridotte a tali che, benché non si perdano del tutto, sono quasi inoperanti, come assorte e incapaci di metter insieme un ragionamento. Sono, quindi, tanti i segni per capire la differenza di cui si parla, che ci si può ingannare una volta, non molte.

Aggiungo inoltre che, se un’anima è dotata d’esperienza e sta attenta, lo costaterà molto chiaramente perché, prescindendo dagli altri segni dai quali si vede ciò che ho detto, se le parole provengono da noi, non producono alcun effetto, né l’anima le accetta, mentre se vengono da Dio (anche se non vuole e sulle prime non vi dà credito), ritenendole vaneggiamenti dell’intelletto, quasi al modo stesso in cui non si farebbe caso di una persona di cui si sa che delira, è come se udisse una persona di gran santità e dottrina, di cui si sa che non ci può mentire. Ma il mio è un paragone grossolano perché queste parole, a volte, hanno in sé tale maestà che, pur non tenendo presente chi le dice, se sono di rimprovero, ci fanno tremare, e se sono di amore, ci fanno struggere di tenerezza. Per di più, come ho detto, sono cose che erano ben lontane dalla nostra mente, rivelatrici, in un solo istante, di così profonde verità che sarebbe stato necessario molto tempo per poterle concepire, e in nessun modo mi sembra che si possa pertanto ignorare che sono cose non provenienti da noi. Non c’è, quindi, motivo di dilungarmi di più, poiché mi sembrerebbe strano che una persona di esperienza possa ingannarsi, se essa stessa non si vuole deliberatamente ingannare.

Mi è accaduto molte volte, avendo qualche dubbio, di non credere a ciò che mi veniva detto e di pensare di essere vittima di qualche illusione (questo, dopo che tutto era finito, perché nel momento della grazia il dubbio è impossibile), e di veder poi adempiuta ogni cosa, passato molto tempo, in quanto le parole del Signore s’imprimono nella mente in modo tale che non si possono dimenticare, mentre quelle dell’intelletto sono come un lampo del pensiero, che passa e si dimentica. Avviene delle parole divine come di un fatto reale di cui, anche se col passare del tempo si dimentica qualcosa, non si perde del tutto la memoria: si ricorderà almeno che ci sono state dette, tranne che non sia passato molto tempo o siano parole di favore e di dottrina, ma le profezie mi pare non si possano dimenticare; almeno è così per me, benché abbia poca memoria.

Torno a dire che mi sembra impossibile, tranne che un’anima sia tanto priva di coscienza da voler fingere (il che sarebbe un gran male), affermando di udire rivolgersi parole, mentre non è così, che non veda chiaramente d’esser lei a mettere insieme e a pronunziare discorsi dentro di sé, se ha compreso lo spirito di Dio, altrimenti potrebbe rimanere tutta la vita in questo inganno, credendo di udire parlare, cosa del tutto inconcepibile. O quest’anima vuole intendere o no: se è così disfatta per quanto intende che, ad evitare mille timori e molte altre ragioni di turbamento, vorrebbe assolutamente non intendere nulla, desiderando starsene quieta nella sua orazione senza queste grazie, come potrebbe dar tanto agio all’intelletto di mettere insieme discorsi? Per far questo ci vuole tempo; qui, invece, senza alcun indugio, ci troviamo di colpo istruiti e intendiamo cose per concepire le quali credo sarebbe stato necessario un mese. Lo stesso intelletto e la stessa anima restano meravigliati nell’intendere alcune verità.

Così stanno le cose, e chi ne ha esperienza vedrà che tutto quanto ho detto risponde esattamente al vero. Ringrazio Dio di averlo saputo esporre in questo modo e termino col dire che, a mio giudizio, se queste parole sono dell’intelletto, quando lo vogliamo, possiamo udirle: ad esempio, ogni volta che stiamo in orazione potremmo immaginarci di udirle; invece non è così se sono parole di Dio, anzi si possono passare molti giorni in cui, benché si voglia sentire qualcosa, riesce impossibile, mentre altre volte, pur non volendolo, come ho detto, si è obbligati a udirle. Mi sembra che a chi volesse ingannare gli altri, dicendo di udire da Dio ciò che proviene da sé, costerebbe poco aggiungere che ha udito la voce di Dio con le orecchie del corpo. Proprio così, perché io non avevo mai pensato che ci fosse un altro modo di udire e d’intendere fino a che non l’ho costatato per esperienza, e l’esperienza, come ho detto, mi è costata molto cara.

Quando opera il demonio, non solo non lasciano buoni effetti, ma ne lasciano di cattivi. Questo mi è accaduto non più di due o tre volte e subito sono stata avvisata dal Signore che si trattava del demonio. Tralasciando la grande aridità che resta, l’anima prova un’inquietudine al modo stesso di quella che io ho provato molte altre volte in cui il Signore ha permesso che subissi grandi tentazioni e sofferenze di diversa natura, e benché mi tormenti ancora spesso, come più avanti dirò, è un’inquietudine che non si riesce a capire da dove venga. Sembra che l’anima resista, si agiti e si affligga, senza sapere di che, non essendo cattivo ciò che il demonio dice, ma buono. Forse dipende dal fatto che uno spirito sente la presenza dell’altro. Il piacere e la gioia che il demonio produce sono, a mio parere, molto diversi; egli potrebbe ingannare chi non ne abbia o non ne abbia mai avuti da Dio.

{Da "Libro della mia vita" di Santa Teresa d'Avila}